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Ogni sistema del governo delle cose umane, sia esso politico economico o sociale, ha le sue storture, la sua “quota” sindacale di cose che possono andare male e di persone interessate a che le cose vadano male per il Paese perchè gli interessi di questo confliggono con i loro. Per cui evasione fiscale, corruzione, tensioni eversive ecc. sono in una certa misura “fisiologiche”, e non ci si deve scandalizzare o sorprendere per la loro presenza. Il “moralismo”, parola frequentemente usata come mannaia contro i giusti, per cui essa diventa sinonimo di “ipocrisia” e spesso maliziosamente confusa con “moralità” (parola ben diversa), è anche di coloro che non prendono atto del fatto che politica e società sono costruzioni imperfette. Perchè? Perchè furono sì inventate per controllare e disciplinare la natura egoistica dell'uomo in un sistema di regole, ma promanano dall'uomo medesimo, quindi in una situazione di conflitto di interessi. E poi c'è la natura potente e immutabile dell'essere umano, per cui pretendere sistemi avulsi da devianze sarebbe un po' come pretendere di catturare l'acqua con la rete. Dopotutto, le devianze sono lì a ricordarci lo scopo originario per il quale ci siamo dati dei sistemi e delle regole inibitorie, quindi rivestono un certo ruolo.
Ogni sistema del governo delle cose umane, sia esso politico economico o sociale, ha le sue storture, la sua “quota” sindacale di cose che possono andare male e di persone interessate a che le cose vadano male per il Paese perchè gli interessi di questo confliggono con i loro. Per cui evasione fiscale, corruzione, tensioni eversive ecc. sono in una certa misura “fisiologiche”, e non ci si deve scandalizzare o sorprendere per la loro presenza. Il “moralismo”, parola frequentemente usata come mannaia contro i giusti, per cui essa diventa sinonimo di “ipocrisia” e spesso maliziosamente confusa con “moralità” (parola ben diversa), è anche di coloro che non prendono atto del fatto che politica e società sono costruzioni imperfette. Perchè? Perchè furono sì inventate per controllare e disciplinare la natura egoistica dell'uomo in un sistema di regole, ma promanano dall'uomo medesimo, quindi in una situazione di conflitto di interessi. E poi c'è la natura potente e immutabile dell'essere umano, per cui pretendere sistemi avulsi da devianze sarebbe un po' come pretendere di catturare l'acqua con la rete. Dopotutto, le devianze sono lì a ricordarci lo scopo originario per il quale ci siamo dati dei sistemi e delle regole inibitorie, quindi rivestono un certo ruolo.
Tollerare le Devianze non Significa Tollerare i Deviati
Il punto è che, in tutta ovvietà, queste devianze non sono “individualizzabili”
a priori, o meglio detto: nessun soggetto sociale (sia esso individuo
o gruppo) può avere l'arroganza e la superbia di pretendere di
incarnare le eccezioni alla regola (e alle regole). Infatti: perchè loro e non altri? Quindi l'ammettere come “fisiologiche” simili
devianze non coincide con il tollerare che determinati individui o gruppi si ergano a
rappresentanza di queste devianze e le rivendichino per se stessi. Si tollera il principio, ma non la
sua materializzazione. Infatti, visto che le “devianze” sono per
definizione delle eccezioni, coloro che si candidassero ad esserle
pretenderebbero per se stessi una esclusività che lascerebbe fuori decine o
centinaia di milioni di persone, esercitando una superbia inaccettabile. Ciò a meno di non voler estendere
questa rappresentanza, e di chiamare altri al club degli "irregolari". Ma questa è un'operazione dai rischi
evidenti: chi sa, infatti, qual è il quantitativo di “devianza”
che un Paese si può permettere? Il prevalere della devianza vanifica
l'esistenza stessa di uno Stato, perchè decreta il fallimento delle
regole che questo si è dato. Il ritorno alla barbarie tribale è
allora l'unica strada. Ma poi: siamo sicuri che il concetto di
“prevalenza” è qui interpretabile in termini strettamente
matematici? Il magistrato Piercamillo Davigo osservò sagacemente che
i ladri devono essere sempre una minoranza rispetto alle persone
oneste, perchè se toccassero la quota del 50% più uno già inizierebbero a
derubarsi gli uni con gli altri. L'osservazione non fa una piega in
termini di matematica astratta, ma quando si parla della vita di un
Paese naturalmente il discorso è infinitamente più complesso,
perchè la soglia di tolleranza prima del tracollo di un sistema
democratico obbliga alla considerazione di infiniti fattori inerenti
a tutte le sfere della vita pubblica e alla condizione di salute della società che subisce la devianza, nonchè all'entità dell'atto di devianza:
in una città con poche centinaia di migliaia di anime, un singolo
atto di devianza da parte di uno sparuto gruppo di malfattori può
comportare il tracollo di un'intero sistema (è un po' ciò
che è successo - rispetto alla città di Siena - con l'acquisto di
Antonveneta da parte del MPS).
Riassumendo, è per un triplice motivo che la
considerazione della “necessità” della devianza non implica in nessun grado la
tolleranza nei suoi confronti: a) in primo luogo, l'“inassegnabilità” di un diritto
alla devianza: nessuno, individuo o gruppo, ha titolo per contravvenire alle regole più
di quanto lo abbia chiunque altro in una data comunità, prova ne sia che se tutti si assegnassero tale diritto, il sistema si disintegrerebbe; b) in secondo
luogo, perchè non si può conoscere la soglia di tolleranza della devianza in rapporto a un sistema, il punto di non ritorno oltre il quale il sistema è spacciato; c) terzo perchè, dato che la natura umana è quella che è, ogni
ambiguità verso la devianza da parte di chi è preposto a
combatterla innesca un processo di contagio culturale che una volta a
regime è difficilmente controllabile.
La Casta Politica Italiana: la Devianza che si Istituzionalizza
La contravvenzione alle regole può
essere motivata dalla miseria e dalle fame. Ma quando essa è frutto
dell'arroganza individuale o di “casta”, allora è la superbia
che ne fornisce la base a dover scandalizzare il cittadino comune,
perchè qui i soli motori sono la superbia e l'ingordigia, e le
conseguenze per la tenuta di un sistema democratico sono incalcolabili.
Ed è evidente che ciò vale tanto più in quanto una simile arroganza
riguardi la classe dirigente. Una classe
dirigente (politica, economica, delle professioni ecc.) che ragioni
per interessi di individui o di gruppi non è nulla di diverso dalla
mafia, in quanto si arroga dei “diritti” speciali che
contraddicono l'interesse comune e costituiscono quindi
un'“antisocietà” o un “antistato” all'interno della società
e dello Stato.
Ora, prendendo spunto dalla conferma di
Napolitano alla Presidenza della Repubblica, ennesimo sussulto
autoconservatore di “[...] un sistema marcio e schiacciato dal peso
di cricche e mafie, tangenti e ricatti, [che] si barrica nel
sarcofago inchiodando il coperchio dall'interno per non far uscire la
puzza e i vermi” (Travaglio, dal F. Q. di oggi), è facile capire a
chi si applichi in Italia quanto ho cercato di spiegare, e perchè la cancellazione dell'attuale classe politica è così vitale per la sopravvivenza della nostra democrazia. Ammesso che già non sia troppo tardi.
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