domenica 14 maggio 2023

NON ESISTE UNA “CULTURA LGBTQ”

(Difficoltà: 4,4/5)

Propaganda porno-gay nelle biblioteche scolastiche
 
Le lettere nell’acronimo LGBTQ stanno per “Lesibche, Gay, Binary, Trans, Queer”. Poi c’è il plus (+), a indicare tutti gli altri “generi” (penso ormai siamo arrivati all’ordine delle decine).

Ciò che sta a cuore ai militanti che si raccolgono sopra la sigla LGBTQ+ è la riforma di milioni di anni di biologia. Un progetto un po’ ambiziosetto, soprattutto considerato il livello intellettuale e culturale di chi lo porta avanti. Ma è un progetto che gode del supporto dell’establishment nel senso più lato. C’è la politica, ovviamente, che vede in gay e trans un succoso bacino elettorale, vista l’esplosiva deriva effeminante occorsa negli ultimi decenni (direi a partire dai ’70 e ’80), e sulle cause della quale sarebbe troppo lungo dilungarsi: una per tutte gli interferenti endocrini estrogenizzanti presenti nelle più comuni plastiche d’uso alimentare. Ci sono poi i media e le grandi corporation come la Disney, che non sembra mancare occasione ultimamente per inserire messaggi di propaganda LGBTQ nei suoi cartoni per bambini. Ci sono poi le immancabili ong, autentico braccio occulto del potere globalista che vede nella confusione di genere, tanto quanto nell’immigrazione illegale, un’occasione per seminare casino e dividere la società per ripristinare un’aristo-oligarchia high-tech in grado di far impallidire l’Europa dell’ancien régime. Potremmo parlare poi della Chiesa Cattolica, ma che dirne di male che non sia già stato detto, e con ottime ragioni?

 

Non Esiste una Cultura LGBTQ

A rischio di farsi imbrigliare in discussioni assurde (“il cretino cerca di trascinarti al suo livello e poi vince per esperienza”) quali la negazione dell’esistenza di due generi, una realtà a cui siamo accostumati pressocché dagli inizi della vita animale su questo pianeta, e che come abbiamo visto rischia di perdersi nella cortina fumogena della propaganda LGBTQ e della sua ubiquitaria cassa di risonanza, vogliamo qui partire dalla radice, e cioè dall’esame della sigla con cui questi personaggi si presentano. Ho già riferito in passato di quanto non creda affatto nell’esistenza di una “cultura gay” (o LGBTQ che dir si voglia), e che al massimo possa esistere una sottocultura gay fatta di adescamenti in vicoli e locali adibiti al sesso promiscuo e alla conseguente trasmissione di malattie veneree. E si badi che anche il termine “sottocultura” è qui impiegato con molta generosità. Esiste, per esempio, una cultura romantica, fatta di opere letterarie, figurative e musicali di massimo livello; ma esiste anche, sempre per esempio, una sottocultura punk, fatta di canzoni, libelli, arte performativa, e in quanto tale collocabile in un determinato contesto generazionale e parte della storia della più generale cultura popolare. Anche il termine “sottocultura” quindi, e questo è il mio punto, contiene in sé il termine “cultura”, è cioè un qualcosa che identifica una storia fatta di mode, di sensibilità, di messaggi politici e espressivi. Tra le varie ipotesi definitorie, si potrebbe dire che “cultura” descrive un fenomeno che ha segnato la storia dell’Umanità, mentre “sottocultura” descrive un fenomeno che ha segnato la storia di una generazione, tipicamente nel periodo più dinamico dell’età dell’individuo, costituito dall’adolescenza e dal primo stadio adulto. Alla sottocultura si addice il termine, probabilmente un po’ limitativo ma che mai potrebbe essere applicato a fenomeni culturali come il Romanticismo, l’Illuminismo o il Barocco, di “moda” o “tendenza”.

Ma cosa di tutto questo è la “sottocultura gay”? Non si nega che anche autori gay abbiano prodotto musica, opere letterarie ecc.; ma sono queste veramente un prodotto del “mondo gay”, cioè dell’omosessualità dei suoi autori, o non sono piuttosto qualcosa che vive indipendentemente dalle abitudini sessuali degli stessi? Il fatto che Oscar Wilde fosse un omosessuale fa del Ritratto di Dorian Gray, la sua opera prima, un’“opera gay”? E Francis Bacon, ottimo pittore e gay, non si sarebbe sentito svilito dall’essere considerato un “pittore gay”, quando la sua arte non vuole essere affatto un resoconto o commentario ideologico delle abitudini sessuali dell’autore, ma vuole piuttosto, come tutta l’arte che si rispetti, aprirsi a vette espressive che scavano nel profondo dello spirito umano o della Natura? E che dire di Keith Haring? E, per arrivare alla musica pop, cosa dire di George Michael, che compose le sue migliori canzoni quando nulla ancora si sapeva della sua omosessualità?

In cosa consisterebbe dunque la “cultura” o, come dicemmo noi, “sottocultura” gay? Dove sono, nella pretesa “cultura gay”, le opere di autori, le componenti ideologiche di una Weltanschauung in grado di definire una tappa nella storia dell’Umanità? La realtà è che la “cultura” gay non è affatto una cultura, ma un pattern di abitudini sessuali legate a luoghi, incontri, simboli e messaggi, tutti legati alla sessualità praticata, e più specificamente a una sessualità praticata compulsivamente e "reattivamente", cioè in reazione a un rifiuto subito dal contesto sociale più ampio. In sostanza, gran parte o tutto di ciò che oggi viene definita “cultura gay” o “cultura Lgbtq” altro non è che un effetto di secoli di mancata accettazione dell’omosessualità nella civiltà occidentale. Se ciò è vero, la “cultura Lgbtq” deve ringraziare della sua esistenza coloro che l’hanno costretta con la loro intolleranza alla clandestinità. Ora che questa intolleranza è pressocché svanita e che anzi gli Lgbtq sono diventati la lobby trasversale di un nuovo totalitarismo pseudo-culturale, pseudo-linguistico e pseudo-scientifico che non risparmia niente e nessuno, solo ora appare tutta la pochezza di una cultura che mai è stata veramente tale, e la patetica debolezza dei tentativi di rivalutarsi oltre ciò che è.

Insomma, gli LGBTQ vogliono riformare la biologia e il pensiero attorno alla pseudo-verità (o post-verità, per dirla al modo d’oggi) della forzata molitiplicazione dei sessi oltre i due naturali, e quindi imporre un discorso culturale senza precedenti, il tutto senza avere una storia culturale alle spalle.

 

“LGBTQIA+”: un Acronimo Sospeso tra Evanescenza e Abominio

La debolezza del progetto culturale LGBTQ si evince anche dalla scelta del nome, anzi della sigla, e dall’orgia definitoria che accompagna il tentativo di consolidare il proprio brand a tutti i livelli del vivere sociale, con tutta la confusione che ne consegue; una confusione che risiede nella testa degli Lgbtq prima di tutto. Sembra una coincidenza incredibile, ma si può ben dire che nell’acronimo LGBTQ ogni lettera in successione corrisponde a un livello crescente di incertezza e fumosità. Quella lesbica è forse, tra le condizioni di alterità sessuale, quella più netta, perché l’omosessualità femminile non può essere riconducibile, come per l’uomo, a una duplicità di geni (l’X e l’Y, che sono entrambi presenti nel maschio), che nella donna è assente. Così, è più difficile e raro per una donna essere lesbica che per un uomo diventare gay, ma quando la situazione si verifica la posizione è più netta e meno ambigua del corrispettivo maschile. Per diventare lesbica una donna deve aver subito, presumibilmente nell'infanzia, situazioni talmente traumatiche da sovvertire in lei una predisposizione sessuale verso l’altro sesso che è oltremodo naturale perché sta scritta senza ambiguità nel codice genetico femminile.

Abbiamo poi la lettera G di “gay”. Anche sulla scorta di quanto appena detto è possibile capire – cosa peraltro suffragata dall’esperienza di ognuno di noi - come nella sessualità maschile esista una zona grigia che spesso rende meno facile separare i gay dagli eterosessuali. Come già detto, questo è iscritto nella genetica maschile. Ne consegue che le esperienze infantili, e soprattutto notoriamente il rapporto con un padre troppo assente o con una madre troppo dolce o troppo autoritaria, hanno un gioco più facile nel far pendere la bilancia dalla parte “sbagliata” (“sbagliata” quantomeno dal punto di vista procreativo) di quanto non accada con le femmine.

Continuando, abbiamo la B di "Bisex". Il livello di ambiguità qui è ben illustrato dal fatto che ancor oggi ci si chiede se la bisessualità esista veramente, o se nasconda invece solo la difficoltà a riconoscere la propria diversità e ad accettare la propria condizione di gay o lesbica.

Si trova poi la lettera T per “Trans”. Ancora, qui nessun Lgbtq sembra essere in grado di spiegare cosa si intenda con questa parola. Cosa sono i trans(essuali)? Uomini che amano travestirsi da donne (o viceversa), e cioè il tradizionale travestitismo? E in questo caso la condizione della transessualità altro non sarebbe che una moda, dismissibile con un cambio d’abito? Oppure sono i trans uomini o donne che non sanno decidersi e “transitano” tra il loro sesso di appartenenza e quello opposto, nel qual caso si potrebbe concludere che la loro “condizione” è quella di non sapere qual è la loro condizione? O sono, ancora, gli uomini e le donne che hanno cambiato sesso chirurgicamente? Ma in quest’ultimo caso si potrebbe argomentare che questi individui abbiano completato la propria “transizione”, e quindi non siano più “trans”. Le persone dell’alfabeto reagiscono con intolleranza primordiale e violenta verso chiunque faccia “misgendering”, cioè osi usare il pronome adatto al sesso biologico di un lgbtq che si “identifica” nel sesso opposto; figuriamoci se tale isteria non debba travolgere anche chi attui il misgendering verso una persona che ha effettivamente “cambiato sesso”.

L’ultima lettera è “Q”, che starebbe per “Queer”. Qui il livello di fumosità si avvicina al massimo (ma non ci siamo ancora, come vedremo). In pratica il “queer” (parola inglese che significa “strano”) riassume in sé tutti i caratteri precedenti, come sembra evincersi da questa definizione (confusa a dir poco, ma è questo il punto) dal sito di “Planned parenthood” (1):

Queer è qualche volta usato per esprimere il fatto che la sessualità e il genere possono essere complicati, cambiare con il tempo, e possono non rientrare nettamente in nessuna delle due o in identità come maschio o femmina, gay o eterosessuale.

In altre parole, la parola “queer” non rimanda a niente, non vuol dire niente e in nessun modo si distingue dalle condizioni legate alle precedenti lettere dell’acronimo.

Ma non è finita. A ogni intervallo di tempo sembrano aggiungersi nuove lettere, (molti siti parlano di “LGBTQIA”. Alla fine, anche le “persone dell’alfabeto” sembrano essersi stancate e hanno sussunto tutte le rimanenti lettere in un “+” arrivando così alla sigla, affatto provvisoria, di “LGBTQIA+”.

Ed è proprio questo “+” a dover farci riflettere. In questo segno matematico sarebbero infatti raccolte tutte le altre (decine, centinaia, infinite) condizioni o “generi” sessuali. Uno di quelli che salta all’occhio è quello dei “pansessuali”. Chi sono i “pansessuali”? Come dice il nome (“pan” è prefisso di derivazione greca che significa “tutto, interamente”), sono quelli la cui sessualità non conosce limiti, nemmeno (siamo autorizzati a concludere) di età o di specie. Si apre così la strada alla pedofilia (di cui peraltro si sta tentando proprio in questi anni una legittimazione urbi et orbi) e alla zoofilia. Sviluppi altamente prevedibili quando una società si lascia guidare alla deriva da gente folle e pervertita, che in tempi più normali sarebbe esposta al pubblico ludibrio o, quando i casi lo richiedano, rinchiusa nelle patrie galere.

1) What does 'queer' mean?, Planned Parenthood, s.a., s.d.

https://www.plannedparenthood.org/learn/teens/sexual-orientation/what-does-queer-mean

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