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La Filosofia non Può Essere "Originale"
Iniziamo col dire che quando si parla
di un filosofo, lo si definisce spesso “originale”. Ma
l'aggettivo è quanto di più sbagliato: la filosofia è la capacità
di leggere, di rispecchiare e spiegare i fondamenti della realtà,
che sono già lì presenti da sempre (per la filosofia
“sostanzialistica”) o nella contingenza storica (per gli
“storicismi” quali quello marxiano, per il quale anche il
capitalismo è una forma storica che ha un inizio e una fine). La
filosofia non è arte, quindi si può parlare di acume e intelligenza
del filosofo e della sua opera, non certo di “originalità”,
perchè questa implica creatività e inventiva. Al limite, una filosofia potrebbe essere detta "originaria" in quanto meglio si aggancia alle origini della realtà o della condizione umana in senso ontologico o storico.
A voler trattare la
questione con rigore, anche l'originalità dell'artista sarebbe
immanente alla tecnica, cioè al “filtro” stilistico
(pointillisme, surrealismo, cubismo ecc.), quindi alla
superficie, essendone il contenuto - dalla critica sociale di un George Grosz al decadentismo di Klimt per arrivare all'“angoscia”
di Munch - qualcosa di ricavato da un contesto storico o
storico-esistenziale, contingente ma pur sempre vissuto e effettuale,
o dall'universo immutabile delle pulsioni e dei desiderata
umani.
Arte e Critica della Società: un Rapporto Impossibile?
Arte e Critica della Società: un Rapporto Impossibile?
Anche l'arte in un certo modo si sforza
di riconoscere la realtà, ma non con l'obiettivo di spiegarla, bensì
di esprimerla. Per questo, essa è costretta a modificare
“creativamente” il suo stile a seconda delle emergenze portate
alla luce dal nuovo spirito dell'epoca. Per esempio, a seguito di un
periodo di crisi epocale quale quello del periodo che dalla seconda metà
dell'800 portò alla Grande Guerra, era fatale che il
linguaggio dell'artista si volgesse più decisamente
all'espressività. La brutalità e l'irrazionalità della condizione
umana erano state portate alla luce nel modo più brusco, confermando
una consapevolezza che già fermentava da tempo nell'ambito
filosofico e culturale (Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Bergson), e avrebbero imposto una “lettura” più
essenziale e comprensiva della realtà, la ricerca di un minimo
comune denominatore dell'agire umano e della natura che avrebbe
smascherato il metodo realista come inadeguato. Se nell'arte antica e
moderna l'atto empio poteva essere fermato nel tempo come fatto singolo,
legato a un fatto storico o a una narrazione mitica, e il
collegamento con una condizione universale era lasciata alla sua
rilevanza storica o a una simbologia già tramandata (ad es. la
“Cacciata dal Paradiso” di Masaccio illustra un fatto biblico che è perciò già di per sé portatore di una caratura simbolica e universale),
ora esso diventa solo una singolarità nel violento magma della
passionalità umana in sé o nella sua interazione con una storicità
che la rivela per ciò che essa è veramente. Il risultato è che diventa
inessenziale soffermarsi sul singolo atto, e bisogna invece adeguare
il medium artistico nel senso di una più grande e decisiva
generalizzazione. Non più il delitto, ma la passione che rende
possibile il delitto; non più il fatto storico o umano, ma la
condizione storica o umana. Non più il Realismo, ma
l'Espressionismo (cioè la prima tendenza del nuovo corso
avanguardistico dell'arte novecentesca).
Ecco allora che la parola “realtà”
lasciata a se stessa non è materia né della filosofia né dell'arte
in senso moderno: entrambe non hanno interesse per la realtà per
come si manifesta, ma si pongono un problema della “verità della
realtà”, della sua lettura e interpretazione. La via intrapresa
dall'arte sarà quella dell'espressività, quella della filosofia la
teoria e la spiegazione.
Arte e Critica della Società: un
Rapporto Impossibile?
Tutto questo detto, l'arte
contemporanea può possedere una carica socialmente critica, ma
questa è lasciata alla suggestione e al potere evocativo
dell'immagine. L'arte cioè “suggerisce”, non spiega, e quindi
non consente, anche nelle sue forme più efficaci, una partecipazione
consapevole e attiva dello spettatore, che rimane quindi un
“astante”, un soggetto contemplativo, anche se nel senso più alto. E poco aggiunge l'indubbio assorbimento partecipativo del nuovo fruitore dell'arte, che è in grado di operare “letture” di stili divenuti complessi e di scorgere referenti tematici delle opere sempre più nascosti dietro lo stile:
tutto si svolge all'interno del discorso artistico. E' quindi facile
comprendere come l'arte d'Avanguardia abbandoni ben presto la critica della
società, che non aveva mancato di incarnarsi in forma “diretta” in manifestazioni potenti (il già citato Grosz), per convogliare
l'aspetto critico nell'ambito angusto del “sottosistema sociale
artistico” (Peter Bürger), in forma di una polemica nei confronti
dell'irregimentazione del discorso artistico nell'istituzione museale
e in tutti i santuari della contemplazione borghese. Già solo in
questa limitazione del suo abbraccio critico, già solo per il fatto
cioè che l'arte dell'Avant-garde “settorializza” la sua
critica, marchiandosi a fuoco con quel tipico contrassegno
dell'organizzazione borghese della società che è la “divisione del lavoro”, il suo discorso si riduce a null'altro che a una
diatriba interna al mondo borghese, e il riscontro nella sua
impostazione di un certo retrogusto snobistico e elitario non è
casuale: molta dell'arte dell'Avanguardia Storica, se non tutta, supera l'arte
borghese non in direzione del popolo, ma in direzione di
un'aristocraticità contenente già i germi della sconfitta a venire.
L'Arte Situazionista come Prima
Autentica "Arte Critica”
Fu così che l'accostamento di un impianto teorico
all'arte non potè andare aldilà dei “manifesti” introduttivi,
come quello celebre di Breton. Solo i Situazionisti,
corrente di nuova avanguardia artistica sorta negli anni'50,
cercarono di implementare una reale integrazione fra teoria e prassi,
cioè fra filosofia e critica della società e arte. L'arte viene
pensata a partire dalla “teoria” - che è fondamentalmente la
“teoria critica” della Scuola di Francoforte, cioè
l'impiego delle categorie marxiane in una prospettiva
interdisciplinare - e questa vede a sua volta nell'arte un
imprescindibile correlato pratico. La società – questo il
messaggio situazionista - non deve solo essere capita attraverso la
teoria, ma anche trasformata attraverso l'arte; nel contempo, l'arte
non può operare da sola, ma deve avvalersi di un impianto teorico
che la guidi, pena l'autorelegarsi a “sottosistema sociale” e
culturale nell'organizzazione borghese della società e quindi,
sostanzialmente, l'esservi assimilata come feticcio dell'autocontemplazione borghese (diventato nel frattempo il consumismo delle immagini nello Spettacolo).
Invece, i dipinti di Grosz entrarono nei musei, e vi entrarono per essere contemplati e “goduti” dalla stessa borghesia egoista, lussuriosa e corrotta che essi raffigurano.
Invece, i dipinti di Grosz entrarono nei musei, e vi entrarono per essere contemplati e “goduti” dalla stessa borghesia egoista, lussuriosa e corrotta che essi raffigurano.