giovedì 30 maggio 2013

ZUPPA DI ZOMBIE: "Zombie Nation"

Zombie Nation

IL GIORNALISMO PERMETTE UNA VERA CONOSCENZA? LA STRUTTURA "INEZIALE" DEL GIORNALISMO CONTEMPORANEO E IL SUO RAPPORTO CON LA CONOSCENZA STORICA

(Difficoltà: 4,1/5)

Marco TravaglioHo sempre pensato che il giornalismo stia alla Storia come l'acqua sta alla pietra su cui scivola via nei giorni di pioggia. Conoscenza giornalistica e conoscenza storica occupano ruoli sostanzialmente opposti. Questo perchè il giornalismo, un po' per sua natura un po' per intenzionalità maliziosa, sta lì apposta per confondere le acque attorno al senso stesso del fatto di cronaca, ivi incluso quello destinato potenzialmente a passare alla Storia. Certo è principalmente una questione di forma mentis: il giornalista non deve scrivere per un sapere abbastanza universale da meritare di essere tramandato, impiegato nelle scuole o citato nelle università. Gli interessi del giornalista sono più vicini a quello che intendiamo con la parola “curiosità”. Questo cronico interesse per la curiosità, il particolare sciocco, l'elemento scandalistico o l'inezia, si incrocia solo raramente con quello che viene chiamato “giornalismo d'inchiesta”. Ne consegue che quest'ultima forma di giornalismo (invero la più nobile), non è affatto rappresentativa del giornalismo in quanto tale, ed è più rara di quanto si pensi, se non schiettamente accidentale. Basti pensare a quante poche sono le volte in cui, come nello scandalo Watergate rivelato dai giornalisti del Washington Post Woodward e Bernstein, il fatto dietro la cronaca ha potuto assurgere alla nobiltà di evento storico. 


Giornalismo "d'Attualità" e Giornalismo "Storico": il Ruolo della Periodicità

La differenza fra la conoscenza storica e quella giornalistica sta tutta proprio nella difficoltà di definire una “conoscenza” giornalistica. I giornali “informano” veramente? Offrono spunti di educazione o di acculturamento? C'è da dubitarne. L'elemento decisivo per il giornalismo, se confrontato con la cronaca storica, è l'unità di tempo prescelta. Nel caso del giornalista, questa è decisa dalla periodicità del giornale o rivista sul quale scrive. Man mano che la periodicità aumenta (fino alla rivista semestrale o all'annuale), il livello di analisi, la pregnanza e significanza dell'argomento affrontato, e la raffinatezza nel modo di affrontarlo, aumentano e si migliorano. Così si va dagli articoli di aria fritta della Repubblica o del Corsera, che riprendono magari l'ennesima ri-conferma o ri-smentita di una ricerca scientifica (una delle più “in” è quella della dannosità/virtuosità del vino rosso), ai coraggiosi reportage di Fabrizio Gatti sull'Espresso, fino ad arrivare alle soglie fra giornalismo e Storia. Va detto a questo proposito che il giornalista di qualità - molto raro specialmente in Italia - è colui che, senza essere uno storico, coltiva una “memoria storica” più o meno diacronicamente accentuata, che può limitarsi a ricercare citazioni e riscontri in articoli o editoriali degli ultimi anni, oppure veri e propri parallelismi e indizi di un'eziologia storica, o entrambi. Nel primo caso si ha il Travaglio (a cui non fa difetto però naturalmente anche una solida conoscenza storica dell'Italia Repubblicana); nel secondo, caratteristicamente, giornalisti più vetusti (Montanelli, Cervi, Biagi). Il giornalista privato di memoria e conoscenza storiche, all'opposto, sarà nel migliore dei casi condannato a essere vittima del proprio tempo e del conformismo che questo detta. C'è infine il caso dei giornalisti prezzolati, che fanno categoria a sè in quanto "scrivani" del potere.


Inezia, Sensazionalismo e Gossip come Elementi Strutturali del Giornalismo Contemporaneo

Il giornalista prigioniero dell'hic et nunc, si è detto, contrapposto allo storico o ai (rarissimi) giornalisti disposti a ricercare corsi e ricorsi, cause ed effetti nel continuum storico, per addivenire a una comprensione più profonda dell'attualità. Del resto, a tutti può risultare chiara la difficoltà di riempire ogni giorno 50-60 pagine di un quotidiano. Ma con questo non si vuole sminuire le responsabilità della categoria: infatti non sta scritto nelle Tavole della Legge che i quotidiani debbano avere tutto quello spazio. Da quando i giornali sono usciti dal loro ruolo elettivo, cioè quello asciuttamente cronachistico, aumentando le rubriche e ricalcando così l'offerta dei settimanali, hanno sbracato verso il confine del gossip sensazionalistico e oltre, e questo ha contaminato di ritorno le rubriche più tradizionali come quella politica e quelle dell'Economia, della Cultura, dello Sport nonché, a strascico, gli editoriali degli “esperti”, che devono commentare come capita quello che capita. E' al fondo una questione di ristrettezze temporali, che però vanno a formare il calco di uno stigma mentale, come si diceva: innegabilmente, una cadenza settimanale di pubblicazione offre più tempo per la selezione, l'elaborazione e l'approfondimento della notizia, mentre i tempi per i quotidiani sono molto più stretti. Le stesse dimensioni raggiunte dai quotidiani sono quindi un chiaro indizio di un contenuto esteso artificialmente a mò di divagazioni, sparate, inezie, sollecitazioni pseudo-pornografiche, ricerche scientifiche confermate e poi smentite, scoop tirati per i capelli o puttanate più o meno elaborate. 


La Parola al Posto dell'Azione: Politica e Giornalismo Alleate nella Strategia dell'Immobilismo

Naturalmente, il terreno d'elezione della supercazzola evasivo-digressiva non può che essere la politica. La politica è in Italia da tempo immemorabile il terreno del detto-non detto, del detto ma non pensato, del pensato ma solo alluso, del pensato detto diversamente, del diversamente taciuto. Il parlamento italiano sta al Bundestag tedesco come il teatrino dei Sofisti sta alla Agorà ateniese. Posta di fronte a problemi concreti da risolvere, la politica è tutta un: "Dobbiamo trovarci attorno a un tavolo per valutare l'abbozzo di un'idea rivolta a un disegno strategico che porti a un abbozzo di intervento. La dialettica politica italiana è l'arte dell'elusione dell'impegno. E i giornalisti sono ben felici di offrire una sponda o una cassa di risonanza, da una redazione o studio televisivo all'altra, per queste manovre di ottundimento distrattivo dell'opinione pubblica. Il cicaleccio di politici inetti è in questo senso perfettamente complementare alla forma mentis “riempitiva” del giornalista medio, che è ossessionato dal “pezzo” da consegnare e dal countdown scandito dalle rotative di stampa. Un blaterare sempre uguale a se stesso snellisce e facilita il lavoro del giornalista, per il quale le parole reiterate all'infinito del politichese diventano una seconda natura, come il campionario degli "scenari" e delle "strategie" che le dichiarazioni dei politici evocano in loro ormai quasi automaticamente, e che l'interpretazione giornalistica infila nell'intercapedine fra il detto e il non detto.
Politica e giornalismo si associano insomma per dar vita all'autoreferenzialità assoluta: quella che si basa sulla parola vuota, sullo slogan politico, sul politichese stretto e largo, dove significante e significato vanno a spasso per direzioni contrapposte. Il "cortocircuito comunicativo" di cui ogni tanto si parla non è un discorso interno alla comunicazione, ma si riferisce al rapporto tra parola e azione, dove la parola non diventa mai azione se non per realizzare il proprio contrario, nel circolo infinito delle promesse disattese. Esso è il vuoto pneumatico che si crea fra parola e azione, a vantaggio dell'inerzia, dell'inazione e del nascondimento. Tutto questo mentre fuori dal Palazzo infuriano i prodromi di una guerra civile.


Walter Veltroni Padre Italiano dell'"Infotainment"?

In allegato a questo articolo, ci tocca parlare di Veltroni. Per quanto appaia strano che una personalità siffatta abbia potuto influire in qualsivoglia ambito della vita pubblica, va ammesso che la pratica del gadget inaugurata dal nostro sull'Unità nel corso dei '90, ha determinato uno sconquasso dell'idea stessa di giornalismo, relegando la notizia e il lavoro di giornalisti anche prestigiosi ad appendici accessorie. Da coadiuvante della vendita della testata, il gadget l'ha vampirizzata, sottraendo inesorabilmente valore giornalistico al mezzo e quindi, a cascata, serietà e pregnanza ai temi trattati. Il discorso va ben là di questo o del tal altro gadget, estendendosi all'idea di giornalismo e alla percezione della realtà ricavabile dalla sua produzione. Ogni tematica affrontata deve, al pari di un film, di un cd o di un pupazzetto da collezione, far “divertire”. Il cosiddetto Infotainment è giustificabile nella sezione dello sport o degli spettacoli; quando è invece invece la cronaca “seria” a subire la giustapposizione dell'affettazione melensa, della velleità letteraria, del particolare gustoso o morboso ecc., allora l'intero discorso si corrompe, come si corrompe il rapporto del lettore con la realtà, rapporto che è ancor oggi per ampi versi esclusiva di questo tipo di giornalismo.
Veltroni ha cioè fatto al giornalismo quello che ha fatto alla Sinistra italiana: l'ha demolito. Ma - va detto - allora come adesso egli ha fatto tutto con le migliori intenzioni. Perchè - si veda - Veltroni non è una persona cattiva e non è nemmeno un giornalista: è semplicemente un politico, in quanto tale inetto.

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