mercoledì 13 febbraio 2019

LA DITTATURA DELL'ESPERIENZA

 (Difficoltà: 2,2/5)

Mi è capitato recentemente di avere subito una serie di piccoli soprusi da una collega molto più anziana – e non laureata - sul luogo di lavoro. Si è trattato di una sequela di episodi che denotavano una chiara mancanza di rispetto della collega nei miei confronti. Ho chiesto un colloquio con la dirigente – sì, anch’essa donna – la quale ci ha convocati entrambi. Senza voler sentire nulla di quello che volevo dirle, però, la dirigente ha esordito dicendo: “Io ho assoluta fiducia in [nome della collega bulla]”. Si è trattato di un modo per “mettermi al mio posto” di nuovo arrivato. Il messaggio è chiaro: non me ne frega nulla di creare un’armonia nel team che vada a vantaggio della produttività e della soddisfazione del cliente; non mi interessa nulla stabilire la giustizia in base al confronto dei rispettivi argomenti; non mi interessa niente comunicare un senso di tutela e di fiducia all’indirizzo del nuovo arrivato; non mi interessa nulla di trattenere le persone di talento; mi interessa solo che si rispetti la gerarchia di anzianità. “Chi ti credi di essere? Te lo dico io chi sei: un nuovo arrivato. Quindi subisci in silenzio e non rompere i coglioni!”


La "Dittatura dell'Esperienza": i Tratti Bestiali della Marcatura del Territorio e dello Spirito del Branco

In questo mondo folle, c’è una cosa chiamata “dittatura dell’esperienza”. Ma cos’è la “dittatura dell’esperienza”? Essa è l’accento spropositato posto sull’elemento dell’esperienza. La possiamo trovare, naturalmente, soprattutto nel mondo del lavoro, ma non solo. Chi ha svolto il servizio militare, per es., sa che c’è un codice non scritto per il quale i nuovi arrivati non godono, di fatto, degli stessi diritti di chi ha iniziato anche poco prima di loro. Si chiama “anzianità”, una cosa attorno alla quale si costruisce, in maniera del tutto informale ma tollerato dal sistema, un sistema di privilegi e di vessazioni ai danni dei nuovi malcapitati. E’ un travaso nel dominio sociale-umano di un tratto fondamentale del mondo animale: la marcatura del territorio. Il mondo del militare è in questo senso, se non altro, più onesto del mondo del lavoro: in esso non si usa nemmeno il termine “esperienza”, ma, appunto, "anzianità": non è tanto l’esperienza che si è accumulata nel fare le cose a determinare lo status superiore, quanto il semplice fatto di essere arrivati prima, di aver avere in saccoccia più settimane o mesi trascorsi in quella realtà.
Nel mondo del lavoro opera lo stesso fattore animalesco della marcatura del territorio. Ma, siccome c’è da tener conto, almeno a livello di facciata, di un elemento di rendimento e di produttività, allora si innalza la maschera dell’“esperienza”. Naturalmente, l’esperienza è pure un legittimo fattore nella performance individuale all’interno di un’azienda. Ma non è l’unico fattore, e questo è il punto: il fatto di dare all’esperienza un ruolo esclusivo tradisce ciò che sta dietro l'invocazione del fattore esperienza nella vita sociale e lavorativa: la difesa del proprio dominio territoriale. In sostanza, l’esclusivo accento posto sull’esperienza, per cui ad altri fattori più importanti come tutto il novero delle qualità individuali si dà poca o nulla importanza, manda un unico messaggio: “Io sono qui da più tempo di te, ho occupato questo territorio da prima di te”. Laddove, per affermare la sua dominanza nel territorio l’animale orina sui tronchi degli alberi o sui muretti dei marciapiedi, l’umano nasconde il tutto sotto una patina in apparenza più “civile”; ma la sostanza è la stessa.
Così, nelle diatribe, non conta quanto uno possa avere ragione: anche il datore di lavoro, cioè colui che ha più interesse acché l’azienda funzioni bene e quindi il merito sia premiato, tenderà a dare ragione sempre e comunque al collega più “anziano”. Questo è un modo per tenere il neo-arrivato (non importa quanto più bravo e quanto più utile all’azienda) al suo posto.
Ovviamente, ogni azienda – anche la più “razionale” e tecnologica – è un crogiolo di rapporti di forze in cui si aggirano dei tagliagole e nel quale dominano in sottofondo gli istinti più deteriori. Sbaglia chi, sulla stregua del fatto che la vita di un'azienda è pur pervasa dai criteri dell’orientamento al risultato e dei numeri, conclude che in essa debba dominare la razionalità. Sotto il sostrato degli aspetti razionali e più apparenti, infatti, vi è un fondamento di irrazionalità basato su rapporti di forza, il quale in casi estremi ma tutt’altro che infrequenti arriva a minare l’esistenza stessa dell’azienda. (Qualcuno potrebbe spingersi a dire che questo tipo di irrazionalità si applichi a tutti i rapporti interpersonali, e non sarebbe così lontano dalla verità).
Anche la giustificazione che i soprusi e le ingiustizie che uno è chiamato a sopportare nei suoi primi mesi o anni in azienda siano parte di un percorso per “farsi le ossa” e testare e migliorare la propria resistenza caratteriale è solo una scusa a copertura di quanto appena descritto.
L’esempio della mia dirigente fa capire che opera qui anche un istinto del branco; ma, siccome l’uomo è, a differenza di un animale come il lupo, una creatura stanziale, anche l’elemento dello spirito di branco s’innesta su una solida base di istintuale salvaguardia della dominanza territoriale.


Conclusione: non Ogni Esperienza è Buona

In ogni caso, nella “dittatura dell’esperienza” operano gli istinti più bassi, irrazionali e primordiali. Il che ci fa capire, ancora una volta, che noi siamo innanzitutto e soprattutto degli animali. La tanto sbandierata "civilizzazione" assolve principalmente allo scopo di nascondere alla nostra vista e alla nostra coscienza questa triste e umiliante realtà.

C'è poi un ultimo punto - importantissimo quanto ovvio - da chiarire. E' da persone ottuse considerare l'esperienza come un valore in sé e quindi in senso assoluto (per non parlare poi di chi la considera valore esclusivo). Un'esperienza basata su un'idea sbagliata di come fare il proprio lavoro, per esempio, è un'esperienza che non fa che cristallizzare la propensione a commettere errori, il che rende sempre più difficile cambiare. Inoltre, in un mondo che evolve, l'esperienza che non si nutre dell'intelligenza di interpretare i cambiamenti e di conoscenze aggiornate è più un handicap che una risorsa. E' anzi, nei casi estremi, un qualcosa che andrebbe distrutto e rifondato ex novo.
Come esistono esperienze positive e negative nel senso delle vicende che uno vive, così esiste un'esperienza positiva e negativa nel senso del bagaglio di risorse che uno si trova a disposizione per affrontare il mondo.



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