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Hegel |
"Furbizia" vs. "Intelligenza"
E' l'ora di discernere i termini e di
usare un linguaggio preciso. La furbizia è un uso del raziocinio
sempre rivolto a uno scopo, ma mai capace di guardare al di là di quel
singolo scopo, alle conseguenze ulteriori e di più larga scala. La
furbizia è l'utilizzo puramente strumentale del raziocinio, la
riflessione sui mezzi e le azioni che portano a un obiettivo
particolare. L'invenzione della ruota per facilitare i trasporti non
è furbizia bensì intelligenza, mentre lo sfruttamento dei tic
behaviouristici del prossimo è furbizia. Il furbo non è parimenti
intelligente, perché manca della visione d'insieme. Il furbo sta al
giocatore di poker come la persona intelligente sta allo scacchista:
il concetto di “furbizia” contiene in sé, in un modo o
nell'altro, il prendersi gioco del prossimo, il raggirarlo.
L'idea di intelligenza in cui è più
facile riconoscersi è quella teorizzata da Hegel nei “Lineamenti”: in sostanza, vi si dice che
l'intelligenza è responsabilità, e che un essere razionale è
sempre responsabile delle sue azioni, indipendentemente dal numero di
passaggi che separano il suo atto dall'effetto, e ciò perchè la
ragione di cui è dotato gli permette sempre di percepire il
carattere universale della “connessione” fra l'agire e le sue
conseguenze, dove soggettività e oggettività dell'agire non sono
separabili nemmeno in merito alla causalità che riflette l'azione particolare
nel mondo:
[...] La verità del singolo è l'universale, e la determinatezza dell'azione è per sé non un contenuto isolato a una singolarità esteriore, bensì un contenuto universale includente entro di sé la connessione molteplice.” (Hegel, Lineamenti di Filosofia del Diritto, Laterza, Bari 1996, p. 104). Solo per i fanciulli e per i folli si può evocare la “non-imputabilità” (ivi, p. 105).
Chi agisce per individualismo egoista
si può dire “furbo”, ma il suo atto è tanto poco previdente
quanto si lega al momento presente, al desiderio animale, al
vantaggio individuale da conseguire hic et nunc. Questa
assenza di prospettiva, confacente a un uso pervertito delle capacità
razioncinanti, crea problemi alla controparte, ma anche alla comunità e
quindi in definitiva, di ritorno, a se stessi. Il furbo agisce contro
se stesso nella credenza di perseguire il proprio bene: qui risiede
la sua stoltezza, una “follia” di cui è però sempre chiamato a
rispondere. Così, la furbizia non è, come vuole il comune dire, "un saper stare al mondo"; è infatti esattamente il contrario: il non aver capito il proprio ruolo nel mondo, nella società in cui si è situati. Persino l'istinto di adattamento animale all'ambiente si colloca su un piano eticamente superiore a quello della furbizia, perché in esso è in gioco la sopravvivenza in quanto tale, e non la sopravvivenza "aumentata" di chi cerca per sè un vantaggio ulteriore che spezza l'equilibrio sociale sottraendo al prossimo con il raggiro ciò che gli spetterebbe, anche per diritto naturale. La furbizia è l'intelletto che si asservisce all'istinto di sopraffazione, e che per questo perde ogni tratto propriamente umano.
La vera intelligenza è quella di chi agisce, anche inconsciamente, per il bene della comunità di cui è parte. In questo
senso, l'intelligenza è un valore etico.