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Si dice spesso che bisogna guardare al futuro, che il passato può diventare una prigione di rimpianti e ricordi malinconici. Si dice che bisogna guardare al futuro anche rispetto al presente. Chi vive nel presente non non impara dagli errori del passato e non si prepara al futuro. C'è chi si spinge a dire che il futuro è l'unica dimensione che conta perché, tautologicamente parlando, è ciò che ci toccherà inevitabilmente.
Si dice spesso che bisogna guardare al futuro, che il passato può diventare una prigione di rimpianti e ricordi malinconici. Si dice che bisogna guardare al futuro anche rispetto al presente. Chi vive nel presente non non impara dagli errori del passato e non si prepara al futuro. C'è chi si spinge a dire che il futuro è l'unica dimensione che conta perché, tautologicamente parlando, è ciò che ci toccherà inevitabilmente.
Ma è veramente così? Il futuro merita
lo status di unica dimensione a contare fra le tre alle quali può
aprirsi la nostra vita? Il passato e il presente sono veramente delle
prigioni senza sbocchi, l'una contrassegnata da rimpianti e l'altra
da sensazioni futili e da un improduttivo “vivere alla giornata”?
Il Futuro è Una Rappresentazione
L'importanza che si accredita al futuro
non intende ovviamente prescindere dalla consapevolezza che esso non
esiste. Anzi, è proprio il suo carattere di “non essere” nel
senso del “non ancora” a renderlo affascinante, perché
declinabile nel puro elemento dell'apertura possibilistica: “Io
posso essere tutto ciò che voglio”. Ciò che per un idealista è
un vantaggio, lascia però indifferente il realista. Non è questa –
si badi bene - una questione di ottimismo o pessimismo, cioè degli
attributi arbitrariamente appiccicabili al futuro alla stregua di
quel “non ancora”, se sarà “buono” o “cattivo”, insomma
di ciò che ci si aspetta da esso. Il realista guarda alla semplice
non-realtà del futuro. A lui interessa la semplice constatazione che
il futuro non esiste e pertanto non può essere conosciuto. Anche il
“non ancora” può essere messo in dubbio dall'attuale non-esistenza della dimensione futura. Chi mi dice infatti che il
sole sorgerà domani, e che possiamo contare su un futuro più lungo
di qualche ora o minuto? Se non possiamo essere assolutamente certi
dell'esistenza del futuro come lo siamo della sua inesistenza nel
presente, non ha senso dargli molta importanza solo sulla scia
delle nostre attuali aspirazioni.
Il futuro, in buona sostanza, è solo
una rappresentazione, un fantasma della nostra mente.
Anche il Presente Non esiste
Se a tutti può essere chiaro il fatto
che il futuro non esiste, la nostra esperienza ci suggerirebbe che il
presente invece esiste, perché in un certo senso lo possiamo non
solamente pensare, ma anche toccare, assaporare, vedere e udire. La
giustificazione del presente, della sua esistenza, ci deriverebbe
insomma dalla nostra esperienza sensoriale. Questo è ciò su cui si
appoggiano i detrattori del presente quando dicono che chi vive
sprofondato in esso non ha aspirazioni, ma si consegna al piacere, al
gozzoviglio licenzioso, alla carnalità e al godimento dei sensi.
Ma è veramente così? Esiste veramente il presente? La scienza delle
modalità della conoscenza animale, incentrata sul sistema nervoso,
ci dice piuttosto il contrario. Ogni percezione coinvolge gli organi sensoriali
e il cervello, che elabora informazioni grezze provenienti dalle
periferie del sistema nervoso. Ad esempio, la retina dell'occhio
contiene fotorecettori che inviano al cervello le informazioni da
interpretare. E' in realtà il cervello a “vedere”, non l'occhio.
Ora, il processo descritto richiede del
tempo, e benchè si abbia la sensazione che tutto avvenga
immediatamente, si può star certi del fatto che non è così.
Nessuna percezione ci deriva immediatamente, perché nessun essere
vivente in grado di percepire vive in simbiosi diretta con l'universo
percepibile.
Che si può dire del pensiero? L'atto
di pensare può essere apercettivo? Noi possiamo rapportarci
direttamente con l'atto del pensiero, che è qualcosa che pertiene al
cervello e può svolgersi indipendentemente dalle sensazioni, giusto?
La questione è problematica: non ci è dato sapere se un essere
sempre vissuto in totale isolamento percettivo sia in grado di
produrre pensieri. Quello che è certo è che neppure l'atto di
pensiero riflette una condizione presente, perché – come è stato
dimostrato – ogni pensiero cosciente è anticipato a livello
inconscio. Come per la percezione, anche il pensiero finito è il
frutto di un processo del cui svolgimento noi non ci rendiamo conto,
perché si sottrae al livello conscio. Ciò che crediamo
l'essenzialmente presente è in realtà qualcosa di già accaduto in
noi, e di cui noi raccogliamo il frutto. Percezione e pensiero sono
essenzialmente dei ricordi in miniatura.
Conclusione: il Passato è l'Unica
Dimensione Dotata di Realtà e La Storia è la Vera Scienza
Se il futuro è una semplice idea o
rappresentazione, quindi non esiste, e se il presente parimenti non
esiste, perché percezione e pensiero sono dei ricordi,
delle testimonianze di processi aventi come tali un inizio e una fine
separati, allora l'unica dimensione temporale dotata di realtà è il
passato.
Il passato è l'unica ricchezza
concreta a cui l'uomo possa fare riferimento. Il passato può essere
certo fonte di visioni atterrenti, nella forma del rimpianto e alla
nostalgia. Ma il rimpianto scaturisce dal guardare al passato con gli
occhi del futuro (“se avessi agito diversamente le cose sarebbero andate meglio”) mentre la
nostalgia sopravviene quando si guarda al passato con gli occhi del
presente (“vorrei che fosse ancora così”). Queste visioni sono
bloccate nel passato dalla tenaglia dell'assoluta irrealizzabilità
di ciò che desiderano: un cambiamento da realizzarsi nel passato.
Diverso è invece lo sguardo storico, che cerca di realizzare il
cambiamento nel presente attingendo a un passato interpretato come
Storia. La Storia, custode del nostro passato, è quindi la vera e
definitiva scienza.
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