lunedì 10 dicembre 2012

L'INVIDIA: ANCHE SE LA CONOSCI, NON LA EVITI

Gli effetti che l'invidia può avere in termini personali (l'autostima, per es.) e sociali (penso alla possibilità di un'organizzazione "meritocratica" della società e del lavoro), sono tra i più gravi. Eppure, il rischio per chi la denuncia è quello di dare l'impressione di credersi un genio incompreso. Non ho mai tollerato molto chi parla della stupidità altrui, perché ho sempre trovato che questo rinvii implicitamente allo snobismo di una superiorità intellettuale di chi scrive.
Allo stesso modo, si dice, chi si proclama vittima dell'invidia confessa di credersi una persona di talento. Perché altrimenti gli altri dovrebbero essere invidiosi di lui? Ma allora vogliamo forse ammettere che nessuno ha il diritto di lamentarsi di un comportamento umano così potenzialmente disastroso per l'esistenza di un individuo? No: colui che critica chi critica l'invidia probabilmente pecca lui stesso di invidia.
Per quanto mi riguarda, vorrei parlare dell'invidia come uno che se ne sente vittima, ma attenzione: solo nel senso che anche io non sono esente dal provare questa passione. Anche io sono uno che prova invidia, e mi scoccia dover ammettere che qualcuno è più bravo di me, dentro e fuori i campi di mia pertinenza. Quindi questo post può essere visto dall'angolazione dell'autocritica.
Quello che posso fare è fornire strumenti per giudicare chi ci giudica: anche chi giudica, a meno che non stiamo parlando di Dio, deve poter essere giudicato. Se non si hanno gli strumenti per battersi contro gli invidiosi, il rischio è di sviluppare una bassissima autostima, perché lo scopo degli invidiosi è proprio quello di distruggerti colpendo ciò che dà senso alla tua vita: quello che sei e che sai fare.

Come il Divin Poeta trattò gli invidiosi

Dante mette gli invidiosi nel Purgatorio (Canto XIII), perché l'invidia non costituisce un fatto peccaminoso, ma una tendenza dell'animo, che può o meno dare adito a peccati tangibili. Viste le conseguenze fattuali che l'invidia non manca mai di avere, però, Dante avrebbe fatto bene a relegare gli invidiosi direttamente all'Inferno
Le anime degli invidiosi sono vestite di un manto grigio e non si distinguono dallo sfondo fatto di roccia contro il quale seggono: il grigio è il simbolo della torbidità della loro condizione - l'invidia è uno sfondo che requisisce la loro personalità fino a renderla indistinguibile da questa distruttiva passione -, ma anche forse della loro mediocrità da vivi (la persona di valore dovrà sempre fare i conti con l'invidia, perché la maggioranza in una società appartiene per definizione ai mediocri). Gli occhi degli invidiosi danteschi sono cuciti con filo di ferro e in ciò sta il loro contrappasso: come nella loro vita hanno guardato agli altri con occhio maligno, sperando di contemplarne le disgrazie, così ora sono incapacitati a contemplare la luce del sole. Dante non dimostra particolare sprezzo per queste anime, ma è normale: come già detto, la loro condizione non è tale da far loro meritare l'Inferno, e il fatto che la condizione purgatoriale sia solo temporanea ed espiativa impedisce a Dante di riservare ad alcuna di queste anime lo stesso disprezzo rivolto a molte tipologie di dannati dell'Inferno.

 "Umano troppo (poco) umano"

Si dice sovente che chi prova invidia è “umano”, come sottile invito alla pazienza e tolleranza nei confronti di chi la avverte. Certo l'invidia è una qualità umana, non diabolica: il diavolo tende tradizionalmente a incitarti al peccato con fare ingannevole, cercando di instillarti il sentimento di un superomismo che ti porrebbe al di sopra delle leggi dell'uomo e della legge di Dio. Ma nel dire che l'invidia è umana, si tocca certo uno degli aspetti più deteriori della natura umana. Se per Sartre “l'Inferno sono gli altri”, allora si può dire che la via per l'Inferno è lastricata delle cattive intenzioni del soggetto invidioso. L'invidioso è infatti una persona miserabile che non merita le attenuanti implicite nell'affermazione: "In fondo è un comportamento umano." L'invidioso è un infelice, una persona perennemente insoddisfatta di sè. Uno ha lavorato per essere quello che è, ha sacrificato serate allo studio o alla coltivazione della sua arte, ecc.; ha guardato le altre persone dalla finestra del suo studio spendere la propria gioventù come si suppone corretto farlo: divertendosi, mentre lui sentiva la sua passione come una missione che non tollerava tentennamenti e diversioni. Ma l'invidioso non tiene conto di tutto questo. L'invidioso vive nel presente. Ma il presente usa l'invidioso stesso per dirti che tu vali, e lui no: basta solo craccare il codice di un comportamento umano solo apparentemente complesso, ma in realtà così semplice nella sua meschinità. Perché l'invidia non ha nulla di complesso, ma fa solo leva sul nucleo più profondo del nostro cervello, quello che noi condividiamo con i rettili. La passione dell'invidioso è quanto di più animale e retrogrado si possa concepire.


L'invidioso è colui che gioisce delle tue disgrazie, perché queste ti portano in qualche modo al suo livello o ancora più sotto. Tu sarai anche un artista, ma se per un trauma perdi l'udito, l'invidioso si consolerà pensando che lui ora finalmente ha qualcosa che tu non hai. Se poi il tuo talento consisteva nella musica, allora tanto meglio. Solo uno sciocco equivocherebbe la benevolenza accordataci dall'invidioso al cospetto di una nostra improvvisa disgrazia o défaillance come “solidarietà”. Questo atteggiamento è invece solo Schadenfreude, e se uno non lo individua e lo controbatte lo fa a suo rischio e pericolo. 
Si dice che l'invidia, come il risentimento, corrode chi la prova. In realtà, la nostra vita sociale è ricolma di esempi che attestano gli effetti distruttivi di questa passione. In Italia, ciò che ostacola l'ascesa sociale del giovane di talento è per metà il malcostume della cooptazione, che favorisce familiari e amici degli amici; per l'altra metà, l'invidia. 
L'invidioso è una persona infelice, ma la sua infelicità non merita rispetto e compassione, perché si consuma nel contagio dell'altro. Quanto diversa è l'infelicità di Salieri rispetto a quella di Leopardi! Da una parte, la frustrazione e il rancore di colui che vuole distruggere la felicità altrui; dall'altra, quella che partendo da sé riflette sul mondo fino a raggiungere le vette altissime della letteratura e della filosofia.

 L'invidia è un sentimento contronatura

Non bisogna tollerare l'invidia in quanto "comportamento umano", ma disprezzare con essa anche chi ne è portatore sano. Difendersi dall'invidia nel modo tradizionale di chi fa qualsiasi cosa come se dovesse scusarsi per le sue qualità rafforza l'invidioso come un leone ferito incoraggia la iena che, normalmente e per natura, dovrebbe invece rispettarlo e temerlo. Bisogna rispondere all'invidioso con il sarcasmo, sbattendogli in faccia la propria superiorità invece di nasconderla dietro il continuo understatement della propria persona. Lasciate che lui sia divorato dal proprio rancore, piuttosto che questo divori voi. Lasciate che cessi di essere portatore sano di questa invidia e inizi a rivolgere il proprio livore contro se stesso. E non fatevi illusioni: l'invidioso vi colpirà ogni volta che può, fino a distruggere l'idea che avevate maturato di voi stessi. Perché purtroppo egli non è solo. L'invidia è "umana" non perché sia un tratto tipico dell'uomo, anzi essa coniuga nella forma dell'intelligenza sociale pulsioni primordiali quali la lotta per la dominanza nel gruppo e la violenza del branco verso l'individuo avvertito come “altro”. Semmai, l'elemento differenziante è un'aggravante per l'uomo: mentre l'animale opera secondo i dettami della selezione naturale, escludendo dal gruppo l'individuo più debole, l'uomo affetto da invidia tende a penalizzare l'individuo che si distingue per qualità superiori e che porterebbe il gruppo a migliorarsi. Qui sta il punto: l'invidia può dirsi “umana” perchè, diffusa nella società come un virus dalle sue basi fino ai vertici, rischia di distruggere non solo, intimamente, l'autostima di una persona, ma anche, fattualmente, la sua esistenza. Ma nella sua declinazione umana essa è anche contronatura perché respinge, invece di favorirle, le istanze di miglioramento evolutivo del gruppo provenienti dal suo interno.

Invidia “rancorosa” e invidia “virtuosa”

Ma non tacerò l'aspetto dell'invidia a cui si allude comunemente quando se ne parla come di una qualità propriamente “umana”. Ebbene sì, tutti gli esseri umani provano invidia, e quindi provare invidia è umanamente normale e normalmente umano. Quindi a meno di essere dei misantropi e dei nichilisti, dobbiamo ammettere che l'invidia è come il coltello: in sé strumento neutro, può diventare pericoloso in base all'uso che si decide di farne. Ci sono quindi anche delle qualità positive dell'invidia, racchiuse nel modo con cui si decide di gestirla, quando siamo noi a provarla invece che a subirla. Come sono riuscito io nel tempo a incanalare la mia invidia disinnescando i suoi aspetti più deleteri? Qui di seguito la spiegazione del come e del perché l'invidia può essere un fattore positivo:
  1. In primo luogo, il sentimento dell'invidia può aiutarci a migliorarci, adottando l'invidiato come un modello. Questo orientamento spirituale parte dalla lezione più importante della filosofia socratica: la presa di coscienza della nostra ignoranza e dei nostri limiti. Si ammette la superiorità di chi si ha di fronte, ma invece di combatterla, la si assume come ispirazione. L'invidioso “rancoroso” non è disposto a sottoporsi allo stimolo migliorativo che deriverebbe da una corretta gestione dell'invidia. In tal modo, egli è assieme superbo e ignavo: superbo perché non riconosce il lavoro che ha portato una persona a “essere” qualcuno o qualcosa; ignavo perché, a maggior ragione, non è disposto a sottoporsi al medesimo travaglio. E' più facile distruggere ciò che una persona ha fatto o è, che lavorare per plasmarsi alla luce di un modello virtuoso. L'invidioso “rancoroso” è un essere intimamente nichilista, e in ogni sua parola e azione riecheggia lo spirito di Thanatos, non la forza creatrice di Eros. La capacità di gestire l'invidia segna la differenza tra un uomo che accetta la scommessa del cielo e un uomo che si riduce a verme di terra.
  2. La corretta gestione dell'invidia svolge anche una funzione di “controllo sociale”. Per ciò, bisogna partire dalla serena ammissione che tutti noi invidiamo le persone di potere e le persone ricche. Ma anche qui l'invidia non deve essere necessariamente un fatto negativo. Se così fosse – e nella stragrande maggioranza dei casi lo è – allora qui i perdenti saremmo immancabilmente noi, perché il carattere gregario del nostro posizionamento sociale in confronto a tali persone non ci permetterebbe di nuocergli. Qui entra in gioco il nostro ruolo di normali cittadini. L'invidia è allora qui un fuoco creatore di passione civile, che ci spinge ad esercitare un controllo sociale informato e incondizionato su questi soggetti sociali privilegiati. Un'invidia così intesa equivale a dire: “Il destino vi ha dato le redini di realtà importanti, che toccano i destini di tutti (le istituzioni dello Stato, l'impresa ecc.). E' mio compito di normale cittadino sottoporvi a una sorveglianza integerrima e stringente, senza sudditanze e timori reverenziali.”
    Naturalmente la carta di tornasole rispetto alla sincerità di questa disposizione d'animo sta nell'esame di coscienza. Vale a dire che ognuno deve chiedersi se dietro questo atteggiamento vi sia reale passione civile o non semplicemente quella invidia “rancorosa” di cui tanto abbiamo parlato. Per chi sia chiamato a giudicare di questa sincerità, una buona base di partenza sta nel valutare se il tutto si fermi a dichiarazioni oppure se queste confluiscano in un lavoro appassionato e determinato a porre in essere ciò che si va dicendo. In linea di massima, chi invidia il privilegiato solo perché vorrebbe essere al suo posto per fare sostanzialmente le stesse cose, è un invidioso del tipo “rancoroso”. L'invidioso “virtuoso” è invece colui che riconosce la posizione di privilegio del ricco e potente, ma non vuole sostituirvisi, bensì al contrario mantenere le distanze per poter continuare ad esercitare il suo spirito critico e il controllo sociale. Questo è propriamente ciò che manca nel nostro Paese: uno spirito di vigilanza civile verso chi ha il privilegio del comando.

    Conclusione

    Per quanto possa sembrar strano, esiste una forma di invidia che è tutto fuorchè il desiderio frustrato di assimilarsi al suo oggetto. Se con questo articolo sono riuscito almeno a far capire questo aspetto, vorrà dire che ne è valsa la pena.


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