lunedì 11 marzo 2013

LA DIPENDENZA COME LA VEDO IO

(Difficoltà: 3,6/5)

Una ciocco-dipendenteAlcuni esperti tendono a restringere il campo di ciò che può dare dipendenza. Altri invece propendono per un allargamento dell'ambito (cfr. qui). E' chiaro al senso comune che tutto ciò che dà piacere può dare dipendenza. Questo è parte della natura umana. Ma se consideriamo l'habitat umano, nella fattispecie i condizionamenti sociali e l'operare delle multinazionali, allora il campo si allarga ancora di più. Infatti: la sigaretta è fra le cose che più danno dipendenza, eppure le prime boccate sono per tutti qualcosa di sgradevole. Lo stesso dicasi per l'alcool: è impossibile negare che vino, birra e grappa facciano inerentemente ribrezzo (il gusto dell'amaro è presente in natura per segnalare qualcosa di potenzialmente velenoso). Eppure molti fumano e bevono: per effetto del condizionamento sociale (queste attività rendono “cool”) ma anche delle sofisticazioni dell'industria (l'industria del tabacco è da sempre accusata di impregnare le sigarette di additivi per aumentare la dipendenza nel consumatore). Quindi c'è qualcosa che dà dipendenza “naturalmente”, perchè è buono ai sensi umani, e questo rientra nell'istinto di conservazione o procreazione (cibo, sesso ecc.). Ma c'è anche qualcosa che dà dipendenza per via più o meno artificiosa e artificiale, che ripugna ai sensi, e che fa leva sull'istinto di morte e di autodistruzione.


Piacere irrisolto, dovere incompiuto

La distinzione fra la dipendenza da cose che si consumano e i comportamenti che configurano una behavioral addiction, è più qualcosa di accademico che di reale. Anche il consumo del cibo assume, varcata la soglia della normale fisiologia, un tratto compulsivo che sposta il fulcro del problema dalla materia (il cibo) al gesto (l'atto di abbuffarsi): il bulimico si ingozza di un cibo che non vuole veramente, e che poi espelle con il vomito. Verrebbe da chiedersi se l'intero fenomeno della dipendenza non si esaurisca in fondo nel punto in cui la dimensione fisiologica trapassa in una dimensione comportamentale. Sta di fatto che la dimensione compulsiva del gesto ridimensiona di molto il piacere che si può ricavare dall'atto fisiologico: atti come l'alimentarsi, l'avere sesso, la comunicazione (social network) o il gioco (videogiochi, videopoker) possono diventare coazione a ripetere, riflessi semi-condizionati che vengono eseguiti quasi in trance e che si travestono paradossalmente da senso del dovere.
Sono del resto gli studi sulla dipendenza a farci propendere per una teorizzazione olistica della stessa: tutto può dare dipendenza, se ripetuto a sufficienza. Quando non sussiste l'elemento del piacere, c'è pur sempre il “senso del dovere” a giustificare l'atto coattivo. A tutti è capitato di sorprendersi a pensare di aver fatto il proprio dovere dopo aver ingurgitato l'ultimo bicchierino della giornata, o aver fumato l'ultima sigaretta, o aver fatto l'ultimo post su Facebook, o aver completato l'ultima partita a Tetris o a Buzzword. La frequenza patologica di queste e altre attività da un lato toglie loro quasi ogni piacere; dall'altra, la stessa coazione a ripetere fa percepire l'attività come un dovere da espletare. Il piacere si identifica con il dovere in modo tale che il primo viene tolto di mezzo e il secondo è fin dal principio e per natura completamente falsato. Il dovere è dato dall'inseguimento di un piacere che non si può afferrare, quindi anche il dovere non è espletabile. Alla frustrazione fisica di un piacere irraggiungibile si aggiunge quindi la frustrazione morale (anzi pseudo-morale) di un dovere costitutivamente inespletabile.


Conclusione

Io penso che ognuno di noi dovrebbe interrogarsi sulle eventuali fonti di dipendenza (che possono essere le più impensabili e disparate) nella propria vita e farsi domande come: perchè sto facendo questo? Mi dà veramente piacere? Qual è la mia “dose” di tolleranza oltre la quale il piacere lascia il posto a una ripetitività vacua e compulsiva? La soddisfazione morale che provo nel fare una cosa trova la sua giustificazione nella cosa stessa o è mal riposto? Come abbiamo visto, la consapevolezza morale passa anche attraverso la consapevolezza del proprio corpo e delle sue pulsioni

Addiction
 

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