
venerdì 2 agosto 2013
IL POLITICHESE COME LINGUAGGIO DELL'IGNAVIA TRUFFALDINA

giovedì 25 luglio 2013
ITALIA "PAESE DI MERDA"?
(Difficoltà: 1,3/5)

mercoledì 24 luglio 2013
sabato 20 luglio 2013
IL "VIVERE NEL PASSATO". UNA RIFLESSIONE SULLE DIMENSIONI DEL TEMPO
(Difficoltà: 4/5)
Si dice spesso che bisogna guardare al futuro, che il passato può diventare una prigione di rimpianti e ricordi malinconici. Si dice che bisogna guardare al futuro anche rispetto al presente. Chi vive nel presente non non impara dagli errori del passato e non si prepara al futuro. C'è chi si spinge a dire che il futuro è l'unica dimensione che conta perché, tautologicamente parlando, è ciò che ci toccherà inevitabilmente.
Si dice spesso che bisogna guardare al futuro, che il passato può diventare una prigione di rimpianti e ricordi malinconici. Si dice che bisogna guardare al futuro anche rispetto al presente. Chi vive nel presente non non impara dagli errori del passato e non si prepara al futuro. C'è chi si spinge a dire che il futuro è l'unica dimensione che conta perché, tautologicamente parlando, è ciò che ci toccherà inevitabilmente.
Ma è veramente così? Il futuro merita
lo status di unica dimensione a contare fra le tre alle quali può
aprirsi la nostra vita? Il passato e il presente sono veramente delle
prigioni senza sbocchi, l'una contrassegnata da rimpianti e l'altra
da sensazioni futili e da un improduttivo “vivere alla giornata”?
mercoledì 10 luglio 2013
COME LE MAFIE ARRIVARONO A CONQUISTARE LA COSA PUBBLICA
(Difficoltà: 2,1/5)
A fronte di uno Stato disorganizzato e
inefficiente, succube di ladrocinii e incompetenza dirigenziale,
l'"Antistato" se la passa piuttosto bene.

Se ripercorriamo le tappe dell'attuale
dominio mafioso in Italia, appare chiaro che esiste una “storia
della mafia” come esiste una storia d'Italia. Di più: le due
storie per larghi tratti coincidono, come appare evidente in libri
come “Storia della Mafia” di G. C. Marino (Roma 1998).
venerdì 5 luglio 2013
LA "TAVOLA ROTONDA" DI ARTU' COME SIMBOLO DELLA LOTTA ALLA DISGREGAZIONE SOCIALE
(Difficoltà: 3,4/5)
E' capitato a tutti di uscire a cena
con amici o persone e trovarsi forzati a parlare per tutta la serata con quelle
meno interessanti, fino al punto da non poterne più e non vedere l'ora che finisca. Come può succedere questo? Semplice: si entra in
coda al gruppo nel ristorante, e chi ci precede nella compagnia s'accaparra i posti migliori.
Partendo da una questione affatto elementare, è possibile ricavare
degli elementi di natura storica, che possono dirigerci a
un'approfondimento di alcune questioni assieme psico-sociali ed
economiche.
Excursus Storico: La Leggenda di Re
Artù e della Tavola Rotonda
Alcuni storici ritengono che, dietro l'architettura
leggendaria che da sempre ne contraddistingue la narrazione, Re Artù
sarebbe realmente esistito: si tratterebbe di Riotamo, Re dei Brettoni,
nel V sec. impegnato a fianco dei Romani contro gli invasori barbari. Anche dell'esistenza della famosa fortezza di Camelot ci sarebbero
indizi importanti. Per quanto si
riferisce invece all'altrettanto famosa “Tavola Rotonda”, è
probabile che si tratti di una leggenda integrale, rispondente però
a un simbolismo preciso: in contrasto con il massiccio processo di
gerarchizzazione politico-militare dei tempi successivi, si ritiene
che nel primo Alto Medioevo (fine Impero Romano – anno 1000 circa)
i nuclei politico-militari raccolti attorno a un capo o "re guerriero"
fossero organizzati più in forma di confraternite, pervase da un
certo egualitarismo e sostanzialmente libere da pressioni
gerarchizzanti.
In particolare nelle occasioni
conviviali, si era soliti riunirsi attorno a un focolare, quindi con
quella disposizione circolare che non prevedeva un “capo-tavola”,
come sarebbe invece stato in tempi successivi. Quest'usanza fu
consacrata all'immaginario collettivo con la rappresentazione
plastica di una “tavola rotonda” che però non rimanderebbe
quindi a una realtà precisa bensì a un principio.
Esempio di Quotidianità: Il Sedersi al
Tavolo del Ristorante
Perchè ho affrontato questo excursus
storico? Ai giorni nostri, si è un po' perso il principio richiamato
dalla “tavola rotonda”, e anche nelle occasioni di relax quali
quelle conviviali, si tende a costituire posizioni di privilegio e a
intraprendere tenzoni per l'acaparramento di posizioni "territoriali" favorevoli. L'esempio di una vita
quotidiana pervertita dalle stesse logiche che animano la
competizione economica e sociale non potrebbe essere più efficace che nella
semplicità di un oggetto come la tavola, forse assieme al letto
l'oggetto più intimo e più legato alla vita quotidiana e ai suoi
rituali.
Quello che i membri di un gruppo (di
amici, di lavoro ecc.) inscenano quando sono chiamati a scegliersi i
posti attorno al tavolo di un ristorante, possiede i colori e le
sfumature della lotta per la sopravvivenza. A seconda dell'importanza
dell'evento, le conseguenze dell'essere sopravvanzati nella scelta
dei posti migliori possono estendersi da una serata noiosa alla
perdita di un'occasione di carriera.
L'aspetto curioso è che una sorta di
pudore legato a doppio filo alla civilizzazione, impedisce di
chiedere una cosa così semplice come uno scambio di posto. Ciò che
la ragione fa percepire come una richiesta ridicola e triviale
riveste invece molta importanza dal punto di vista della natura, che per
l'uomo – animale sociale - vuol dire anche “socialità”. La
prospettiva di venir percepiti come degli individui infantili ha la
meglio sulla prospettiva di rovinarsi la serata sedendo a fianco di
persone meno gradite all'interno del gruppo, o in una posizione poco
centrale del tavolo, qual è il capo-tavola.
Il capo-tavola rappresenta infatti la
posizione più svantaggiosa, perchè permette di poter parlare
confortevolmente con solo due persone: quelle che siedono al nostro
fianco. Il centro-tavola, al contrario, agevola la conversazione con
un minimo di 5 persone: le due a fianco e le tre di fronte. Ciò
aumenta le probabilità di trovare persone gradite e di trascorrere
una serata lieta.
Proprio qui sta un'ironia della Storia:
se il “capo-tavola” era motivo d'orgoglio e marchio di
superiorità in un passato più o meno lontano, esso diventa nella
nostra società – dove il principio dell'uguaglianza è ormai solo una predica demagogica - per la maggior parte dei casi un handicap.
La Determinante Economica: la Gestione dello Spazio
La questione che ho proposto
all'attenzione riveste maggior importanza di quella che si è
normalmente disposti a concedere (e ad ammettere). Sicuramente, apre
a delle riflessioni su ciò che è diventata la società oggi, dove
la divisione, l'antagonismo e la competizione sociale tengono banco
anche ai livelli più elementari della vita, eludendo con
sistematicità la “controcorrente” che gli si vorrebbe opporre:
quella della civiltà e della ragione.
I ristoranti seguono dei criteri
logistici che dal loro punto di vista sono perfettamente razionali:
come indica la figura qui sotto, dei tavoli di forma quandrangolare
permettono una migliore organizzazione dello spazio che non tavoli di
forma circolare, che se uniti lascerebbero dello spazio vuoto e
inutilizzato al centro. Tavoli quadrati risponderebbero alle stesse
esigenze di quelli circolari (equidistanza dei partecipanti), ma con
un limite di posti rispetto a quello rettangolare. Non è un caso
quindi che la forma di tavolo più diffusa sia quella rettangolare,
cioè quella che più di tutte, in ragione della sua lunghezza,
accentua la formazione di sottogruppi all'interno del gruppo
originario.
La Determinante Psico-Sociale nelle Dinamiche di
Disintegrazione del Gruppo
Ed è proprio la formazione di
sottogruppi – una tipica categoria psico-sociologica – a
registrare la dis-integrazione del gruppo originario nelle occasioni
conviviali. E', ancora una volta, materia esperenziale comune:
nell'impossibilità di conversare con membri dislocati lontani da sé,
ci si limita a scambi dialogici con i membri siti a portata di voce, rimanendo
il più delle volte completamente all'oscuro di ciò che avviene e di
ciò che è discusso negli altri sottogruppi. Nella maggior parte dei
casi, questi sottogruppi sono destinati a dissolversi con il
concludersi della cena, per riorganizzarsi con diverse configurazioni
ad una successiva occasione. Ma può anche capitare che si instauri
lo stigma di una sotto-appartenenza (o "appartenenza al
sotto-gruppo"), destinata a perpetuare una scissione di fatto dal
gruppo originario. Il sottogruppo tenderà a riproporre quella
disposizione attorno al tavolo che ne ha occasionato la formazione, e
si precluderà un'approfondimento della conoscenza degli altri membri
del gruppo originario, sulla scorta di un elemento identitario destinato a prendere sempre più forma.
Il gruppo originario può così
continuare ad esistere, ma, data la virtuale incomunicabilità dei
propri sottogruppi – che ratifica in forma di struttura
l'incomunicabilità sperimentata nelle singole occasioni conviviali -
esso si trova ridotto poco più di un vuoto simulacro, a un aggregato di più sotto-gruppi.
Conclusione
L'esempio del tavolo di ristorante è
solo un aspetto quotidiano di un fenomeno sociale più ampio. Ma,
proprio perchè vicinissimo a noi, è un esempio particolarmente
illustrativo dell'interazione fra decisioni economiche e dinamiche
proprie della psicologia collettiva e di massa. Come compresero i
Situazionisti, sussiste una forza tendente a smembrare la società in
un nugolo di sottogruppi autoreferenziali, a partire dalla
quotidianità di ognuno di noi. La quotidianità è quindi assieme
terreno di comprensione di questa realtà e teatro privilegiato della battaglia
contro di essa. La "tavola rotonda" diventa allora il simbolo del recupero di un senso di socialità e di comunitarismo partecipativo volti a superare le tendenze divisive del nostro tempo.
mercoledì 26 giugno 2013
LA QUERELA COME ATTO INTIMIDATORIO
(Difficoltà: 4,2/5)
La querela può diventare uno strumento
intimidatorio, e quindi antidemocratico, perchè può essere usata per inibire la libertà d'espressione e di denuncia.
La querela fa sì che la libertà di
parola sia subordinata al livello di censo: i tempi della giustizia
italiana e le alte parcelle degli avvocati costituiscono una
combinazione micidiale per chi non goda di benestare economico.
L'incertezza della pena si declina poi in una duplice forma a
offuscare ulteriormente il quadro: chi mi dice che chi ha i soldi per
tenere per anni a libro paga un avvocato non li abbia anche per
comprarsi la sentenza? Non viviamo dopotutto in uno dei paesi più
corrotti al mondo? E: ammesso che io abbia ragione e il giudice
confermi, al terzo grado di giudizio – cioè dopo anni - , che i
reati che ascrivevo al querelante sono reali, cosa rischia questi
veramente rispetto a quello che rischio io, considerati i vari indulti, gli sconti di pena e il
perdonismo di una legislazione penale fatta dai colletti bianchi per
i colletti bianchi?
La Legge Nasce per Tutelare i Deboli, Non i Forti
La legge è nata per i deboli, non per
i forti. Per i forti già esistono le leggi di natura (dove
all'ereditarietà dei tratti somatici nel regno umano si affianca
l'eredità patrimoniale e di status sociale), che li privilegiano. Ne
consegue che la legge non deve essere imparziale, bensì seguire la
sua vocazione nel porsi a tutela della parte offesa. Resta inteso che
il “debole” è colui che ha subito il torto in una specifica
occasione, e quindi il concetto non definisce per principio e in
partenza una condizione sociale o di censo.
I problemi strutturali del sistema
giudiziario italiano – afferenti in pari tempo a questioni
amministrative e legislative – implicano purtroppo la creazione di forti
squilibri. Come impedire, quindi, che anche le querele per ingiuria o diffamazione non diventino
espedienti intimidatorii in grado di interferire con la libertà di
cronaca e di opinione?
Con la naturale premessa che le
lentezze e le storture del nostro sistema giudiziario hanno una
ragione d'essere nella gaglioffaggine della nostra classe dirigente,
la principialità della Costituzione potrebbe forse offrire leva per
insenature interpretative del codice e richiamare così concetti come
la “verosimiglianza” del giudizio apparentemente lesivo, la fondatezza di questo in
accadimenti precedenti ecc. A titolo di esempio, la querela a seguito
di un'accusa giornalistica, anche qualora questa non fosse sorretta
da prove decisive, dovrebbe essere rigettata in nome dei principi di
libertà e di verità ricavabili dalla Costituzione. L'attribuzione
di un fatto dovrebbe fungere da stimolo per gli organi di informazione e
di giustizia per far luce su eventuali responsabilità, in ragione di
un criterio di trasparenza perfettamente afferibile ai principi della
libertà d'espressione e di parola.
La semplice constatazione di una
pregiudiziale nell'inizio di una causa per diffamazione - alla luce
per es. di un semplice criterio di verosimiglianza della
dichiarazione presuntivamente lesiva - dovrebbe inibire l'avvio del
procedimento, se non per accertare la veridicità delle attribuzioni
e quindi il valore testimoniale delle attribuzioni emerse, decidendo
così per il luogo a procedere ovvero per un obbligo di rettifica. Il
giudice dovrà valutare già in sede preliminare la buona fede del
querelato, cioè la sua intenzione o meno di ricercare la verità.
Per questioni minori quali scaramucce o
insulti, spontanei ovvero poco o per nulla legati a fatti specifici,
il giudice dovrebbe – come per altre situazioni simili –
subordinare la questione a un criterio economico e di censo: se la
parte lesa ritiene che la propria dignità in casi triviali le
valga più delle spese legali, può chiedere e ottenere giudizio.
Solo in caso di evidente disparità economica a vantaggio del
querelato si dovranno disporre provvedimenti risarcitori e il rimborso totale delle spese legali,
qualora si riscontrasse l'infondatezza delle attribuzioni. E' il caso,
per es., di un datore di lavoro che insulti un dipendente. Il pagamento delle proprie spese legali, per converso, dovrebbe essere sufficiente punizione per il querelato condannato/soccombente, quando questi ricopra un livello economico-sociale significativamente inferiore rispetto al querelante.
Una giustizia che si possa ritenere tale deve tener conto dei soprusi e storture generati da un consistente divario nei rapporti di forza.
Una giustizia che si possa ritenere tale deve tener conto dei soprusi e storture generati da un consistente divario nei rapporti di forza.
Conclusione
In conclusione, la giungla delle
denunce per diffamazione - strumento particolarmente in voga fra politici interessati a imbavagliare la stampa - potrebbe essere fatta uscire dallo “stato
di natura” in cui versa – e in cui scade a strumento di
sopraffazione del forte sul debole – rendendo il concetto “feudale”
di “onore” (non a caso caro alla mafia) qualcosa di gregario
rispetto ai principi civili e costituzionali della libertà, della
verità e della trasparenza, gli unici in grado di decidere sulla fondatezza di certa onorabilità.
lunedì 17 giugno 2013
10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9987
(Difficoltà: 0,9/5)
Se c'è una cosa che mi fa incazzare è il “giornalista inviato col ditino alzato”, cioè quel giornalista che risiede all'estero e che periodicamente, dalle poltrone dei talk-show o più comunemente in collegamento “etereo” da lidi dove la democrazia, lì sì, funziona a mille, ci versa il calice amaro della nostra inferiorità come Stato, come economia, come mentalità, come altezza media dal suolo e scelta di deodorante ecc., al cospetto del paese che lo ospita tra suite d'albergo e cene quotidiane in ristoranti, pagate spesso (si suppone più che volentieri) dal contribuente medio italiano. Questa figura è oggi rappresentata per ampi versi da Vittorio Zucconi, inviato “ammerigano” full-time (sembrerebbe), figlio di papà (il paparino Guglielmo fu pure giornalista-direttore – olè – e SEMBRA che il Vittorio sia il solito raccomandato, ma... suvvia, sempre a pensar male!).
IL "ZUCCO", OVVERO L'ARROGANZA DELL'
"ESTEROFILIA" GIORNALISTICA
Se c'è una cosa che mi fa incazzare è il “giornalista inviato col ditino alzato”, cioè quel giornalista che risiede all'estero e che periodicamente, dalle poltrone dei talk-show o più comunemente in collegamento “etereo” da lidi dove la democrazia, lì sì, funziona a mille, ci versa il calice amaro della nostra inferiorità come Stato, come economia, come mentalità, come altezza media dal suolo e scelta di deodorante ecc., al cospetto del paese che lo ospita tra suite d'albergo e cene quotidiane in ristoranti, pagate spesso (si suppone più che volentieri) dal contribuente medio italiano. Questa figura è oggi rappresentata per ampi versi da Vittorio Zucconi, inviato “ammerigano” full-time (sembrerebbe), figlio di papà (il paparino Guglielmo fu pure giornalista-direttore – olè – e SEMBRA che il Vittorio sia il solito raccomandato, ma... suvvia, sempre a pensar male!).
Questo giornalista grassoccio, pelato e
sudaticcio, arrogantello e saputello, dalle guanciotte
rossicce e l'apparenza magnona e godereccia, ha fatto show di se
stesso nella puntata di Piazza Pulita del 10/06/2013, che qui sotto
ripropongo. Eccezionalmente, qui il nostro confezionatore di
reportage dall'estero (ma più spesso di opinioni proprie che non
interessano una ceppa a nessuno), calca (supponiamo sdegnato) il suolo italico e si
materializza in persona nello studio in luogo, come d'uso, di concedersi
madonnescamente da oltreoceano mercè collegamento esterno (con tanto di
faccione in schermo da 500'' e audio ritardato e echeggiato à la
papa G. Paolo II).
Invito il lettore a prestare particolare attenzione ai punti elencati sotto al video, dove la saccenza e arroganza di questo pluripremiato monstre del nostro giornalismo d'esportazione s'appalesa in tutta la sua virulenza.
Invito il lettore a prestare particolare attenzione ai punti elencati sotto al video, dove la saccenza e arroganza di questo pluripremiato monstre del nostro giornalismo d'esportazione s'appalesa in tutta la sua virulenza.
- A partire da 1:30:20, il nostro fa una implicita tirata-spot per la proposta di legge della Finocchiaro volta a far fuori i movimenti come il M5S dalle prossime elezioni politiche.
- A partire da 1:39:15 il nostro non si vergogna di dire che è andato a mangiare a casa della piccola imprenditrice Nonino, presente in studio. Viene da chiedersi: a che titolo? E il famoso principio del distanziamento fra giornalismo e potere (politico e economico)? E se il Zucco va a cena a casa di una piccola imprenditrice, che fa con uno del calibro di Marchionne o Geronzi?
- All'1:42:08, parla il Professore Becchi, vicino al M5S. Quando questi si incarta all'inizio di una frase, il Zucco lo prende per il culo: “Ma, ma, ma”.
- A partire da 1:42:45, Zucconi si esibisce in uno sboccacciato sfogo contro Becchi e l'“assemblearismo”.Si ode ben distinta la parola "cazzo".
- A partire da 2:03:30, il Zucco ancora dileggia Becchi, dicendogli: “Ma cammina, (và)” in risposta a una parola usata da questi.
E chi l'avrebbe detto che il nostro
glorioso paese non esporta solo salsa di pomodoro, mozzarelle,
caciotte e cavoli, bensì anche cospicui cervelli giornalistici? Ma
soprattutto: perchè? Forse per somministrare alle nostre pantanose
paludi provincialistiche periodiche folate di internazionalismo,
attraverso il sano metodo dell'arroganza tesa a umiliare e a ricordarci che siamo tutti delle merde? O forse
perchè, dopo attenta considerazione, è meglio che certi cervelli se
ne stiano fuori dai... patrii confini? E ancora: ma c'è qualcosa di più provinciale dell' italiano "scugnizzo a New York" che, scambiando la grandezza dei grattacieli per la propria, si mette a guardare dall'alto verso il basso la terra che gli ha dato i natali?
La prossima volta (ma questa volta: veramente!) fateci caso.
La prossima volta (ma questa volta: veramente!) fateci caso.
martedì 11 giugno 2013
IL LATO OSCURO DELLA POP-CULTURE: WALT DISNEY
(Difficoltà: 4,2/5)
La critica alla cultura popolare in quanto tale non è solo artistocratica e
snob: è concettualmente assurda. Cosa ci può essere di meglio,
concettualmente, che una cultura che si rivolge al popolo, dopo che
questo è stato per millenni relegato all'elemento naturale e irriflesso della condizione di sopravvivenza? Il concetto
stesso di una cultura “popolare” è in sé rivoluzionario. Ciò a
cui si dovrebbe rivolgere la critica è semmai l'intenzione dietro la
cultura popolare: se questa assolva scopi partecipativi e divulgativi
o se, al contrario, si instauri monodirezionalmente e serva gli scopi
del consumo e dell'oppressione ideologica e “di casta”.

Iscriviti a:
Post (Atom)