(Difficoltà: 3,2/5)
La narrativa per bambini, così come quella religiosa
(la religione rappresenta, dal punto di vista cultural-antropologico,
l'infanzia dell'umanità) è da sempre popolata di figure edulcorate.
"Edulcorate" perchè passate attraverso il filtro
della trasfigurazione narrativa. Ma proprio per questo anche
"drammatizzate", cioè tradotte in una scenografia
suggestiva per la mente del bambino o del religioso.
Avviene così
che l'"orco" di tante favole allude quasi
inequivocabilmente al problema della pedofilia, inconfessabile ma
presente in tutte le epoche. Che si può dire però della figura del
diavolo, per quanto concerne la religione? Il diavolo è, come
è noto, "tentazione". Tentazione di potere e di sesso,
come vuole la tradizione; ma anche, e con un bacino più largo di
riferimenti, "dipendenza": dipendenza da sostanze, da
relazioni, da tutto ciò che produce piacere.
Il fascino di tanti racconti alla "Faust" non
sta però nella "tentazione": l'elemento sorpresa qui sta a
zero, perchè il protagonista è destinato a cedere. Il
fascino sta piuttosto nell'inganno che segue la caduta nella
tentazione. Si scopre con ineluttabile meraviglia che il diavolo è
capace di "cavillare" come i più abili avvocati terreni:
la fregatura sta nel gioco dell'articolazione semantica di una
parola, nel doppio senso, nel suo poter voler dire un'altra cosa o
addirittura il suo contrario.
E il legame tra dipendenza e inganno è
indissolubile: la dipendenza è per definizione qualcosa che
"sorge", che c'è mentre prima non c'era. Ma noi la viviamo
alla stregua di un determinismo implacabile, nonostante fossimo
vissuti tranquillamente senza di essa prima di "contrarla".
L'inganno è estremamente potente: la sostanza (e sempre di sostanza
si parla, perchè anche le dipendenze da un comportamento come il
gioco sono chimicamente traducibili in "spruzzi" di
dopamina nel cervello, quindi sono un'assunzione indiretta di
sostanza) fa credere all'individuo che la vita senza di essa non
sarebbe possibile. Ma è evidentemente tutto frutto di una percezione
indotta dalla sostanza stessa: forse la massima espressione del
concetto di "cane che si morde la coda".
Quindi la dipendenza è sempre "sostanza"
(dopamina per l'eccitazione, endorfine per l'appagamento). Ma essa è
anche "comportamento", perchè è l'assunzione continuata
(diretta o indiretta, come si diceva) della sostanza a determinare
l'abitudine del cervello a considerarla indispensabile per il
funzionamento proprio e del corpo. Per questo chi si occupa
specialisticamente di dipendenze sa che la riabilitazione "chimica"
copre solo una parte minore rispetto all'educazione a una nuova
gestualità e al ripristino di pattern comportamentali
fisiologici. In altre parole, non basta disintossicare corpo e
cervello; occorre anche lavorare sulle meccaniche del comportamento,
per esempio con una terapia di tipo cognitivo.
La "sostanza" è quindi, fuor di allegoria,
il diavolo: essa cattura l'anima (ogni pensiero del dipendente
si rivolge compulsivamente al gesto che configura la dipendenza), e
lo fa con l'illusione di essere imprescindibile per la vita del
soggetto dipendente. Ma i due aspetti sono intrecciati: nel catturare
ogni pensiero, la sostanza non lascia spazio a visioni di stili di
vita alternativi: "E' così e basta". Per il dipendente,
l'unica vita possibile appare essere quella del dipendente. La strada
della dannazione è spianata, e solo un miracolo può
salvarlo.
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