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Ho sempre pensato che il giornalismo
stia alla Storia come l'acqua sta alla pietra su cui scivola via nei
giorni di pioggia. Conoscenza giornalistica e conoscenza storica occupano ruoli sostanzialmente opposti. Questo perchè il giornalismo, un po' per sua natura un po' per
intenzionalità maliziosa, sta lì apposta per confondere le acque
attorno al senso stesso del fatto di cronaca, ivi incluso quello destinato potenzialmente a passare alla Storia. Certo è principalmente
una questione di forma mentis: il giornalista non deve scrivere per
un sapere abbastanza universale da meritare di essere tramandato,
impiegato nelle scuole o citato nelle università. Gli interessi del
giornalista sono più vicini a quello che intendiamo con la parola
“curiosità”. Questo cronico interesse per la curiosità, il
particolare sciocco, l'elemento scandalistico o l'inezia, si incrocia solo
raramente con quello che viene chiamato “giornalismo d'inchiesta”.
Ne consegue che quest'ultima forma di giornalismo (invero la più nobile),
non è affatto rappresentativa del giornalismo in quanto tale, ed è
più rara di quanto si pensi, se non schiettamente accidentale. Basti
pensare a quante poche sono le volte in cui, come nello scandalo
Watergate rivelato dai giornalisti del Washington Post Woodward e
Bernstein, il fatto dietro la cronaca ha potuto assurgere alla
nobiltà di evento storico.
Giornalismo "d'Attualità" e Giornalismo "Storico": il Ruolo della Periodicità
La differenza fra la conoscenza storica
e quella giornalistica sta tutta proprio nella difficoltà di
definire una “conoscenza” giornalistica. I giornali “informano”
veramente? Offrono spunti di educazione o di acculturamento? C'è da
dubitarne. L'elemento decisivo per il giornalismo, se confrontato con
la cronaca storica, è l'unità di tempo prescelta. Nel caso del
giornalista, questa è decisa dalla periodicità del giornale o
rivista sul quale scrive. Man mano che la periodicità aumenta (fino
alla rivista semestrale o all'annuale), il livello di analisi, la
pregnanza e significanza dell'argomento affrontato, e la raffinatezza
nel modo di affrontarlo, aumentano e si migliorano. Così si va dagli
articoli di aria fritta della Repubblica o del Corsera, che
riprendono magari l'ennesima ri-conferma o ri-smentita di una ricerca
scientifica (una delle più “in” è quella della dannosità/virtuosità del vino rosso), ai coraggiosi reportage di Fabrizio Gatti
sull'Espresso, fino ad arrivare alle soglie fra giornalismo e Storia.
Va detto a questo proposito che il giornalista di qualità - molto raro specialmente in Italia - è colui
che, senza essere uno storico, coltiva una “memoria storica” più o meno diacronicamente
accentuata, che può limitarsi a ricercare citazioni e riscontri in articoli o
editoriali degli ultimi anni, oppure veri e propri parallelismi e
indizi di un'eziologia storica, o entrambi. Nel primo caso si ha il
Travaglio (a cui non fa difetto però naturalmente anche una solida
conoscenza storica dell'Italia Repubblicana); nel secondo,
caratteristicamente, giornalisti più vetusti (Montanelli, Cervi,
Biagi). Il giornalista privato di memoria e conoscenza storiche,
all'opposto, sarà nel migliore dei casi condannato a essere vittima
del proprio tempo e del conformismo che questo detta. C'è infine il
caso dei giornalisti prezzolati, che fanno categoria a sè in quanto "scrivani" del potere.
Inezia, Sensazionalismo e Gossip come Elementi Strutturali del Giornalismo Contemporaneo
Il giornalista prigioniero dell'hic et nunc, si è detto, contrapposto allo storico o ai (rarissimi) giornalisti disposti a ricercare corsi e ricorsi, cause ed effetti nel continuum storico, per addivenire a una comprensione più profonda dell'attualità. Del resto, a tutti può risultare
chiara la difficoltà di riempire ogni giorno 50-60 pagine di un
quotidiano. Ma con questo non si vuole sminuire le responsabilità
della categoria: infatti non sta scritto nelle Tavole della Legge che
i quotidiani debbano avere tutto quello spazio. Da quando i giornali
sono usciti dal loro ruolo elettivo, cioè quello asciuttamente
cronachistico, aumentando le rubriche e ricalcando così l'offerta
dei settimanali, hanno sbracato verso il confine del gossip
sensazionalistico e oltre, e questo ha contaminato di ritorno le rubriche più
tradizionali come quella politica e quelle dell'Economia,
della Cultura, dello Sport nonché, a strascico, gli editoriali degli
“esperti”, che devono commentare come capita quello che capita.
E' al fondo una questione di ristrettezze temporali, che però vanno a formare il calco
di uno stigma mentale, come si diceva: innegabilmente, una cadenza
settimanale di pubblicazione offre più tempo per la selezione,
l'elaborazione e l'approfondimento della notizia, mentre i tempi per
i quotidiani sono molto più stretti. Le stesse dimensioni raggiunte
dai quotidiani sono quindi un chiaro indizio di un contenuto esteso
artificialmente a mò di divagazioni, sparate, inezie, sollecitazioni
pseudo-pornografiche, ricerche scientifiche confermate e poi
smentite, scoop tirati per i capelli o puttanate più o meno elaborate.
La Parola al Posto dell'Azione: Politica e Giornalismo Alleate nella Strategia dell'Immobilismo
Naturalmente, il terreno d'elezione
della supercazzola evasivo-digressiva non può che essere la
politica. La politica è in Italia da tempo immemorabile il terreno
del detto-non detto, del detto ma non pensato, del pensato ma solo
alluso, del pensato detto diversamente, del diversamente taciuto. Il
parlamento italiano sta al Bundestag tedesco come il teatrino dei Sofisti sta alla Agorà ateniese. Posta di fronte a problemi concreti
da risolvere, la politica è tutta un: "Dobbiamo trovarci attorno a un tavolo per valutare l'abbozzo di un'idea rivolta a un disegno strategico che porti a un abbozzo di intervento.”
La dialettica politica italiana è l'arte dell'elusione dell'impegno. E i
giornalisti sono ben felici di offrire una sponda o una cassa di
risonanza, da una redazione o studio televisivo all'altra, per queste
manovre di ottundimento distrattivo dell'opinione pubblica. Il
cicaleccio di politici inetti è in questo senso perfettamente
complementare alla forma mentis “riempitiva” del giornalista
medio, che è ossessionato dal “pezzo” da consegnare e dal
countdown scandito dalle rotative di stampa. Un blaterare sempre uguale a se stesso snellisce e facilita il lavoro del giornalista, per il quale le parole reiterate all'infinito del politichese diventano una seconda natura, come il campionario degli "scenari" e delle "strategie" che le dichiarazioni dei politici evocano in loro ormai quasi automaticamente, e che l'interpretazione giornalistica infila nell'intercapedine fra il detto e il non detto.
Politica e giornalismo
si associano insomma per dar vita all'autoreferenzialità assoluta: quella
che si basa sulla parola vuota, sullo slogan politico, sul
politichese stretto e largo, dove significante e significato vanno a
spasso per direzioni contrapposte. Il "cortocircuito comunicativo" di cui ogni tanto si parla non è un discorso interno alla comunicazione, ma si riferisce al rapporto tra parola e azione, dove la parola non diventa mai azione se non per realizzare il proprio contrario, nel circolo infinito delle promesse disattese. Esso è il vuoto pneumatico che si crea fra parola e azione, a vantaggio dell'inerzia, dell'inazione e del nascondimento. Tutto questo mentre fuori dal Palazzo infuriano i prodromi di una guerra civile.
Walter Veltroni Padre Italiano dell'"Infotainment"?
In allegato a questo articolo, ci tocca
parlare di Veltroni. Per quanto appaia strano che una personalità
siffatta abbia potuto influire in qualsivoglia ambito della vita
pubblica, va ammesso che la pratica del gadget inaugurata dal nostro
sull'Unità nel corso dei '90, ha determinato uno sconquasso
dell'idea stessa di giornalismo, relegando la notizia e il lavoro di
giornalisti anche prestigiosi ad appendici accessorie. Da coadiuvante
della vendita della testata, il gadget l'ha vampirizzata, sottraendo
inesorabilmente valore giornalistico al mezzo e quindi, a cascata,
serietà e pregnanza ai temi trattati. Il discorso va ben là di
questo o del tal altro gadget, estendendosi all'idea di giornalismo e
alla percezione della realtà ricavabile dalla sua produzione. Ogni
tematica affrontata deve, al pari di un film, di un cd o di un
pupazzetto da collezione, far “divertire”. Il cosiddetto Infotainment è giustificabile nella sezione dello sport o degli spettacoli; quando è invece invece la
cronaca “seria” a subire la giustapposizione dell'affettazione melensa, della
velleità letteraria, del particolare gustoso o morboso ecc., allora
l'intero discorso si corrompe, come si corrompe il rapporto del lettore con la realtà, rapporto che è ancor oggi per ampi versi esclusiva di questo tipo di
giornalismo.
Veltroni ha cioè fatto al giornalismo
quello che ha fatto alla Sinistra italiana: l'ha demolito. Ma - va
detto - allora come adesso egli ha fatto tutto con le migliori
intenzioni. Perchè - si veda - Veltroni non è una persona cattiva e non è nemmeno un giornalista: è semplicemente un politico, in quanto tale inetto.
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