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"Dentro ogni progressista c'è un totalitario smanioso di manifestarsi" (David Horowitz)
"Proteste violente nei campus universitari" |
Come già osservato in un precedente articolo (1) il "politicamente corretto" è, innanzitutto, una strategia per soffocare la libertà
d’espressione dietro una parvenza di civilità evocata dal rispetto di dogmi
moralistici che reclamano per sé un valore superiore al fondamentale diritto
liberale della libertà di parola.
Il “politicamente
corretto” è l’autentica piaga dei nostri tempi, perché distilla l’essenza di
ogni impulso antidemocratico. Esso è il ricatto morale del: "O fai, pensi e dici come dico io ho sei un razzista, omofobo, xenofobo, islamofobo" ecc. Il p.c. conta sul fatto che, nel medio-lungo termine, tutti si adeguano ai suoi dikat senza nemmeno bisogno di essere sollecitati, solo per non essere pubblicamente (la sinistra controlla tipicamente la stragrande maggioranza dei media) additati con gli appellativi di cui sopra. E la capacità del cittadino di autoregolarsi in
merito a ciò che può e non può dire, cioè di autocensurarsi, è l'autentico sogno di ogni dittatore: l’“internalizzazione” dell’autorità (2) è
anche l’internalizzazione del censore, vale a dire che ognuno si rende censore
di se stesso, il che rende a questo punto innecessaria una forma di costrizione
e oppressione esterna. Il singolo, il partito o l’oligarchia al potere
ottengono così la condizione ideale per un dominio di cui non si vede la fine,
e che si basa sul controllo dell’opinione pubblica attraverso il controllo su ogni singola coscienza. Tutto questo è ciò a cui mira il "politicamente corretto": instaurare una dittatura totalitaria conservando l'illusione di essere in democrazia.