In una società dove solo ciò che si può osservare – nemmeno tanto più, come per s. Tommaso, “toccare” - è reale, si è portati a considerare il linguaggio come una cosetta inutile e ininfluente, un coagulo di espedienti retorici fatti apposta per scansare l'azione.
Politica
e Burocrazia: Linguaggio del Potere e Potere del Linguaggio
Proprio nell'ambito politico, il linguaggio svolge il suo ruolo più
importante, che è quello del nascondimento e del camuffamento
sofisticheggiante. Inoltre, il “meta-linguaggio” politico, sempre
intriso del simulacro della concretezza nel dire cose concrete, ma
che non vuole fare - mentre, sul versante opposto, come
sappiamo fa cose che non può dire se non in maniera generica
e sfuggente - serve proprio a donare quell'impressione di concretezza
che uccella il popolo e giustifica l'assegnazione di ruoli, incarichi
e mansioni affatto aleatori e pretestuosi.
Il politichese pertiene alla comunicazione politica, e
nasconde il nulla di quello che si ha da dire; il burocratese
invece pertiene alla parte operativa e amministrativa, e nasconde
il nulla di quello che si è chiamatti a fare. Il primo – quello
politico - è il linguaggio del potere; il secondo – quello
burocratico - è il potere del linguaggio, ma sono in fondo
l'una e medesima cosa, incarnata dalla stessa tipologia di individui.
Il linguaggio del nostro tempo assolve quindi - tra gli altri - lo
scopo di donare concretezza illusoria a quello che concreto non è.
In questo modo il, linguaggio prende in giro il popolo, teorico
beneficiario dell'azione politica, e dissimula i favori del
clientelismo più becero e parassitario, l'attribuzione delle deleghe
più assurde e le branche di spoil system più paradossali.
Smascherarlo richiede conoscenza su come funzionano le cose e su come
il linguaggio le permea.
Inganno
Linguistico e Pubblico Saccheggio
Gli esempi saltano all'occhio se si riflette sull'assurdità della
controparte operativa alla quale le varie dizioni alludono. Per i
grandi eventi come i G8 e le Olimpiadi, ad esempio, c'è
l'“attivatore di eventi”, che si distingue solo per
morfologia linguistica da un altro incarico da grandi eventi, quello
del “soggetto attuatore”. In Parlamento, tempio della
fuffa linguistica, c'è poi il “ministro per l'attuazione del
programma”, dal quale apprendiamo che i governi hanno bisogno
di qualcuno che, all'interno del governo, vigila acchè esso
governi.
“Attuazione”,
attivazione”, “attivatore”, “attuatore”: tutte parole
improntate al decisionismo, alla concretezza dell'azione, ma che
albergano il principio di un peculato onnipresente e a norma di
legge. E' il “potere del linguaggio” che diventa, per
détournement,
“linguaggio del potere”, il linguaggio della burocrazia che serve
una politica ladra e ignava.
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