La sorte ha voluto che venissi in possesso di un
documento incredibile: quello che appare essere il XXXV Canto
dell'Inferno di Dante! Nessuno sospettava nemmeno della sua
esistenza, e purtroppo non posso dire nulla di come mi sia capitato
fra le mani, in quanto ciò metterebbe a grave rischio la mia
incolumità. Il documento è costituito da un quaderno in
fragilissima pergamena, autenticato da un esperto, che conservo in un
luogo ultrasegreto. Quello che ancora è più incredibile, è il
contenuto straordinariamente profetico di questo canto: un nuovo
senso dato alla definizione di Dante come "anticipatore della
modernità." Una scoperta quindi che farà spargere fiumi
d'inchiostro a tutti i dantisti dell'orbe terracqueo.
Questo XXXV Canto prosegue direttamente dal precedente, e ignari
sono i motivi per i quali Dante decise di scartarlo. Non ho gli
strumenti conoscitivi adatti per formulare ipotesi, esegesi e
interpretazioni di nessun tipo. Posso solo riprodurre qui il testo in
anteprima assoluta, dietro la premessa che parti di esso
nell'originale non risultano agevolmente decifrabili.
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Dante, Inferno, Canto XXXV
§§§
E
giunsi al fin donde 'l puzzo è più amaro,
e
Umanità tanto s'immerda ch'Iddio
di
Su' opra vorria ser ignaro.
Chè
dall'alto luogo ch'era del duca e mio
tan
mala vision s'offria, ch'il quesito
era:
“L'infernal punito era lui o io?”
Can
barattier, di malavita ardito
era
colui ch'io dico, al punto sozzo
ch'un
giron a lui sol era tribuito.
“Basso
in altezza, e sì in condotta rozzo
che
di lui avrà a dir un vecchio saggio
ch'ei
è la feccia che risale 'l pozzo.
Alla
res publica faran oltraggio
grazie
a oppositori vili e egoisti
lui
e i cani suoi di servitù ostaggio."
Così
Virgilio, e poi: “Tu no l' 'ncontrasti:
la
terra ancor non ne è infestata,
chè
ancor non son a bastar li tempi guasti.
Più
che 'l papa cui dannazion è già data
pria
ch'ei muoia, potè il marran che vedi,
cui
anima secoli ante è disgraziata.
Salvator!
Se a Bonifazio concedi
che
di sua anima corpo ancor sia covo
ma
già per essa prepari e provvedi,
Per
questo verme tu' scelta io approvo
d'anticipar
in Inferno su' presenza
chè
giammai fior può nascere da rovo.”
E
io: “O virtuoso fattor di scienza,
dacchè
di Lucifer scendemmo il petto
e
volgemmo le spalle a su' presenza
Lasciando
del dolor d'anime il tetto,
non
dovrem star calcando il suol del monte
ov'om
con fatica apprende a ser retto?
V'è
fin a ciò ch'inizia con Caronte?”
“Il
tuo è dubbio di cui Ii giusti sanno
che
desean ver il ben all'orizzonte.
Diavolo è mal ma sopra tutto inganno,
quindi
non ti meravigliar che 'l cane
sotto
lui stia, e sia di suo cul panno.
Costui
che in vita di bocca toglie il pane
per
piazzar illusion, frode e menzogna,
mangi
il frutto di sue promesse vane!”
E m'invitò serio a ver la gogna.
Facil
m'era creer la fin d'Inferno
Chè
'l fetor era del fondo de la fogna.
Satan prigionier del gelo d'Inverno
giacea
com'i' dissi terga all'aère
ficcato
in suol, col fianco a far perno.
E
dall'abisso di su' brun sedere
figura
d'uom emergea, sì 'ncastrato
che
di lui miniatur facea vedere.
E
vì con capo di sudor perlato
che
'l cul del dannato fiotti di stabbio
spargea,
sì che l'antro era segnato.
Òmini
e donne con far caparbio
stavan
nel punto ov'il letam piovea
a
ber con voga l'elemento sgorbio.
E
(ma io era sicur ch'era) parea
che
'l corpo del fellon vuoto era
e
che Satan del vil strumento facea.
“Ruffiani
son, che contornan la fiera
intenti
a furto di beni e verità
e
facil dame a completar la schiera.
Dimmi
o Virgil, se quanto penso è realtà.”
Ei
annuì con espression d'om ferito
in
cui disgusto cancella ogne pietà.
Poi
con far che no gli avria tribuito
misesi
a maledir il tristo branco:
"Mangiate
d'essa popol maldito!”
E
quel tra i cani che men era stanco:
"Fatti
fummo per viver come bruti,
per
leccar il cul del re finch'è bianco.
Intelletti
siam, al poter venduti
pe'
offrir di balle un pien a la gente
sì
che venerin quel che li ha fottuti.
Tra
noi e le donne lo scarto è niente,
che
pe' denari decidon d'offrirla,
per
ciò facciam con elle insiem coerente.
Menzo
Lengua è mi nome. Pe' servirLa!”
Tempo
non fece il servo felice
a
sozzar l'Ade con l'ultima ciarla:
tosto
cangiò su forma meretrice
pe'
lasciar di carne cumul di sterco
substanzia
che a el meglio s'addice.
“Per tu lingua uso non è alterco
ma
lusinga, offesa e nascondimento.
Mirati
ridotto a feccia di porco!”
Ciò
dissi, e poi venni a intendimento
che
temp'era per noi di salir ormai
e
feci su mì duca affidamento.
“Quand'Italia
al fondo sbatte e par che mai
d'esso
s'accontenti, ma scava e freme
com'a
voler goder dei peggiori guai,
lì
è 'l punto in cui terror 'ncontra speme
e
'l popol ripudia l'anima imbelle
per
formar di mille voci unico insieme.
E'
'l canto de' liberi e dell'anime belle.
Cinque
d'esse ne verrai per iniziar”
diss'ei;
e uscimmo a riveder le stelle.