Ricordate quando per
indicare un individuo con impedimenti funzionali si diceva “handicappato”? E vi
ricordate quando poi si è deciso di cassare il termine “handicappato”, ritenuto
offensivo, per sostituirlo con “disabile”? E vi ricordate del momento in cui si
è deciso di far fuori il termine “disabile”, ritenuto oltraggioso, per
sostituirvi la delirante locuzione “diversamente abile”? E di quando si è
deciso di giustiziare l’espressione “diversamente abile” per soppiantarla con l'orripilante
“diversabile”? I testi della legislazione scolastica possono aiutare una
ricerca che si proponga di studiare un’evoluzione delle varie diciture. Nel
caso di “diversamente abile”, ci si era accontantati di violentare la logica;
con “diversabile” (una specie di crasi), invece, si è pensato di stuprare anche
l’italiano: un sovversivo potrebbe infatti pensare che “diversabile” sia
aggettivo derivato dalla voce del noto verbo “diversare”... Ma stiamo un po’ divagando.
Veniamo al punto. Questa danza di appellativi, sanzionata legislativamente e penetrata nella favella comune, è un esempio di “politicamente
corretto”. E questo è solo un esempio triviale, con un’implicazione politica
così rarefatta da essere intelligibile solo alla mente più informata ed
esperta. Ma il politicamente corretto va molto più a fondo: esso è pervasivo al punto da includere tutto
(almeno nelle ispirazioni). E la politica non è un campo che esso tocchi solo
tangenzialmente e accidentalmente, tutt’altro: il potere politico (autoritario)
è la sua culla, la sua ragion d’essere e il suo approdo ultimo (tant’è vero che
la parola “politica” è inclusa nel suo nome).