"LA MIA AZIENDA CREA POSTI DI LAVORO": DIAGNOSTICA DELL'APPARENTEMENTE OVVIO
Se c'è una cosa che mi fa incazzare
sono gli imprenditori che ad ogni che e in ogni dove se ne escono con
la frase: “La mia azienda crea posti di lavoro.” Che è come se
io in questo momento dicessi: “Sto creando dei caratteri al
computer.” Piuttosto ovvio, non trovate? Sennonchè la mia finalità non è
quella di battere sulla tastiera a caso per far sputare al mio
computer dei simboli, ma piuttosto quella di scrivere un articolo
possibilmente dotato di senso. Allo stesso modo, nel pronunciare
quell'insulsa frase, l'imprenditore vorrebbe atteggiarsi a salvatore
della patria, ad angelo protettore del destino dei semplici, come se
creasse dei posti di lavoro pur potendone fare a meno. Come se lo scopo della sua impresa non fosse il profitto, e il lavoro non fosse lo strumento principale per questo scopo, ma il fine ultimo del suo operare.
Infatti, se
dissipiamo per un'istante la fetida cortina fumogena che avvolge, a
giustificazione ideologica del suo stupro materiale e legislativo, il concetto
di lavoro in questo paese (una Repubblica fondato sul medesimo, come
da Art. 1), scopriamo che qui come altrove l'impresa non può
sussistere senza il lavoro. Infatti, il contrario del lavoro è la
rendita parassitaria, e associare quest'ultimo concetto a quello di
“impresa” creerebbe un ossimoro insostenibile. Ad esempio, un finanziere che si arricchisce incassando i dividendi delle aziende non è un imprenditore, e così non lo è chi campa con gli affitti delle sue proprietà immobiliari. Il primo lavoratore di un'impresa è il suo proprietario, e se
questi disprezza il lavoratore disprezza se stesso.
Anche le frasi possono avere un "doppio fondo"
Ma qual è il vero motivo della
ripetizione mantrica di questa frase, che anche Berlusconi ripete
costantemente nelle sue sbrodolate televisive pre-elettorali (l'ultima
volta ieri nella sciagurata puntata di “Servizio Pubblico”: “Le
mie azienda hanno dato lavoro a 75000 persone”) e che assieme a lui
ripetono tutti gli imprenditori quando vengono intervistati su temi
quali l'evasione fiscale, la crisi economica e i soprusi di
Equitalia?
Quando Berlusconi solletica la
coscienza degli elettori indecisi equiparando le sue imprese a una
Caritas lavorativa, le domande sgorgano impellenti: “Ma una di
queste imprese non è la Mondadori, sottratta da B. al legittimo
destinatario a suon di mazzette?”; “Ma la fortuna imprenditoriale di
B. non sarebbe stata impossibile senza quei capitali iniziali sulla
cui provenienza B. ha steso il velo della facoltà di non rispondere
in sede di udienza processuale?”; “Ma non è vero che le aziende
di Berlusconi hanno evaso il fisco per chissà quanti milioni?”; “E
non è vero che le aziende di B. sono al centro di una galassia di
società offshore sulle quali circolano capitali sottratti ai bilanci
delle aziende medesime, in frode degli investitori?”
Perchè il punto è proprio questo: il
Leitmotiv “La mia azienda crea posti di lavoro”, che è in sè
come si è detto assurdamente tautologico, acquisisce più senso se
si dà voce al pensiero recondito, al “doppio fondo” che lo
motiva: “... quindi permettetemi di evadere il fisco”, “...
quindi permettetemi massima libertà nell'approvvigionamento dei capitali”,
insomma: “... quindi datemi carta bianca.”
Se un'azienda per sopravvivere ha
bisogno di evadere il fisco o di incorporare le più inconfessabili
nequizie, c'è qualcosa che non va. E i casi sono due: o il mercato
di riferimento è debole, in crisi, e il destino dell'azienda sarebbe
quello di chiudere nel rispetto delle dure leggi del mercato; oppure,
l'intera economia ormai è drogata dall'illegalità, per cui
un'azienda in un mercato sano ha poche chance di sopravvivere se non
si adegua alla concorrenza e non inizia anch'essa ad assumere in
nero, a evadere il fisco, a operare in barba ai criteri di qualità e
di sicurezza, a incorporare capitali mafiosi, ecc.
Frasi come: “La mia azienda crea
molti posti di lavoro” costituiscono un ricatto. Pure un po'
mafiosetto, perchè si avvalgono del non detto, come abbiamo visto.
Il senso di queste frasi non va ricercato nella logica apparente,
bensì in quella nascosta.
La prossima volta, fateci caso.