domenica 12 aprile 2015

"E' UN CASO": LA FRASE CHE FREGA

(Difficoltà: 4,1/5)


Il caso è un lusso che l'uomo, essere razionale dotato di capacità d'astrazione, non può permettersi. L'affermare nei fatti della vita: "E' un caso”, o coincidenza, è più spesso che no una razionalizzazione della propria pigrizia di pensiero e d'azione; è, soprattuto, un modo per nascondersi scomode verità che porterebbero a interrogarci sul perchè non pensiamo e non agiamo come dovremmo. 
Ritenere, per esempio, che lo stuolo di inquisiti/arrestati/condannati della politica sia una questione di “casi singoli”, incoraggiata dalla lirica autodifesa di categoria che si solleva a favor di media in questi casi (“Noi politici non siamo tutti così”: cioè la solita retorica della “mela marcia” in un elegiaco cestino di mele mature e sane che lavorano per noi ogni giorno e che tolgono il medico di torno), è qualcosa di più di un errore intellettuale: è un viatico per l'agente opportunista della corruzione, che - nel caso non ce se ne fosse accorti - sta condannando il Paese a una lenta e disonorevole morte.
Quello che serve è un ragionare per “sistema”. Si tratta a ben vedere di adeguare il pensiero all'oggetto a cui si rivolge: del resto non è la politica stessa - quando intesse le sue reti fra legislazione, affari, media, società e mafia – a concepirsi come “sistema”? Perchè allora il cittadino deve decostruire il tutto pensando per fatti isolati e irrelati? Senza una coscienza pubblica delle dimensioni qualitative del fenomeno, la lotta alla corruzione (intesa in senso lato) si fermerà sempre ai pannicelli caldi, alla cura sintomatica, a un contrasto di superficie volto unicamente a poter far dire: “Avete visto? Stiamo facendo qualcosa.” E il cittadino che ha solo bisogno di mettersi il cuore in pace può trovare un fugace sollievo, e tornare a stordirsi con la sua quotidiana merda catodico-digitale.

  La responsabilità di “mettere assieme i pezzi del mosaico” è sempre e comunque dell'individuo, magari coadiuvato da associazioni e gruppi di responsabilità civica. La società – governata come è sempre più dalla legge del profitto – ha al contrario tutto l'interesse di scomporre il quadro d'insieme nei singoli fatti, di non far percepire la foresta oltre i singoli alberi. L'azienda che fa inceneritori e che manda avanti i suoi luminari anticancro per dire che è “tutto ok, i fumi non fanno male, anzi”; o i suoi esperti di comunicazione per rivestire la cruda realtà di denominazioni accattivanti (“termovalorizzatori”); o i suoi politici per poter costruire la struttura dove non potrebbe stare - quest'azienda ha il gioco molto più semplice se il cittadino non sa fare due più due - ad esempio, nella valutazione della casistica dell'insorgenza di cancro nel sito dell'inceneritore - ma sceglie di rifugiarsi in un più pacificante: “E' solo un caso”.
Ciò che i predatori della società capitalistica vogliono è precisamente questo: l'annullamento del pensiero logico; della capacità di fare le somme e le sottrazioni per arrivare a un risultato. In una parola: la perdita dello sguardo d'insieme.

  A tutti piacerebbe di tanto in tanto condividere la placida ignoranza dell'animale, che valuta la realtà che lo circonda per momenti isolati, in base a ciò che questa di volta in volta gli getta addosso. Purtroppo, la forma di convivenza di specie che ci siamo scelti implica una qualità di razionalità più complessa di quella che siamo pronti a sostenere. Il sistema politico-affaristico che governa il mondo questo l'ha capito e lo sta usando senza scrupoli contro di noi da secoli. Quando inizieremo noi normali cittadini a fare la nostra parte?

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