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Pasolini ebbe a dire che
la gente "si droga per mancanza di cultura." (1) E', questa, una affermazione che mi ha sempre affascinato, un po' come accade con quelle verità tanto semplici e apparentemente scontate da risultare esplosive quando poi qualcuno si decide a tirarle fuori. Si è sempre detto che i giovani "si drogano perché sentono un vuoto dentro di loro". La frase di Pasolini dà un nome a questo vuoto.
La Droga: Mondo Primitivo e Mondo Moderno
Si ricava, dal breve scritto di Pasolini, che nei rituali
magici dei primitivi (nei quali non a caso si fa regolare uso di
droghe allucinogene) ci si droga per riempire un vuoto. Nei primitivi
il vuoto è determinato dalla presenza della natura, le cui leggi
rimangono un mistero: attraverso la religione e la magia - mai separabili - si cerca di spiegarsi i fenomeni naturali e di intervenire dominandoli. Nel mondo moderno, questo ruolo della natura è preso dalla società (dei consumi), un moloch che lascia l'individuo solo con se
stesso, alienato e incapace di comprendere il perché del suo malessere, il perché del suo vuoto interiore. Si cerca allora di riempire questo vuoto con la droga.
Sviluppando l'Intuizione di Pasolini: il Senso della Vita Consiste nella Ricerca del Senso della Vita
La cultura è, al
contrario della droga, qualcosa che riempie la vita in maniera reale.
La riempie ma non la sazia, perché la vita è breve e le cose da
conoscere sono infinite. E' inevitabile che sia così: non è certo
colpa della cultura.
Alla base del malessere, dice Pasolini,
c'è un disorientamento determinato dalla crisi della nozione di cultura, che si fonde con quello di
“tecnica”. E', questo, un elemento chiave per comprendere la crisi della cultura, e le conseguenze sociali di questa crisi. In sostanza, Pasolini vuol dire che la confusione attorno al concetto di cultura fa sì
che non si sappia nemmeno dove cercarla. Così, ad esempio, uno studia lo stretto
necessario per fare il proprio lavoro (elettricista, operaio ecc), e
in un certo senso la sua vita finisce lì: ha appreso la tecnica. In
questo contesto, possiamo dire, non è incondizionatamente vero quello che si dice
comunemente, e cioè che i giovani si drogano perché non hanno
lavoro, e che basterebbe dargliene uno per “dare senso alla loro
vita” e quindi fargli smettere di drogarsi. Il senso della vita è
qualcosa che si conquista ogni giorno, e non c'è nessun diploma o
certificazione che te lo dia una volta per tutte.
Certo è opinione comune
che la vita non abbia senso, e cioè che il senso della vita non
esista. E ciò è certamente vero se si pensa in un'ottica di
risultato, e cioè di una risposta conclusiva. Infatti, se
il senso della vita fosse raggiungibile e definibile una volta per
tutte, allora una volta definitolo la nostra vita non avrebbe più
senso, e il risultato (la definizione) che abbiamo ottenuto si
contraddirebbe da solo: avremmo
“raggiunto” il senso della vita, ma ora ci ritroveremmo punto e a
capo a rigirarci i pollici senza avere nulla verso cui tendere, e dovremmo mettersi alla ricerca di un “nuovo” senso per
riempire il vuoto creatosi. Una situazione paradossale che ci fa capire quanto illusoria sia, per la natura umana, la pretesa di mettere la parola fine alla questione della ricerca del senso della/nella nostra esistenza.
La cultura, cioè la
l'attività di ricercare un senso per l'esistenza (in particolare e primis la nostra), non va interpretata in termini di risultato:
molti la interpretano così, e infatti la loro “cultura” altro
non è se non sterile nozionismo. Se si interpreta la cultura in termini di risultato, allora è inevitabile il sopraggiungere di un momento in cui si crede "di sapere abbastanza" e ci si ferma; è, esattamente questo, l'istante in cui si inizia a venire assaliti dal senso di vuoto, a cadere preda dell'inedia esistenziale. No, la cultura va interpretata in
termini di processo, essa è l'impulso a conoscere e a capire il
mondo e se stessi; è appunto "ricerca" continua che dà senso alla vita e le impedisce di buttarsi via.
- Pier Paolo Pasolini, “Il caos. L''orrendo universo del consumo e del potere”, Editori Riuniti, Roma 1995, pag. 89.
Parole sante, perché vere
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