mercoledì 26 settembre 2018

ANCORA SUL MISTERO DEL TEMPO E SULLA PERCEZIONE DELLA VECCHIAIA

(Difficoltà: 3,6/5)

L'inizio della mia vecchiaia può farsi risalire al giorno nel quale si poteva dire che erano passati tanti anni tra la mia nascita e il momento presente quanti ne erano passati dalla Seconda Guerra Mondiale alla mia nascita stessa.


Storia Illustrata

Un po’ di backstory. Da piccolo ero un avido lettore di Storia Illustrata, grazie a una ingente collezione regalatami dal mio compianto zio (includeva numeri degli anni ’50!); in aggiunta a ciò, passavo molto del mio tempo a sfogliare enciclopedie universali o storiche per riempire il vuoto di pomeriggi nei quali ero lasciato a casa da solo fino a serata inoltrata. Avevo quindi fin dalle elementari respirato l’aria di quella pagina della Storia mondiale, che consideravo lontanissima da me per due motivi: il primo, che non avevo ancora superato la mia prima decade di vita e il tempo dalla fine della guerra equivaleva al tempo che avevo vissuto moltiplicato per quattro; secondo, perché avevo sempre vissuto in tempo di pace e quindi una guerra così enorme mi sembrava una cosa concettualmente estranea, come se provenisse da prima degli albori della civiltà. (Non è sorprendente come l’uomo si abitui così facilmente alla pace?)


La Percezione del Tempo che Passa: dagli Slanci Fanciulleschi al Crash Landing

Si sa che i bambini soggiaciono a una sopravvalutazione dell’elemento temporale: un po’ perché essi non hanno ancora la nozione degli anni che passano; un po’ perché la loro vita è piena di ozio e scorre lenta, ergo essi proiettano anche nella percezione dei loro anni a venire questo carattere di “temporalità latente”; in altre parole, essi sono convinti che per loro il tempo passerà sempre così lentamente, anche quando diventeranno adulti. Questo inganno prospettico li porta a vedere gli adulti come delle persone enormemente distanti da loro dal puro lato temporale. Un altro effetto di questa percezione distorta – ma sempre strettamente collegato - è che essi possono vagare con la fantasia in merito a ciò che possono diventare: nulla sembra loro precluso (il diventare scienziati, artisti, il viaggiare su Marte come astronauti ecc.), vista l’enormità di tempo che sentono di avere davanti a sè. S’immaginano anche che, per quando saranno adulti, qualcuno (forse loro!) avrà già invantato quelle diavolerie tecnologiche finora prerogativa dei film di fantascienza: auto che volano, veicoli per viaggi turistici nello spazio profondo ecc; il tempo per inventarle non mancherà, pensano loro.
Ma, aimè, nell’età adulta il tempo vola: è l’effetto di una vita più routinaria e meno ricca, dove la possibilità del gioco creativo si riduce o annulla, e quindi anche una vita più alienante, che ci spinge a contare i minuti che ci separano dal suono della campanella di fine turno; o dalla fine di quel film che tanto ci è stato raccomandato ma che in realtà è la solita noia, o da altro. Quindi da una parte rinunceremmo ogni giorno magicamente a ore di vita pur di liberarci di un’incombenza che viviamo come un’imposizione; dall’altra, divoriamo le ore in passatempi sterili per dimenticare la realtà di una vita passata a fare qualcosa che non ci soddisfa. Purtroppo, il tempo da adulti vola via con l’agilità di un grifone, e questo da fanciulli non siamo in grado di calcolarlo. 


Conclusione: Vecchio Dentro

Anche io mi illudevo che, nel momento in cui fossero trascorsi tanti anni quanti ne erano trascorsi dalla fine della Guerra all’anno della mia nascita, io sarei già stato un qualcuno di famoso o affermato, che avrei già realizzato le mie aspirazioni ecc.: il tempo c’era, ed era enorme, pensavo. Quel giorno sarebbe stato per me il drammatico spartiacque, la summa di una vita, il momento della resa dei conti e qualcosa di molto simile a un bilancio finale. E’ così che, ancora qualche mese prima dell’arrivo di quella scadenza campale mi si poteva udire bofonchiare, fra i corridoi dell’università e di altri ambienti che frequentavo: “Ormai sono un vecchio”.

Avevo 26 anni.

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