martedì 13 febbraio 2024

I CANI PAVLOVIANI HANNO IL CICLO

(Difficoltà: 2,9/5)

L'origine del nostro amore per gli animali è semplice: essi sono diversi dall'uomo. Gli animali siano animali e gli esseri umani siano esseri umani. Trattare un animale domestico come un membro della famiglia è ok e anzi doveroso; ma provo fastidio per tutte quelle istanze in cui gli animali sono addobbati come umani: il cane con gli occhiali delle pubblicità, la scimmia con il cappello del film e quant'altro. Non fa ridere.

Allo stesso modo, mi provoca un misto di rabbia e pena vedere esseri umani che si comportano come animali. Certo l'essere umano è un animale, ma è suo dovere elevarsi grazie al controllo degli istinti e all'uso della ragione, cose che gli animali non possono fare e non sono tenuti a fare.

Ciò che mi dà più pena/fastidio è vedere esseri umani che reagiscono a segnali in maniera completamente prevedibile e istintuale, alla pari dei cani pavloviani. C'è chi, come Schopenhauer, dice che la libertà dell'uomo è un'illusione: possiamo procastinare la soddisfazione del desiderio istintuale in nome di qualcosa di più alto, ma alla fine non possiamo che cedere. Possibile: la fame è fame, la sete è sete, il desiderio di cose buone è naturale; e lo è anche il desiderio di possesso. La pubblicità tiene conto di tutto questo, ed è per questo che essa è così insistente e viene mostrata continuamente: possiamo resistere alla prima visione, ma a forza di essere bombardati le possibilità che alla fine tiriamo fuori il portafoglio, quasi senza accorgercene, sono buone.

Ma non siamo fatti solo di questo "amore mal riposto", come direbbe Dante. Siamo fatti anche di odio. E il richiamo pavloviano funziona anche qui. E nel caso dell'odio più viscerale e ancestrale, quello per l'ebreo, funziona a colpo sicuro. Al punto da far nascere un'intera industria: quella dell'"antisionismo". Ong, governi, masnade internazionali di vario tipo (Onu e organi affiliati, l'UE, tutte le sigle di associazioni islamiche ecc.) fanno soldi a palate sui cadaveri degli ebrei, usando la farlocca "causa palestinese" come ariete terroristico per demolire Israele e condannare a un secondo Olocausto i suoi abitanti.

L'odio antiebraico sembra essersi trasferito nel Vicino Oriente, ma la centrale dell'odio rimane in Occidente: negli Stati Uniti (che la propaganda bolla ancora come "principale alleato di Israele", quando in realtà New York è sede dell'Onu e Washington è, fino a prova contraria, saldamente nelle mani delle sinistra radicale, che guida dietro le quinte il burattino geriatrico Biden) e in Europa.

Nel caso dell'ultima ondata di antisemitismo, il segnale pavloviano non è stata la presunta "strage" di civili "palestinesi" da parte di Israele, ma il pogrom del 7 ottobre, che ha portato ondate di "protestatori" a invadere le strade per manifestare a favore dei "palestinesi" ancor prima della reazione militare di Israele: di fatto, e nei fatti, una celebrazione del massacro.

E' tutto così scontato, tutto così prevedibile. Un ciclo che si ripete da 80 anni con la stessa prevedibilità delle stagioni:

1) i "palestinesi" massacrano civili ebrei nei modi più barbari, lanciando migliaia di missili o invadendo kibbutz e abitazioni private per tagliare a pezzi donne e bambini, decapitare feti dopo aver aperto il grembo di donne incinte, o bruciare vivi dei neonati nei forni a micro-onde. Quello del 7/10/2023 è stato il più grando massacro di ebrei in un solo giorno dai tempi della Shoha.

2) Israele reagisce bombardando i siti che albergano terroristi, lanciamissili, mortai o depositi di munizioni.

3) I terroristi "palestinesi" danno in pasto ai media numeri farlocchi sulle vittime di detta rappresaglia, come dimostra il recente episodio, smascherato, dell'ospedale Al-Ahli di Gaza (si era detto 500 morti causati da un bombardamento di Israele, quando in realtà si è trattato di un numero fra i 10 e i 50 morti, non causati dal Israele ma da un razzo di terroristi palestinesi diretto verso lo stato ebraico e caduto prima del tempo).

4) I media credono ciecamente ai numeri, dipingendo Israele come uno stato che "commette genocidio" in virtù del fatto che non rispetta il principio (inventato o distorto per l'occasione) della "proporzionalità".

5) Israele cede alla persecutoria pressione dei media, degli organi internazionali e degli altri stati, che minacciano sanzioni o altro: la guerra ha termine prima che il nemico sia ridotto all'impotenza e la minaccia terroristica più o meno permanentemente neutralizzata. In tal modo i "palestinesi" hanno la possibiltà di organizzarsi per un futuro massacro, di solito più feroce del precedente.

Non c'è orologio al mondo che possa misurare con sufficiente precisione il tempismo di questo ciclo di violenza e diffamazione ai danni di Israele, una minuscola entità circondata da stati che hanno ripetutamente cercato di distruggerla con la forza e l'influenza dei loro petroldollari. E ciò perché questo ciclo si ripete da quasi 100 anni, è collaudatissimo e impegna ogni giorno enormi risorse finanziarie ed ingegni manipolatori.

Il paradosso è evidente: dietro il paravento del sostegno ai diritti umani di un'etnia inesistente opera l'istinto più distruttivo, l'odio più brutale, in cui un'esercito di burattini si rianima al suono dei kalashnikov di Hamas. Non per condannare il nuovo nazismo, ma per assecondarlo e fomentarlo. Non per cercare di evitare la guerra, ma per salutarla e usarla.

In attesa che l'Apocalisse batta alle porte dell'Occidente per chiudere un conto aperto 80 anni fa, e mai saldato.


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