lunedì 23 settembre 2013

QUALCOSA DI INTERESSANTE SUL CONCETTO DI PROGRESSO

 (Difficoltà: 4,3/5)

Una domanda: è il progresso null'altro che l'insieme delle soluzioni ai problemi che esso stesso ha creato?

Thanks to Codivec.ch
A volte ci vuole coraggio nel rispolverare questioni che sono state messe in naftalina dopo secoli di discussione. Ciò deve essere particolarmente vero nel caso del concetto di progresso.
Una interpretazione di questo concetto, tra le più interessanti, fu offerta da S. Freud in "Aldilà del principio di piacere ("Jenseits des Lustprinzips", 1920), in cui il fondatore della psicoanalisi esprime l'opinione che l'idea di progresso rappresenti un'illusione, in quanto il progresso altro non fa che offrire soluzioni ai problemi che esso stesso ha creato. La stessa idea si ritorse contro la psicanalisi diverso tempo dopo, a mò di scherzosa nemesi, quando fu espressa l'idea (Woody Allen?) che la psicanalisi altro non sarebbe in realtà che "il problema di cui dice di essere la soluzione."


Dio dà, Dio prende. L'uomo dà, l'uomo prende

Ci sono due punti in particolare che vorrei qui includere:
1) il progresso può essere detto vero e indiscutibile quando ci si confronti con eventi per i quali si può dire che il comportamento umano non riveste alcun ruolo, che l'uomo non vi abbia responsabilità, come le catastrofi naturali e quelli che gli anglosassoni chiamano "acts of God". In molti di questi episodi, dato l'elemento dell'inevitabilità, le azioni umane che vengono intraprese per prevenire danni a cose e persone parlano a favore della realtà del progresso, della sua esistenza e quindi della plausibilità del suo concetto. La lista di questi eventi, tuttavia, potrebbe essere più scarna di ciò che si potrebbe pensare, se consideriamo le voci circolanti a proposito del ruolo che il riscaldamento globale svolgerebbe in fenomeni come le inondazioni, i tornado e altre catastrofi "naturali".
2) Per tutte la casistica che il punto 1) esclude, la realtà del progresso è più nebulosa, in quanto si basa su complesse valutazioni fra i pro e i contro, le perdite e le conquiste, di ogni singolo elemento. Se per quanto al punto 1) possiamo dire che "Dio dà e Dio prende" (anche se con la distinzione che abbiamo indicato), qui dobbiamo porre al centro l'uomo, e l'affermazione diventa: "L'uomo dà e l'uomo prende". Usare l'auto può far risparmiare tempo, e così viviamo più a lungo in termini relativi (perché riduciamo significativamente i "tempi morti" del camminare fra un luogo e l'altro, e possiamo acquisire più tempo per ciò che di più ci piace fare nella vita). L'altro lato della medaglia è che perdiamo tempo in termini assoluti, in quanto l'ambiente diventa più inquinato e le nostre società sviluppano malattie molto più rare nelle epoche precedenti. D'altra parte ancora, il progresso ricupera terreno nel metterci a disposizione cure per la maggior parte di queste infermità, e l'aspettativa di vita nel complesso cresce, sollecitando la conclusione che la realtà del progresso non possa essere messa in dubbio, perché comprovata dai numeri e dalle statistiche. Ma qui sorge un problema.


Il problema delle statistiche

Disgraziatamente, l'analisi non finisce qui. Le statistiche sono stupide e, per citare il poeta Trilussa, dando retta alla statistica ogni cittadino ha tre polli, mentre in realtà alcuni ne hanno 6 e altri nessuno. Il punto è che le statistiche devono rivolgersi a una larga popolazione per risultare quantitativamente accurate. Ma quanto più esse allargano la base base quantitativa della ricerca, tanto più diventano inaccurate da un punto di vista qualitativo. In passato, molti di più erano i bambini che morivano appena nati in confronto a epoche più moderne, e le guerre erano più frequenti che oggi, ciò che spiega perché l'aspettativa media di vita dell'età romana ammontava a 50 anni in meno degli standard attuali. C'erano certo malattie che erano mortali. Ma da questo punto di vista, il nostro unico vantaggio è la conoscenza: noi conosciamo ciò che ci uccide molto più di quanto non accadesse in passato, ma moriamo nondimeno, e le cure per ciò che ci uccide maggiormente, come l'Aids o il cancro, sono ben lungi dall'essere scoperte. Inoltre, ciò che era solito uccidere molti individui nelle società occidentali in epoche così lontane come il Medioevo, continua ad uccidere in società meno evolute, Africa in primis, che ha goduto poco o nulla del progresso della Storia.


La ricetta per diventare ricchi: avere un sacco di soldi!

Questo ci porta a un'altro problema relazionabile all'interpretazione del progresso: come ampiamente dimostrato, il nostro progresso è ingiusto e iniquo non solo da continente a continente, ma, per esempio, da città a paese all'interno di uno stesso territorio, e da cittadino a cittadino all'interno di uno stessa città. Se accettiamo di considerare l'aspetto più triviale del progresso, e cioé l'allargamento dell'accesso alle risorse materiali, troviamo che la ricchezza tende a favorire coloro che già sono ricchi. L'organizzazione corporativa delle società moderne tende a far valere un unico principio: ci vogliono soldi per fare i soldi. Questo principio sfida la logica (la logica in sé, non solo la logica del liberalismo), perché ripercorrendo a ritroso la catena delle cause e degli effetti, si raggiunge un punto nel quale il padre del primissimo erede deve essere partito con non una lira in tasca. Se "solo i soldi possono fare i soldi" è l'unico principio dotato di efficienza, allora l'eredità è il solo principio che conta.* Mutatis mutandis, il discorso vale anche per il potere e la carriera: "Solo il potere può fare il potere". Nel modello di società nel quale i processi umani incorrono in una tautologizzazione nella maniera che ho indicato, allora la logica di progresso cade vittima di un corto-circuito, perchè ogni volta ciò che ci vuole per diventare qualcuno è ... semplicemente il fatto di esserlo già! Poichè il progresso si fa avanti non solo con i numeri (e abbiamo visto quanto problematico può essere definire il progresso per questa via), ma forse più preminentemente con un bagaglio concettuale al pari di ogni altro prodotto della cultura nel suo senso originario - perché la cultura umanistica, non la medicina o l'economia, è il dominio nel quale l'idea di "progresso" nacque - allora dobbiamo pervenire alla conclusione che la parte pù grande di questo babaglio concettuale ha molto a che fare con il concetto di equità, e l'idea di progresso perde senso se non accompagnata da una corrispettiva idea di equità.


La risposta alla domanda

Una conclusione apprezzabile che si può trarre è che l'equità è un concetto portante della realtà del progresso. Ma così come una persona non è solo scheletro ma anche tessuti e funzioni, anche la complessità del concetto di progresso permette a qualsivoglia spiegazione di scalfirne solo la superficie. Quindi, avanti con la domanda cruciale. Il progresso esiste o non esiste? Penso che l'unica ragionevole risposta dovrebbe essere, anche per il più colto fra noi: non lo sappiamo.
*Nota: riconosco che questa mia affermazione può essere condizionata dall'atmosfera del pease ove vivo (l'Italia). In altri paesi il talento, e non il semplice fatto di appartenere a un influente gruppo o famiglia, è considerato il criterio predominante.

Dalla mia creatura "I Rinnegatti"

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