domenica 17 agosto 2014

LA COMUNICAZIONE DELL'INUTILE CONSUMABILE: IL "SELFIE" COME "BUZZWORD"

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Storia del selfie: dalle origini...... ai nostri giorni
Chiunque pensi che la parola “selfie” abbia una colorazione sessuale, rimarrà deluso.
Ogni tanto una parola – sì, non un fatto e nemmeno una frase, solo “una parola” - tiene banco sui giornali per un ampio lasso di tempo. In questi giorni e mesi, questa parola è appunto: “Selfie”.
Il fatto curioso è che questa volta il termine è autenticamente inglese, e non una volgare traslitterazione di qualche “creativo” nostrano, o un termine esistente nella lingua di Shakespeare ma da noi male applicato.
Un chiaro esempio a quest'ultimo proposito è il termine “outing”, che ha imperato nelle cronache più o meno scandalistiche negli ultimi anni. “Outing” stava da noi a significare la confessione pubblica volontaria della propria omosessualità, laddove il termine inglese correttamente applicato allude semmai alla rivelazione pubblica dell'omosessualità di una celebrity senza il consenso della medesima. Più recentemente, i media italiani sembrano aver capito che l'espressione giusta per ciò che avevano in mente sarebbe “coming out”.
L'uso assillante che si fa del termine “selfie” non sembra questa volta rispondere all'esigenza tutta italiana di innestare nell'opinione pubblica delle parole ad effetto che la distraggano da eventi politicamente scomodi, quanto piuttosto un fenomeno mondiale legato alla moda pratica di quello che, un tempo, si sarebbe semplicemente chiamato “autoscatto”. Non si spiegherebbe altrimenti l'assurda tragedia recentemente verificatasi in Portogallo, dove una coppia di genitori polacchi è caduta in un precipizio costiero mentre era intenta a scattarsi una foto con alle spalle la furia dei marosi contro gli scogli.
Ma fenomeno mondiale o meno, il selfie è a tutti gli effetti una “buzzword”, una trovata di marketing come tante prima, un boccone per allocchi rilasciato nell'humus sempre fertile di una platea consumistica sempre pronta a farsi distrarre. Nei paesi anglofoni il carattere di buzzword del “selfie è mitigato dal fatto che si potrebbe trattare di una semplice abbreviazione – anche se probabilmente impropria - di un termine più esteso: self-portrait. Ma la viralità del termine, che riflette la moda della pratica che vi si connette, è comunque probante.
Il trucco per smascherare l'imbroglio della buzzword è semplice: al pari delle merci di puro consumo, basta riflettere sulla sua fungibilità rispetto a fenomeni o bisogni già presenti e conosciuti. Nel nostro caso, basta tradurre la parola in questione. Si scopriranno uno o più sinonimi in grado di esporre la dozzinalità del gioco di prestigio che ha così efficacemente irretito le nostre deboli menti di uomini contemporanei. E si scopre così che “selfie” non è altro, appunto, che l'“autoscatto” (o “autoritratto”) già in uso agli albori della fotografia. Ogni tentativo di sottolineare la specificità della nuova denominazione (il fatto per es. che si fa con un apparecchio digitale, o il carattere di improvvisazione ecc.) palesa l'irrisorietà delle distinzioni che si adducono, e la insostenibilità autodefinitoria è un tratto inerente alla buzzword come puro fenomeno verbale o come fenomeno legato a una merce o comportamento consumistici, rispondente all'esigenza di trovare senso per un'esistenza che ne è costitutivamente priva.

Il consumismo è il gattopardismo comportamentistico (nel duplice senso verbale e materiale), il cortocircuito di una comunicazione che gira in folle e che condiziona la condotta di un'intera società: cambiare per non cambiare, mutare pelle per preservare il corpo di una società tutta avviluppata nei suoi autoinganni. L'unico senso del "selfie" è quindi quello di aprirci gli occhi sui fondamenti di una realtà in cui i condizionamenti del comportamento individuale e sociale presentano un carattere sottile eppure totalizzante. Ma anche qui, già ci hanno pensato migliaia di parole prima di essa, e ancora lo faranno migliaia di parole dopo di essa. 

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