martedì 30 aprile 2013

IL "META-CHARACTER" DI INTERNET, OVVERO LA SUA AUTOREFERENZIALITA'

 (Difficoltà: 3,8/5)

Immagine che c'azzecca poco
E' scontato dire che internet è una risorsa poliedrica in termini di scopi e funzioni (informazione, comunicazione, svago) e in termini di contenuti.
Ma è impossibile che non salti all'occhio l'autoreferenzialità di internet, cioè il suo carattere “meta”: la maggior parte dei contenuti che internet offre (e quindi la domanda di questi contenuti) verte attorno a questioni tecnico-informatiche, cioè contenuto e mezzo in gran parte coincidono, perchè il contenuto consiste il più delle volte nella discussione sul mezzo. E' un pò come quando in film come "Saranno famosi" si vedono attori che impersonano studenti di recitazione.
Ciò non si è mai verificato prima con nessun strumento tecnologico: l'invenzione del libro non produsse uno tsunami di testi che discutessero di editoria, tecniche di stampa o di rilegatura. Allo stesso modo, sarebbe assurdo guidare l'auto solo quando ci si deve recare dal meccanico. O chiamare qualcuno solo per vedere se in quell'area si prende o per chiedergli il motivo di quel ronzio nell'earpiece.


Internet Preferisce la Tecnica, cioè Se Stesso

Argomenti che richiedano un approfondimento teorico faticano a trovarsi a casa propria su internet, sia per a) i limiti strutturali del mezzo (il testo su schermo bianco affatica gli occhi, e un testo complicato richiede spesso delle riletture di singoli passi), che per b) la limitata ricettività dell'utente medio. Tutto questo vale meno per contenuti di carattere tecnico-informatico, in quanto mezzo e contenuto coincidono (si approccia l'informatica usando il computer) e quindi chi va su internet per interessarsi di acquisto o riparazioni hardware, di giochi multiplayer, di applicazioni, patch, versioni, aggiornamenti, walkthrough, tutorial, trucchi, espedienti SEO, linee di codice ecc. è già abituato a lunghe sessioni davanti al monitor e si trova nel suo ambiente e nel suo elemento.
Mentre aspetti tecnici vengono soddisfatti appieno e su internet si trova sempre risposta a questioni tecnico-informatiche prima ancora di porre la domanda, argomenti di qualsiasi altra natura trovano poco spazio, poco approfondimento e poco interesse. Ciò stride con l'aspirazione dei rappresentanti più pionieristici di internet, quali Google, a raccogliere e organizzare in esso tutto lo scibile. 


 Internet Come la Televisione?

Quindi internet, che rappresenta una tecnologia comunque ancora giovane, fatica un po' a liberarsi di questa autoreferenzialità che lo porta in sostanza a parlare in gran parte di se stesso e non di altro. Naturalmente questa non vuole essere necessariamente una critica, e tutto ha una spiegazione. L'autoreferenzialità di internet, per esempio, il suo carattere “meta”, è dovuto in pari grado alla complessità tecnica e alle molte potenzialità del mezzo, che ne faranno oggetto di (auto)discussione privilegiato per molti anni a venire. E poi c'è il fatto che persone con diverso grado di competenze vi hanno accesso, e molte di queste cercano assistenza per accrescere la propria expertise. Queste alcune delle ragioni fondamentali.
Ma il fatto che quanto dico non sia necessariamente una critica, non implica che non ci sia spazio per riserve e timori. In un'epoca in cui la responsabilità di un sapere così grande e totalizzante è lasciato a uno strumento così tecnico, quale può essere il destino della cultura tradizionalmente intesa? Un simile dibattito potrebbe ricalcare per molti aspetti quello accesosi all'indomani della diffusione di massa della tv, ma internet offre molte più possibilità sia in senso positivo (interattività, contenuti 2.0) che negativo (minor controllo delle fonti e dei contenuti, dilettantismo, confusione nell'organizzazione delle conoscenze).
La speranza è che, se e quando il mezzo elettronico sostituirà la carta, contenuti altri dalla tecnica vi trovino il giusto spazio senza compromessi con il carattere popolare e sincretizzante del nuovo mezzo. Come per la televisione, internet dovrebbe essere sollevato verso la cultura, e non questa abbassata ad esso.

Inseguita

martedì 23 aprile 2013

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9989

(Difficoltà: 2,9/5)
 "TRA IL VOLERE E IL POTERE C'E' DI MEZZO LO SPROLOQUIARE": 
IL FENOMENO DEGLI AVVISI STEROIDIZZATI

"Su questa spiaggia è severamente vietato..." Courtesy of: http://radiodenadie.blogspot.it/
Se c'è una cosa che mi fa incazzare, è l'indole delinquenziale del popolo italico. Per tentare di porre freno alla natura mariuola dell'italiano, si raggiungono talvolta esiti paradossali. Come osserva giustamente Travaglio, esporre un cartello con scritto “vietato” non è sufficiente: occorre aggiungere “severamente”, altrimenti nessuno ci bada. Qual è l'effetto? Che se il cartello non esibisce l'avverbio in questione ("severamente vietato"), l'italiano sarà indotto a pensare che l'infrazione non è poi tanto grave, e che comporterà poco o nulla in termini di sanzioni.
Lo stesso vale per l'“entro e non oltre”, per es. in occasione della consegna di documenti a un qualche ente pubblico. Anche qui, il rafforzativo serve a dire: “Fosse solo 'entro', allora se consegni i fogli con due giorni di ritardo fa niente. Ma c'è il 'non oltre', quindi stà volta si fa sul serio...”
Il terzo esempio lo rivivo quasi ogni qual volta richiedo fattura a un artigiano o professionista. La risposta è allora: “Le invierò regolare fattura.” Cosa significa “regolare”? C'è forse anche un modo “irregolare” di emettere una fattura? O si vuole forse sottolineare, aggettivandolo, l'eroico (anche se inspontaneo) atto di onestà, quando la legge lascia ampi margini di manovra a chi vuole turlupinare l'Agenzie delle Entrate?


 La Mela di Caino

Il brutto è che questi rafforzativi rispecchiano fedelmente una realtà: la rete delle regole ha in Italia maglie larghe, anzi larghissime. Questa condotta perdonista - una giustizia priva di autorità, quindi una "non giustizia" - è un frutto velenoso, anche se succulento a un primo assaggio: chi non ha gioito nell'apprendere che poteva godere di una proroga sulla consegna della pratica, o che per quella volta il controllore dell'autobus aveva chiuso un occhio? Non bisogna mai dimenticare che, così come il morso della mela ha reso possibile il gesto di Caino, così per ogni piccola furbata in apparenza triviale ce n'è da qualche parte un'altra che toglie alla comunità milioni di euro. Perchè non è una questione di quantità, ma di mentalità: l'habitus è lo stesso, solo che uno fa il furbo e ruba secondo le proprie possibilità. O altrimenti detto: l'italiano è sempre ladro, ma c'è chi può derubare interi caveau e chi si deve accontentare dei polli.
Questa mentalità è ciò che è “severamente vietato” perseguire e che va cambiato “entro e non oltre” adesso.
La prossima volta, fateci caso

Andare Dove?


domenica 21 aprile 2013

ZUPPA DI ZOMBIE: "Rompicapo"

Rompicapo

LA DEVIANZA CHE SI FA ISTITUZIONE: IL CASO DELLA RIELEZIONE-GOLPE DI NAPOLITANO

(Difficoltà: 4,7/5)

Ponzio Pelato, instancabile firmatario di leggi pro-BerluscaOgni sistema del governo delle cose umane, sia esso politico economico o sociale, ha le sue storture, la sua “quota” sindacale di cose che possono andare male e di persone interessate a che le cose vadano male per il Paese perchè gli interessi di questo confliggono con i loro. Per cui evasione fiscale, corruzione, tensioni eversive ecc. sono in una certa misura “fisiologiche”, e non ci si deve scandalizzare o sorprendere per la loro presenza. Il “moralismo”, parola frequentemente usata come mannaia contro i giusti, per cui essa diventa sinonimo di “ipocrisia” e spesso maliziosamente confusa con “moralità” (parola ben diversa), è anche di coloro che non prendono atto del fatto che politica e società sono costruzioni imperfette. Perchè? Perchè furono sì inventate per controllare e disciplinare la natura egoistica dell'uomo in un sistema di regole, ma promanano dall'uomo medesimo, quindi in una situazione di conflitto di interessi. E poi c'è la natura potente e immutabile dell'essere umano, per cui pretendere sistemi avulsi da devianze sarebbe un po' come pretendere di catturare l'acqua con la rete. Dopotutto, le devianze sono lì a ricordarci lo scopo originario per il quale ci siamo dati dei sistemi e delle regole inibitorie, quindi rivestono un certo ruolo. 


Tollerare le Devianze non Significa Tollerare i Deviati

Il punto è che, in tutta ovvietà, queste devianze non sono “individualizzabili” a priori, o meglio detto: nessun soggetto sociale (sia esso individuo o gruppo) può avere l'arroganza e la superbia di pretendere di incarnare le eccezioni alla regola (e alle regole). Infatti: perchè loro e non altri? Quindi l'ammettere come “fisiologiche” simili devianze non coincide con il tollerare che determinati individui o gruppi si ergano a rappresentanza di queste devianze e le rivendichino per se stessi. Si tollera il principio, ma non la sua materializzazione. Infatti, visto che le “devianze” sono per definizione delle eccezioni, coloro che si candidassero ad esserle pretenderebbero per se stessi una esclusività che lascerebbe fuori decine o centinaia di milioni di persone, esercitando una superbia inaccettabile. Ciò a meno di non voler estendere questa rappresentanza, e di chiamare altri al club degli "irregolari". Ma questa è un'operazione dai rischi evidenti: chi sa, infatti, qual è il quantitativo di “devianza” che un Paese si può permettere? Il prevalere della devianza vanifica l'esistenza stessa di uno Stato, perchè decreta il fallimento delle regole che questo si è dato. Il ritorno alla barbarie tribale è allora l'unica strada. Ma poi: siamo sicuri che il concetto di “prevalenza” è qui interpretabile in termini strettamente matematici? Il magistrato Piercamillo Davigo osservò sagacemente che i ladri devono essere sempre una minoranza rispetto alle persone oneste, perchè se toccassero la quota del 50% più uno già inizierebbero a derubarsi gli uni con gli altri. L'osservazione non fa una piega in termini di matematica astratta, ma quando si parla della vita di un Paese naturalmente il discorso è infinitamente più complesso, perchè la soglia di tolleranza prima del tracollo di un sistema democratico obbliga alla considerazione di infiniti fattori inerenti a tutte le sfere della vita pubblica e alla condizione di salute della società che subisce la devianza, nonchè all'entità dell'atto di devianza: in una città con poche centinaia di migliaia di anime, un singolo atto di devianza da parte di uno sparuto gruppo di malfattori può comportare il tracollo di un'intero sistema (è un po' ciò che è successo - rispetto alla città di Siena - con l'acquisto di Antonveneta da parte del MPS).
Riassumendo, è per un triplice motivo che la considerazione della “necessità” della devianza non implica in nessun grado la tolleranza nei suoi confronti: a) in primo luogo, l'“inassegnabilità” di un diritto alla devianza: nessuno, individuo o gruppo, ha titolo per contravvenire alle regole più di quanto lo abbia chiunque altro in una data comunità, prova ne sia che se tutti si assegnassero tale diritto, il sistema si disintegrerebbe; b) in secondo luogo, perchè non si può conoscere la soglia di tolleranza della devianza in rapporto a un sistema, il punto di non ritorno oltre il quale il sistema è spacciato; c) terzo perchè, dato che la natura umana è quella che è, ogni ambiguità verso la devianza da parte di chi è preposto a combatterla innesca un processo di contagio culturale che una volta a regime è difficilmente controllabile.


La Casta Politica Italiana: la Devianza che si Istituzionalizza

La contravvenzione alle regole può essere motivata dalla miseria e dalle fame. Ma quando essa è frutto dell'arroganza individuale o di “casta”, allora è la superbia che ne fornisce la base a dover scandalizzare il cittadino comune, perchè qui i soli motori sono la superbia e l'ingordigia, e le conseguenze per la tenuta di un sistema democratico sono incalcolabili. Ed è evidente che ciò vale tanto più in quanto una simile arroganza riguardi la classe dirigente. Una classe dirigente (politica, economica, delle professioni ecc.) che ragioni per interessi di individui o di gruppi non è nulla di diverso dalla mafia, in quanto si arroga dei “diritti” speciali che contraddicono l'interesse comune e costituiscono quindi un'“antisocietà” o un “antistato” all'interno della società e dello Stato.
Ora, prendendo spunto dalla conferma di Napolitano alla Presidenza della Repubblica, ennesimo sussulto autoconservatore di “[...] un sistema marcio e schiacciato dal peso di cricche e mafie, tangenti e ricatti, [che] si barrica nel sarcofago inchiodando il coperchio dall'interno per non far uscire la puzza e i vermi” (Travaglio, dal F. Q. di oggi), è facile capire a chi si applichi in Italia quanto ho cercato di spiegare, e perchè la cancellazione dell'attuale classe politica è così vitale per la sopravvivenza della nostra democrazia. Ammesso che già non sia troppo tardi.
Barbarie Retroattiva

domenica 14 aprile 2013

IL TRIONFO DELLO SPETTACOLO NELLA DISINTEGRAZIONE SOCIALE: LA "GUERRA FRA POVERI"

 (Difficoltà: 4,6/5)

Non lo si dirà mai a sufficienza: l'incoraggiamento alla divisione nelle forze antagoniste è il miglior modo per affermare un potere autoritario. Ciò lo si comprende al meglio quando si esamina il potere autoritario per eccellenza, cioè quello della merce divenuta immagine: lo "Spettacolo". Lo Spettacolo è il regno della divisione, nell'immagine e grazie all'immagine, dove solo la divisione fra parti conferma, nel concetto e nella realtà, l'unità indissolubile dello Spettacolo. “Divide et Impera” è il verbo: un principio che vale da sempre, anche da prima che lo Spettacolo si affermasse come regola di esistenza. 
La “guerra fra poveri” è in questo senso il nucleo della strategia spettacolare, perchè la divisione va coltivata soprattutto fra le forze che avrebbero interesse a combattere lo status quo, riunite dalla coscienza di un destino comune. Infatti, nel momento in cui i privilegi si instaurano, nel momento in cui la politica e l'economia si suddividono in caste intoccabili che godono di privilegi feudali, si è compiuto il delitto perfetto: la costituzione di un divario apparentemente incolmabile fra le classi. Questo “apparentemente” non deve ingannare: l'apparenza è nello Spettacolo sostanza, l'immagine realtà. Allora il poveraccio desisterà dal pretendere per sé una condizione che gli si vuol far credere non alla sua portata, anche se ciò vale per difetti che sono inerenti a lui e alle sue aspirazioni, non certo al modo in cui la società è strutturata. E quindi se la prenderà con chi è sopra di lui, ma solo se lo è di poco: il disoccupato indigeno con l'extracomunitario venuto a fare i lavori che gli italiani non fanno più; chi non ha la casa con colui che, avendo reddito familiare al di sotto della soglia di povertà, l'ha ricevuta dal Comune; il dipendente precario con il dipendente statale dal posto fisso; questi con coloro che nella loro stessa categoria guadagnano poco di più ecc. La "guerra fra poveri" è resa possibile dal fatto che la povertà conosce diverse gradazioni, che partono dal reale e sconfinano nel puro percepito. Sempre più spesso la cognizione di sè come povero si alimenta di aspirazioni frustrate al possesso di beni accessori o all'impietoso confronto son modelli di vita eccentrici, e non su una reale condizione di non-sopravvivenza materiale. Chi è povero, oggi? Cosa significa essere poveri oggi? Tutto è lasciato volutamente e ad arte nell'indeterminato, per allargare la "guerra dei poveri" al numero più grande possibile di reclute.
E' il potere reale, che divide e sottomette, ciò con cui non ce la si deve prendere. Del resto, esso è ormai proiettato su una sfera che lo rende indistinguibile alla capacità critica comune e anche alla semplice immaginazione. 


La Verità Dietro i "Talent Show"
 
La retorica dell'impegno sedimenta la legge della competizione fra pari fin dalla più tenera infanzia, nel teatro senz'altro spettacolare delle partite di calcio, dei programmi di corteggiamento e dei talent show televisivi, dove le leggi dell'ascolto impongono la creazione di attriti fittizi e di elementi di rivalità posticci, secondo le regole di un darwinismo fondato sull'immagine: non il più forte o intelligente, ma colui che semplicemente appare come il più forte e intelligente; non le leggi della natura, ma le leggi dello Spettacolo.
I celeberrimi “talent show”: l''esistenza del concorrente medio ne esce distrutta; l'esistenza del talentuoso viene messa a dura prova nei fondamenti dai giudizi spietati e pretestuosi di giudici educati alla critica per la critica, dove l'insoddisfazione e l'invidia sono un ingrediente della torta; l'esistenza del vincitore, infine viene sentenziata da un tribunale di burattini a una gloria eterna della durata di un battito di ciglia. Nessuno ne scampa, nemmeno i bambini, perchè i genitori stessi diventano complici entusiasti di un massacro annunciato. L'innocenza dell'infanzia e i fattori di crescita dell'adolescenza vengono depravati in una guerra senza frontiere, dove è il premio più ambito è una patacca spettacolare da appuntarsi al petto qualche mese prima del calcio nel culo che consegna all'oblio definitivo.


Au Spectacle comme au Spectacle

Come per i diciannovenni del Vietnam, sergenti di ferro fanno a gara nell'umiliare con atti di sadismo autoritario, in preparazione a una guerra che è in realtà lo spettacolo della guerra: una competizione fratricida basata sul nulla ed eterodiretta in ogni particolare. Lo scopo nominale: il guadagno degli ascolti; quello reale: l'educazione alla sottomissione, al rifiuto di ogni umanità e di partecipazione spirituale alle sorti dei più deboli, al crudele accanimento verso il basso ecc. Come aveva già capito la Scuola di Francoforte, l'autorità è un virus che si trasmette nella società a partire dai confini della famiglia. L'autoritarismo del padre sarà l'autoritarismo del figlio divenuto padre, capoazienda, politico: “L’autorità è […] una categoria storica centrale. Il fatto che essa svolga un ruolo così decisivo nella vita di gruppi ed individui nei più diversi settori e in tutti i tempi, si fonda sulla struttura che la società umana ha avuto finora.” (M. Horkheimer, E. Fromm, H. Marcuse et al., Studi sull’autorità e la famiglia, Torino 1974, p. 22)
Lo Spettacolo è la società, è questa grande famiglia.  
À la guerre comme à la guerre, au Spectacle comme au Spectacle.

Notizia d'agenzia

sabato 6 aprile 2013

"SALARIO", "ONORARIO", "CACHET": COSA SI NASCONDE DIETRO IL "LINGUAGGIO DEL DENARO"

(Difficoltà: 4,4/5)

La nostra società si basa sul denaro. Se si gratta sotto la fuffa dei cosiddetti "valori"– che tende a far credere che vita, benessere, solidarietà ecc. siano ciò che contano realmente – si scopre che l'unica categoria in grado di spiegare le drammatiche contraddizioni fra azioni reali e valori tanto sbandierati, è proprio quella del denaro. Come si spiegherebbero altrimenti gli alti costi dei farmaci antiretrovirali in paesi, come quelli africani, tartassati dalla piaga dell'HIV? E ciò, nonostante simili costi non siano sostenibili per popolazioni mantenute artificialmente povere dall'assenza di scrupoli dei dittatori locali, con il segreto patrocinio di governi occidentali lobbizzati dalle multinazionali del cibo, dell'energia, della salute e delle armi.


Denaro = Potere. Potere = Denaro 

Il destino del denaro non si sovrappone semplicemente a quello del potere: piuttosto, essi sono un'unica cosa. E ciò è facilmente comprensibile se si ammette – come è vero – che con il denaro “nulla è impossibile”, e con esso si può (=potere) tutto. Ma come insegna Marx, il potere è anche “ideologia”, “nascondimento”. Chiamare le cose con un nome più conciliante, o spesso in contraddizione con la loro essenza e scopo serve a cloroformizzare la coscienza pubblica, a tenerla nell'ammollo di un'ignoranza inebetita. Dietro ideali sbandierati, vi è sempre l'ipoteca del denaro, dell'economia, degli interessi privati. Così Lincoln emancipò i neri dalla schiavitù non perchè un Nord lanciato verso lo sviluppo industriale necessitava di manodopera numerosa e non solo legata alla terra, e ogni guerra offensiva per il petrolio mediorientale diventa “missione internazionale di libetà e pace”. 


Il Paradigma dell'Ideologia: l'Esempio della Chiesa Cattolica

La religione cattolica (ormai caduta in irreversibile disgrazia) ha a lungo rappresentato la forma più emblematica di ideologia, secondo tre direttrici:
 
a) negazione della Storia e della possibilità della rivoluzione: le stesse “rivoluzioni” all'interno della Chiesa, scandite dai Concilii, sono servite a riconsolidare il potere e le gerarchie all'interno del cristianesimo.
b) controllo e direzione delle coscienze, sulla scorta di una negazione a più livelli della verità storiche e scientifiche e di una monopolizzazione della verità, con il corredo di una presuntiva infallibilità morale della sua massima autorità.
c) trasformazione dell'apparenza in realtà e della realtà in apparenza, della causa in effetto e dell'effetto in causa, della menzogna in verità e della verità in menzogna. Rovesciamento totale dei rapporti di realtà.
Come già con Marx, la critica dell'ideologia ha già da tempo abbandonato il contesto religioso, che sopravvive come innocuo simulacro di un potere svanito con l'evaporare della fede nella modernità.


"Salario", "Onorario", "Cachet"

Se l'ideologia si trasmette attraverso il linguaggio, allora l'analisi critica di concetti del linguaggio è in grado di rivelare l'essenza di “potere” e di “denaro” di tali concetti, come ciò che l'ideologia tenta di camuffare. Prima di “materializzarsi” a sistema onnicomprensivo e totalitario in quello che Debord e i Situazionisti definiscono “Spettacolo” (che è l'“ideologia materializzata” - cfr. SdS, §213), l'ideologia si applicò in origine al rapporto di sfruttamento primario: quello lavorativo. E' corretto quindi partire dal lavoro, e in particolare dall'analisi dei concetti legati alla retribuzione dell'opera lavorativa, come provo a fare qui di seguito:

  1. Salario”. Questo concetto si riferisce alla paga del più basso livello nelle gerarchie del lavoro, quello che sostanzia meglio e prima degli altri, anche terminologicamente, lo sfruttamento di classe: il lavoro “dipendente” e “subordinato”. “Salario” deriva da “salarium”, cioè “la diaria corrisposta ai soldati romani perchè potessere acquistare sale”. Per inciso, il sale fu nell'antichità elemento pregiato, ma il prezzo era deciso da Roma, che poteva abbassarlo per renderlo fruibile alle classi più povere, o alzarlo per poter sostenere finanziariamente le sue campagne belliche. Indicativo per noi il fatto che il termine sia giunto fino a noi: si allude simbolicamente al fatto che il diritto dell'operaio non arriva alla garanzia del sostentamento alimentare, ma solo all'accessorità, al condimento: "Ti diamo ciò che può rendere saporito il cibo, ma non il cibo”. Il lavoratore è fungibile, sacrificabile, e il piacere di sfruttarlo non è lo stesso se non vi si può aggiungere dell'ironia.
  2. Onorario”. Questo concetto – il più odioso - definisce la classe del lavoro altamente specializzato, inerente le professioni (medici, ingegneri, avvocati ecc.). Se il salariato è oggetto di sfruttamento, l'“onorato” è attivo nello sfruttamento dall'alto del possesso di strumenti conoscitivi estranei ai più. Gli ordini professionali in cui gli “onorati” si consorziano, rappresentano sottoinsiemi sociali oppressivi che di fatto selezionano in base al censo chi ha diritto alle cure sanitarie, alla sicurezza ambientale, alla tutela dei diritti, cioè in definitiva alla sopravvivenza. La divisione del lavoro è il suo stigma e la sua fortuna. La parola “Onorario” evoca l'“onorata società”, gil “uomini d'onore”, l'organizzazione mafiosa, la congrega massonica, insomma la conservazione dei diritti di casta alle spalle e a discapito di quelli comuni. Delle micro-società operanti secondo criteri propri, in contrasto con quelli della società propriamente detta, e sopra di essa. Un'“anti-società”, in analogia con l'anti-stato mafioso, che la società di tutti coltiva come una serpe in seno, subendone i diktat nella contrattazione individuale e nelle aule parlamentari.
  3. Cachet”. La parola cachet evoca la nevrosi e i mal di testa di un'età dominata dalle starlette televisive e cinematografiche, e che sforna nuove occupazioni per accrescere e consolidare l'oppressione e il nascondimento della verità. Gli agenti dello spettacolo (vedette, come le chiama Debord - cfr. SdS, 60) sono una ruota nell'ingranaggio dell'oppressione spettacolare. Sono strumenti del potere spettacolare, e poco cambia che in maggioranza lo siano a propria insaputa e senza accesso alla “visione d'insieme” del meccanismo in cui operano. Strumenti di distrazione di massa, di elusione tematica e di indottrinamento nell'ideologia e nella menzogna, talk-show, programmi di informazione e giochi a quiz servono al livello più appariscente e conclamato le logiche dello Spettacolo.