Gli effetti che l'invidia può avere in termini personali (l'autostima, per es.) e sociali (penso alla possibilità di un'organizzazione "meritocratica" della società e del lavoro), sono tra i più gravi. Eppure, il rischio per chi la denuncia è quello di dare l'impressione di credersi un genio
incompreso. Non ho mai tollerato molto chi parla della stupidità
altrui, perché ho sempre trovato che questo rinvii implicitamente
allo snobismo di una superiorità intellettuale di chi scrive.
Allo stesso modo, si dice, chi si proclama vittima dell'invidia confessa di credersi una persona di talento. Perché altrimenti gli altri dovrebbero essere invidiosi di lui? Ma allora vogliamo forse ammettere che nessuno ha il diritto di lamentarsi di un comportamento umano così potenzialmente disastroso per l'esistenza di un individuo? No: colui che critica chi critica l'invidia probabilmente pecca lui stesso di invidia.
Per quanto mi riguarda, vorrei parlare dell'invidia come uno che se ne sente vittima, ma attenzione: solo nel senso che anche io non sono esente dal provare questa passione. Anche io sono uno che prova invidia, e mi scoccia dover ammettere che qualcuno è più bravo di me, dentro e fuori i campi di mia pertinenza. Quindi questo post può essere visto dall'angolazione dell'autocritica.
Allo stesso modo, si dice, chi si proclama vittima dell'invidia confessa di credersi una persona di talento. Perché altrimenti gli altri dovrebbero essere invidiosi di lui? Ma allora vogliamo forse ammettere che nessuno ha il diritto di lamentarsi di un comportamento umano così potenzialmente disastroso per l'esistenza di un individuo? No: colui che critica chi critica l'invidia probabilmente pecca lui stesso di invidia.
Per quanto mi riguarda, vorrei parlare dell'invidia come uno che se ne sente vittima, ma attenzione: solo nel senso che anche io non sono esente dal provare questa passione. Anche io sono uno che prova invidia, e mi scoccia dover ammettere che qualcuno è più bravo di me, dentro e fuori i campi di mia pertinenza. Quindi questo post può essere visto dall'angolazione dell'autocritica.
Quello che posso fare è fornire
strumenti per giudicare chi ci giudica: anche chi giudica, a meno che
non stiamo parlando di Dio, deve poter essere giudicato. Se non si hanno gli
strumenti per battersi contro gli invidiosi, il rischio è di
sviluppare una bassissima autostima, perché lo scopo degli invidiosi
è proprio quello di distruggerti colpendo ciò che dà senso alla tua vita:
quello che sei e che sai fare.
Come il Divin Poeta trattò gli
invidiosi
Dante mette gli invidiosi nel Purgatorio (Canto XIII), perché l'invidia non costituisce un fatto peccaminoso,
ma una tendenza dell'animo, che può o meno dare adito a peccati
tangibili. Viste le conseguenze fattuali che l'invidia non manca mai
di avere, però, Dante avrebbe fatto bene a relegare gli invidiosi
direttamente all'Inferno.
Le anime degli invidiosi sono vestite di un
manto grigio e non si distinguono dallo sfondo fatto di roccia contro il quale seggono: il grigio è il simbolo della torbidità della
loro condizione - l'invidia è uno sfondo che requisisce la loro personalità fino a renderla indistinguibile da questa distruttiva passione -, ma anche forse della loro mediocrità da vivi (la persona di valore dovrà sempre fare i conti con l'invidia, perché la maggioranza in una società appartiene per definizione ai mediocri). Gli occhi degli invidiosi danteschi sono cuciti con filo di ferro e in ciò sta il loro contrappasso: come nella loro vita hanno
guardato agli altri con occhio maligno, sperando di contemplarne le
disgrazie, così ora sono incapacitati a contemplare la luce del
sole. Dante non dimostra particolare sprezzo per queste anime, ma è
normale: come già detto, la loro condizione non è tale da far loro
meritare l'Inferno, e il fatto che la condizione purgatoriale sia
solo temporanea ed espiativa impedisce a Dante di riservare ad alcuna di queste
anime lo stesso disprezzo rivolto a molte tipologie di dannati dell'Inferno.
Si dice sovente che chi prova invidia è
“umano”, come sottile invito alla pazienza e tolleranza nei
confronti di chi la avverte. Certo l'invidia è una qualità umana, non
diabolica: il diavolo tende tradizionalmente a incitarti al peccato
con fare ingannevole, cercando di instillarti il sentimento di un superomismo che ti
porrebbe al di sopra delle leggi dell'uomo e della legge di Dio. Ma
nel dire che l'invidia è umana, si tocca certo uno degli aspetti più
deteriori della natura umana. Se per Sartre “l'Inferno sono gli
altri”, allora si può dire che la via per l'Inferno è lastricata
delle cattive intenzioni del soggetto invidioso. L'invidioso è
infatti una persona miserabile che non merita le attenuanti implicite
nell'affermazione: "In fondo è un comportamento umano."
L'invidioso è un infelice, una persona perennemente insoddisfatta di
sè. Uno ha lavorato per essere quello che è, ha sacrificato serate
allo studio o alla coltivazione della sua arte, ecc.; ha guardato le
altre persone dalla finestra del suo studio spendere la propria
gioventù come si suppone corretto farlo: divertendosi, mentre lui
sentiva la sua passione come una missione che non tollerava
tentennamenti e diversioni. Ma l'invidioso non tiene conto di tutto
questo. L'invidioso vive nel presente. Ma il presente usa l'invidioso
stesso per dirti che tu vali, e lui no: basta solo craccare il codice
di un comportamento umano solo apparentemente complesso, ma in realtà
così semplice nella sua meschinità. Perché l'invidia non ha nulla
di complesso, ma fa solo leva sul nucleo più profondo del nostro
cervello, quello che noi condividiamo con i rettili. La passione
dell'invidioso è quanto di più animale e retrogrado si possa
concepire.
L'invidioso è colui che gioisce delle tue disgrazie, perché queste ti portano in qualche modo al suo livello o ancora più sotto. Tu sarai
anche un artista, ma se per un trauma perdi l'udito, l'invidioso si
consolerà pensando che lui ora finalmente ha qualcosa che tu non
hai. Se poi il tuo talento consisteva nella musica, allora tanto
meglio. Solo uno sciocco equivocherebbe la benevolenza accordataci
dall'invidioso al cospetto di una nostra improvvisa disgrazia o
défaillance come “solidarietà”. Questo atteggiamento è invece
solo Schadenfreude, e se uno non lo individua e lo controbatte lo fa
a suo rischio e pericolo.
Si dice che l'invidia, come il
risentimento, corrode chi la prova. In realtà, la nostra vita
sociale è ricolma di esempi che attestano gli effetti distruttivi
di questa passione. In Italia, ciò che ostacola l'ascesa sociale del
giovane di talento è per metà il malcostume della cooptazione, che
favorisce familiari e amici degli amici; per l'altra metà, l'invidia.
L'invidioso è una persona infelice, ma
la sua infelicità non merita rispetto e compassione, perché si consuma nel
contagio dell'altro. Quanto diversa è l'infelicità di Salieri
rispetto a quella di Leopardi! Da una parte, la frustrazione e il
rancore di colui che vuole distruggere la felicità altrui;
dall'altra, quella che partendo da sé riflette sul mondo fino a
raggiungere le vette altissime della letteratura e della filosofia.
L'invidia è un sentimento contronatura
Non bisogna tollerare l'invidia in
quanto "comportamento umano", ma disprezzare con essa anche
chi ne è portatore sano. Difendersi dall'invidia nel modo
tradizionale di chi fa qualsiasi cosa come se dovesse scusarsi per le
sue qualità rafforza l'invidioso come un leone ferito incoraggia la
iena che, normalmente e per natura, dovrebbe invece rispettarlo e
temerlo. Bisogna rispondere all'invidioso con il sarcasmo,
sbattendogli in faccia la propria superiorità invece di nasconderla
dietro il continuo understatement della propria persona. Lasciate che
lui sia divorato dal proprio rancore, piuttosto che questo divori
voi. Lasciate che cessi di essere portatore sano di questa invidia e
inizi a rivolgere il proprio livore contro se stesso. E non fatevi
illusioni: l'invidioso vi colpirà ogni volta che può, fino a
distruggere l'idea che avevate maturato di voi stessi. Perché
purtroppo egli non è solo. L'invidia è "umana" non perché
sia un tratto tipico dell'uomo, anzi essa coniuga nella forma
dell'intelligenza sociale pulsioni primordiali quali la lotta per
la dominanza nel gruppo e la violenza del branco verso l'individuo
avvertito come “altro”. Semmai, l'elemento differenziante è
un'aggravante per l'uomo: mentre l'animale opera secondo i dettami
della selezione naturale, escludendo dal gruppo l'individuo più
debole, l'uomo affetto da invidia tende a penalizzare l'individuo che
si distingue per qualità superiori e che porterebbe il gruppo a
migliorarsi. Qui sta il punto: l'invidia può
dirsi “umana” perchè, diffusa nella società come un virus dalle
sue basi fino ai vertici, rischia di distruggere non solo,
intimamente, l'autostima di una persona, ma anche, fattualmente, la
sua esistenza. Ma nella sua declinazione umana essa è anche
contronatura perché respinge, invece di favorirle, le istanze di
miglioramento evolutivo del gruppo provenienti dal suo interno.
Invidia “rancorosa” e invidia “virtuosa”
Ma non tacerò l'aspetto dell'invidia a
cui si allude comunemente quando se ne parla come di una qualità
propriamente “umana”. Ebbene sì, tutti gli esseri umani provano
invidia, e quindi provare invidia è umanamente normale e normalmente
umano. Quindi a meno di essere dei misantropi e dei nichilisti,
dobbiamo ammettere che l'invidia è come il coltello: in sé
strumento neutro, può diventare pericoloso in base all'uso che si
decide di farne. Ci sono quindi anche delle qualità positive
dell'invidia, racchiuse nel modo con cui si decide di gestirla,
quando siamo noi a provarla invece che a subirla. Come sono riuscito
io nel tempo a incanalare la mia invidia disinnescando i suoi aspetti
più deleteri? Qui di seguito la spiegazione del come e del perché
l'invidia può essere un fattore positivo:
- In primo luogo, il sentimento dell'invidia può aiutarci a migliorarci, adottando l'invidiato come un modello. Questo orientamento spirituale parte dalla lezione più importante della filosofia socratica: la presa di coscienza della nostra ignoranza e dei nostri limiti. Si ammette la superiorità di chi si ha di fronte, ma invece di combatterla, la si assume come ispirazione. L'invidioso “rancoroso” non è disposto a sottoporsi allo stimolo migliorativo che deriverebbe da una corretta gestione dell'invidia. In tal modo, egli è assieme superbo e ignavo: superbo perché non riconosce il lavoro che ha portato una persona a “essere” qualcuno o qualcosa; ignavo perché, a maggior ragione, non è disposto a sottoporsi al medesimo travaglio. E' più facile distruggere ciò che una persona ha fatto o è, che lavorare per plasmarsi alla luce di un modello virtuoso. L'invidioso “rancoroso” è un essere intimamente nichilista, e in ogni sua parola e azione riecheggia lo spirito di Thanatos, non la forza creatrice di Eros. La capacità di gestire l'invidia segna la differenza tra un uomo che accetta la scommessa del cielo e un uomo che si riduce a verme di terra.
- La corretta gestione dell'invidia svolge anche una funzione di “controllo sociale”. Per ciò, bisogna partire dalla serena ammissione che tutti noi invidiamo le persone di potere e le persone ricche. Ma anche qui l'invidia non deve essere necessariamente un fatto negativo. Se così fosse – e nella stragrande maggioranza dei casi lo è – allora qui i perdenti saremmo immancabilmente noi, perché il carattere gregario del nostro posizionamento sociale in confronto a tali persone non ci permetterebbe di nuocergli. Qui entra in gioco il nostro ruolo di normali cittadini. L'invidia è allora qui un fuoco creatore di passione civile, che ci spinge ad esercitare un controllo sociale informato e incondizionato su questi soggetti sociali privilegiati. Un'invidia così intesa equivale a dire: “Il destino vi ha dato le redini di realtà importanti, che toccano i destini di tutti (le istituzioni dello Stato, l'impresa ecc.). E' mio compito di normale cittadino sottoporvi a una sorveglianza integerrima e stringente, senza sudditanze e timori reverenziali.”Naturalmente la carta di tornasole rispetto alla sincerità di questa disposizione d'animo sta nell'esame di coscienza. Vale a dire che ognuno deve chiedersi se dietro questo atteggiamento vi sia reale passione civile o non semplicemente quella invidia “rancorosa” di cui tanto abbiamo parlato. Per chi sia chiamato a giudicare di questa sincerità, una buona base di partenza sta nel valutare se il tutto si fermi a dichiarazioni oppure se queste confluiscano in un lavoro appassionato e determinato a porre in essere ciò che si va dicendo. In linea di massima, chi invidia il privilegiato solo perché vorrebbe essere al suo posto per fare sostanzialmente le stesse cose, è un invidioso del tipo “rancoroso”. L'invidioso “virtuoso” è invece colui che riconosce la posizione di privilegio del ricco e potente, ma non vuole sostituirvisi, bensì al contrario mantenere le distanze per poter continuare ad esercitare il suo spirito critico e il controllo sociale. Questo è propriamente ciò che manca nel nostro Paese: uno spirito di vigilanza civile verso chi ha il privilegio del comando.ConclusionePer quanto possa sembrar strano, esiste una forma di invidia che è tutto fuorchè il desiderio frustrato di assimilarsi al suo oggetto. Se con questo articolo sono riuscito almeno a far capire questo aspetto, vorrà dire che ne è valsa la pena.
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