Nel caso non ve ne siate accorti, abbiamo evitato per un pelo la fine del mondo, come da profezia dei Maya (che nemmeno riuscirono a prevedere la loro, di fine...). Corrisponde a verità il fatto che
tutte queste menate sulla fine del mondo siano un artifizio inventato
dall'Umanità per poi poter dire: “L'abbiamo scampata bella!” (in luogo di: "Ma quanto siamo stati idioti a crederci!"). Un
po' come quando si porta tutto il giorno un paio di scarpe troppo
strette apposta per il piacere di togliersele la sera. Il fatto che
declini questa cosa in senso antropologico non è un'indebita
generalizzazione: in effetti, l'artifizio in questione si propone e
ripropone innumerevoli volte nella Storia. Il primo che mi viene
mente è il Millenium Bug, cioè l'idea balzana che, allo scattare
dell'anno 2000, i computer mandassero in tilt l'intero mondo degli
uomini che ormai su di essi si basa. E', questa, una riproposizione
hi-tech, cioè in chiave contemporanea, del “Mille e non più
Mille” di matrice biblica. E in effetti, la paralisi informatica
non è, nel mondo di (inter-)dipendenza tecnologica nel quale
viviamo, la cosa che più assomiglia alla fine del mondo propriamente
detta, fatta eccezione per una guerra termonucleare globale? Invero, la fine del mondo non è necessariamente un Big Bang all'incontrario. Può anche essere un processo lungo decenni, ed è possibile che noi già ci si stia proprio nel mezzo.
Quella della fine del mondo è quindi una “fissa” antropologica. Ma nell'epoca in cui viviamo si aggiungono nuovi elementi.
Dietro quello che in inglese si chiama “fearmongering” (allarmismo creato ad arte) c'è di
solito qualcosa di più, dal semplice marketing al vero complotto
politico-sociale.
La paura è diventata un business
Nel suo film “Bowling for Columbine”
Michael Moore afferma che anche il Millenium Bug, come l'attacco
delle api assassine dall'Africa nera e la “mucca pazza”, non
siano solo delle excogitatio dei media per riempire, inventando e
montando ad arte, prime pagine di giornali e tg, ma anche e
soprattutto degli espedienti per alimentare quello stato di tensione
che poi porterebbe all'acquisto da parte degli Americani, e non solo,
di sistemi di sicurezza, di pistole Taser e di armi semplici e
militari. Insomma la paura è un business, e ciò vale in e per tutto
il mondo. Non è vero forse che anche il più piccolo brufolo è
trasformato nella pubblicità in un elemento di sputtanamento
sociale? Che la differenza fra una vita socialmente appagante e
un'esistenza da reietto passa per un alito mentolato? E non è forse
vero che la mancata esibizione di un Iphone di ultima generazione,
dell'abitino firmato o della borsa Mandarina Duck in certi ambienti
può creare un sentimento impalbabile ma reale di esclusione dal
consesso delle persone cool? La paura è oggi un modo per vendere o
per giustificare l'ingiustificabile: le guerre d'attacco e di
conquista (che vengono così trasformate in guerre “di difesa”,
per il “mantenimento della pace” o “preventive”) e, in
America, la corsa agli armamenti non più da parte del Governo contro
un nemico esterno, come durante la Guerra Fredda, ma del singolo
cittadino contro i suoi concittadini.
La paura che si condensa in leggende
metropolitane (il Milleniun Bug, le Api assassine, le buste di
antrace) non è solo (e non è più tanto) una forma di difesa
preventiva eretta dall'inconscio dell'Umanità per far fronte a
imprevisti attacchi dall'interno e dall'esterno del suo habitat
naturale o sociale. Ai miei tempi, la paura degli sconosciuti che ti
offrono una caramella non mi spingeva ad acquistare una pistola per
sparare in fronte a tutti coloro che me l'avessero offerta. Mi
spingeva, piuttosto, a considerare le gentilezze da parte di estranei
come un campanello d'allarme per quello che poteva succedere. E
quando mia madre mi diceva di non raccogliere le caramelle per terra
perchè potevano contenere della droga, io capivo che lei lo faceva
per il mio bene, anche se cassavo senza riserve l'idea che, con
quello che costa, uno potesse farcire caramelle con droga per poi
disseminarle sull'asfalto a mò di esca. Allo stesso modo, l'orco
delle favole serviva a mettermi in guardia contro la pedofilia senza
dovermi spiegare cos'è la pedofilia (cosa impossibile da spiegare ad
un bambino, ovviamente).
Quando la paura diventa un'epidemia
I messaggi intimidatori emanati dai
media e dalla pubblicità a piè sospinto inquinano ai giorni nostri
la sorgente da cui sgorga la serenità di un'equilibrato vivere
civile, che ci fa essere ben disposti e gentili nei confronti degli
altri. Fino a qualche tempo fa si poteva affidare il proprio figlio a
un anziano pensionato fuori dal supermercato, perchè ce lo
custodisse fino alla fine della spesa. Oggi no, questo non è più
possibile. La paura sociale crea divisione. Non fra buoni e cattivi,
ma fra tutti. Perchè è un sentimento indistinto, che non sa a chi -
e spesso nemmeno a cosa - rivolgersi. Questa paura è come la notte
in cui tutte le vacche sono nere. Uno stato di tensione e allerta
così indistinto, ma nello stesso tempo così costante e potente, a
volte produce, per sopraggiunto sfinimento, l'esito paradossale di abbassare la guardia proprio
quando c'è bisogno di tenerla alta, nello stesso modo con cui la si
tiene alta quando ci si potrebbe invece rilassare.
Se io chiamo la polizia affermando che in un negozio di alimentari si aggira uno armato di pistola, rischio di venir denunciato per procurato allarme (con arresto fino a 6 mesi), se ciò non risultasse vero. Questo è, mutatis mutandis, ciò che fanno, a ogni ora del giorno e a ogni minuto dell'ora, i media.
Se io chiamo la polizia affermando che in un negozio di alimentari si aggira uno armato di pistola, rischio di venir denunciato per procurato allarme (con arresto fino a 6 mesi), se ciò non risultasse vero. Questo è, mutatis mutandis, ciò che fanno, a ogni ora del giorno e a ogni minuto dell'ora, i media.
La questione delle armi in America ha
raggiunto livelli di parossismo tali da far invidia al più
spregiudicato regista surrealista. Il sillogismo all'opera è il
seguente: chiunque può possedere armi, anche gli squilibrati (basta
che non abbiano precedenti penali), i quali poi fanno stragi; ergo: anche
io debbo contribuire alla diffusione delle armi acquistandone una per
mia autodifesa. E' come se, per scongiurare il pericolo di essere
punti con una siringa infetta da un drogato che vuole i nostri soldi,
cominciassimo a farci venire tutti l'aids apposta per poter girare
con siringhe infette. Così, per “autodifesa”. Fuor di metafora, la
malattia che rende “infetti” è qui chiaramente la follia, e non
a torto si comincia a definire “epidemia” non solo il tasso di
mortalità per armi negli Stati Uniti, ma anche la diffusione di armi
che lo rende possibile. Vale a dire che è follia certo quella di chi
penetra nei cinema e nelle scuole e comincia a sparare, ma è follia
anche quella della casalinga che infila una pistola nella borsetta
quando va alla filiale di Walmart. Perchè una cosa sembra accertata:
chi possiede una pistola, prima o poi la usa.
La “paura della paura” è l'unica
cosa che ci può salvare
Dostojevskij fa dire a Ivan Karamazov che "se Dio non
esiste allora tutto è permesso". Allo stesso modo, si può dire che
se uno crede di potersi far giustizia da sé, allora ogni follia è
possibile. Perchè la giustizia è razionalità della vita sociale
che si codifica in leggi. Essa non è fatta da nessuno (in particolare), ed è fatta per tutti. Se uno rinuncia alla legge condivisa per
improvvisarsene una propria, rinuncia anche alla ragione. Se uno
rinuncia alla legge, allora solo l'attimo della pressione del
grilletto lo separa dalla follia dello stragista.
Non scrivo queste parole per caso. Sempre
nel film di Moore che ho citato, una giovane donna madre spiega la
sua passione per le armi con queste parole: “Se cerchi aiuto perchè
qualcuno ti è penetrato in casa, chiami la polizia, in quanto
i poliziotti possiedono le pistole. Perchè? Togli di mezzo l'intermediario.
Procurati tu una pistola e proteggi tu stesso la tua famiglia.”
Questa frase è come un tirare la catena sopra secoli di paziente
edificazione di un sistema di diritto tra i più evoluti. In America
come altrove, la pratica del "fearmongering" si innesta su una
piattaforma di consumismo esasperato che è la risultante di un
capitalismo sbandato sulla traiettoria di una deregulation assoluta,
che fagocita ed espelle i valori più concreti, quelli che si
sostanziano in diritti (diritto alla vita, all'assistenza, alla
giustizia ecc.). Il mostro che ne risulta è e deve essere l'unico
oggetto legittimo della nostra paura. La paura della paura è la
nostra ultima frontiera di salvezza, ciò che ci può salvare. Perchè
il peggio non deve ancora arrivare: ci viviamo in mezzo.
"Uomo michelangiolesco massacrato da una bomba al Napalm."