venerdì 2 agosto 2013

IL POLITICHESE COME LINGUAGGIO DELL'IGNAVIA TRUFFALDINA

(Difficoltà: 4,2/5)

L'"homo monitans" par excellence G NapolitanoIn una società dove solo ciò che si può osservare – nemmeno tanto più, come per s. Tommaso, “toccare” - è reale, si è portati a considerare il linguaggio come una cosetta inutile e ininfluente, un coagulo di espedienti retorici fatti apposta per scansare l'azione.
E non è un caso che ciò risulti tanto più vero in una realtà in cui chi maggiormente dovrebbe agire tende a soppiantare l'opera con il temporeggiare interlocutorio e con una retorica evasiva e più o meno suggestiva. La classe politica, certo, ma anche la classe dirigente imprenditoriale, professionale ecc. Naturalmente, lo strumento - non certo la causa - che ha occasionato questo, è stato il il talk show, che ha sostituito le vecchie tribune politiche all'insegna del cicaleccio. Apparire in un talk show è agli occhi del pubblico già un "fare", e ciò vale anche per la chiacchiera che vi si spande. Ciò spiega come anche chi è prominentemente chiamato a "fare" se la possa cavare con formule politichesi e burocratesi miranti a eludere la responsabilità dell'azione.


Politica e Burocrazia: Linguaggio del Potere e Potere del Linguaggio

Proprio nell'ambito politico, il linguaggio svolge il suo ruolo più importante, che è quello del nascondimento e del camuffamento sofisticheggiante. Inoltre, il “meta-linguaggio” politico, sempre intriso del simulacro della concretezza nel dire cose concrete, ma che non vuole fare - mentre, sul versante opposto, come sappiamo fa cose che non può dire se non in maniera generica e sfuggente - serve proprio a donare quell'impressione di concretezza che uccella il popolo e giustifica l'assegnazione di ruoli, incarichi e mansioni affatto aleatori e pretestuosi. 
Il politichese pertiene alla comunicazione politica, e nasconde il nulla di quello che si ha da dire; il burocratese invece pertiene alla parte operativa e amministrativa, e nasconde il nulla di quello che si è chiamatti a fare. Il primo – quello politico - è il linguaggio del potere; il secondo – quello burocratico - è il potere del linguaggio, ma sono in fondo l'una e medesima cosa, incarnata dalla stessa tipologia di individui. Il linguaggio del nostro tempo assolve quindi - tra gli altri - lo scopo di donare concretezza illusoria a quello che concreto non è. In questo modo il, linguaggio prende in giro il popolo, teorico beneficiario dell'azione politica, e dissimula i favori del clientelismo più becero e parassitario, l'attribuzione delle deleghe più assurde e le branche di spoil system più paradossali. Smascherarlo richiede conoscenza su come funzionano le cose e su come il linguaggio le permea. 


Inganno Linguistico e Pubblico Saccheggio

Gli esempi saltano all'occhio se si riflette sull'assurdità della controparte operativa alla quale le varie dizioni alludono. Per i grandi eventi come i G8 e le Olimpiadi, ad esempio, c'è l'“attivatore di eventi”, che si distingue solo per morfologia linguistica da un altro incarico da grandi eventi, quello del “soggetto attuatore”. In Parlamento, tempio della fuffa linguistica, c'è poi il “ministro per l'attuazione del programma”, dal quale apprendiamo che i governi hanno bisogno di qualcuno che, all'interno del governo, vigila acchè esso governi.
Attuazione”, attivazione”, “attivatore”, “attuatore”: tutte parole improntate al decisionismo, alla concretezza dell'azione, ma che albergano il principio di un peculato onnipresente e a norma di legge. E' il “potere del linguaggio” che diventa, per détournement, “linguaggio del potere”, il linguaggio della burocrazia che serve una politica ladra e ignava.

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