mercoledì 27 marzo 2013

INCREDIBILE RITROVAMENTO! IL CANTO XXXV DELL'INFERNO DI DANTE! INEDITO E IN ANTEPRIMA MONDIALE!

La sorte ha voluto che venissi in possesso di un documento incredibile: quello che appare essere il XXXV Canto dell'Inferno di Dante! Nessuno sospettava nemmeno della sua esistenza, e purtroppo non posso dire nulla di come mi sia capitato fra le mani, in quanto ciò metterebbe a grave rischio la mia incolumità. Il documento è costituito da un quaderno in fragilissima pergamena, autenticato da un esperto, che conservo in un luogo ultrasegreto. Quello che ancora è più incredibile, è il contenuto straordinariamente profetico di questo canto: un nuovo senso dato alla definizione di Dante come "anticipatore della modernità." Una scoperta quindi che farà spargere fiumi d'inchiostro a tutti i dantisti dell'orbe terracqueo.
Questo XXXV Canto prosegue direttamente dal precedente, e ignari sono i motivi per i quali Dante decise di scartarlo. Non ho gli strumenti conoscitivi adatti per formulare ipotesi, esegesi e interpretazioni di nessun tipo. Posso solo riprodurre qui il testo in anteprima assoluta, dietro la premessa che parti di esso nell'originale non risultano agevolmente decifrabili.

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Dante, Inferno, Canto XXXV

§§§

E giunsi al fin donde 'l puzzo è più amaro,
e Umanità tanto s'immerda ch'Iddio 
di Su' opra vorria ser ignaro.

Chè dall'alto luogo ch'era del duca e mio
tan mala vision s'offria, ch'il quesito
era: “L'infernal punito era lui o io?”

Can barattier, di malavita ardito
era colui ch'io dico, al punto sozzo
ch'un giron a lui sol era tribuito.

Basso in altezza, e sì in condotta rozzo
che di lui avrà a dir un vecchio saggio
ch'ei è la feccia che risale 'l pozzo.

Alla res publica faran oltraggio
grazie a oppositori vili e egoisti
lui e i cani suoi di servitù ostaggio."

Così Virgilio, e poi: “Tu no l' 'ncontrasti:
la terra ancor non ne è infestata,
chè ancor non son a bastar li tempi guasti.

Più che 'l papa cui dannazion è già data
pria ch'ei muoia, potè il marran che vedi,
cui anima secoli ante è disgraziata.

Salvator! Se a Bonifazio concedi
che di sua anima corpo ancor sia covo
ma già per essa prepari e provvedi,

Per questo verme tu' scelta io approvo
d'anticipar in Inferno su' presenza
chè giammai fior può nascere da rovo.”

E io: “O virtuoso fattor di scienza,
dacchè di Lucifer scendemmo il petto
e volgemmo le spalle a su' presenza

Lasciando del dolor d'anime il tetto,
non dovrem star calcando il suol del monte
ov'om con fatica apprende a ser retto?

V'è fin a ciò ch'inizia con Caronte?”
Il tuo è dubbio di cui Ii giusti sanno 
che desean ver il ben all'orizzonte.

Diavolo è mal ma sopra tutto inganno,
quindi non ti meravigliar che 'l cane
sotto lui stia, e sia di suo cul panno.

Costui che in vita di bocca toglie il pane
per piazzar illusion, frode e menzogna,
mangi il frutto di sue promesse vane!”

E m'invitò serio a ver la gogna.
Facil m'era creer la fin d'Inferno
Chè 'l fetor era del fondo de la fogna.

Satan prigionier del gelo d'Inverno
giacea com'i' dissi terga all'aère
ficcato in suol, col fianco a far perno.

E dall'abisso di su' brun sedere
figura d'uom emergea, sì 'ncastrato
che di lui miniatur facea vedere.

E vì con capo di sudor perlato
che 'l cul del dannato fiotti di stabbio
spargea, sì che l'antro era segnato.

Òmini e donne con far caparbio
stavan nel punto ov'il letam piovea
a ber con voga l'elemento sgorbio.

E (ma io era sicur ch'era) parea
che 'l corpo del fellon vuoto era
e che Satan del vil strumento facea.

Ruffiani son, che contornan la fiera
intenti a furto di beni e verità
e facil dame a completar la schiera.

Dimmi o Virgil, se quanto penso è realtà.”
Ei annuì con espression d'om ferito
in cui disgusto cancella ogne pietà.

Poi con far che no gli avria tribuito
misesi a maledir il tristo branco:
"Mangiate d'essa popol maldito!”

E quel tra i cani che men era stanco:
"Fatti fummo per viver come bruti,
per leccar il cul del re finch'è bianco.

Intelletti siam, al poter venduti
pe' offrir di balle un pien a la gente
sì che venerin quel che li ha fottuti.

Tra noi e le donne lo scarto è niente,
che pe' denari decidon d'offrirla,
per ciò facciam con elle insiem coerente.

Menzo Lengua è mi nome. Pe' servirLa!”
Tempo non fece il servo felice
a sozzar l'Ade con l'ultima ciarla: 
 
tosto cangiò su forma meretrice
pe' lasciar di carne cumul di sterco
substanzia che a el meglio s'addice.

Per tu lingua uso non è alterco
ma lusinga, offesa e nascondimento.
Mirati ridotto a feccia di porco!”

Ciò dissi, e poi venni a intendimento
che temp'era per noi di salir ormai
e feci su mì duca affidamento.

Quand'Italia al fondo sbatte e par che mai
d'esso s'accontenti, ma scava e freme
com'a voler goder dei peggiori guai,

lì è 'l punto in cui terror 'ncontra speme
e 'l popol ripudia l'anima imbelle
per formar di mille voci unico insieme. 
 
E' 'l canto de' liberi e dell'anime belle.
Cinque d'esse ne verrai per iniziar”
diss'ei; e uscimmo a riveder le stelle.