Mentre in altri paesi la legalità è la norma, e ci vuole un
certo coraggio per essere disonesti perché si sa di incorrere in
pene dure e certe, nel nostro paese vale piuttosto il contrario. Ciò
è permesso dai tempi geologici della giustizia e da una legge fatta
dai criminali apposta per se stessi.
In linea generale, però, è chiaro che il criminale contraccambia
il rischio della galera non solo con un guadagno facile, ma anche con
una indiscutibile posizione di vantaggio. Il principio è solo in apparenza scontato: i tutori della legge sono
chiamati al rispetto della legge anche quando devono far
rispettare la legge.
Mi spiego: “il fine giustifica i mezzi” non
è motto che si addica al tutore dell'ordine, che deve sempre
perseguire il criminale attenendosi al mandato della legalità e ai suoi formalismi.
Il criminale può attaccare per uccidere, mentre il
tutore dell'ordine può solo difendersi. Il criminale può fregarsene delle regole, il tutore dell'ordine deve rispettarle. Per potersi
fregiare della nomea di giusto, il giusto deve accettare di partire
in svantaggio. Questa però non è tanto una manchevolezza
inerente ai codici del sistema di giustizia, che ne rispecchiano la
caratteristica essenziale: la rettitudine. E' piuttosto un aspetto
dell'ingiustizia del mondo, che non a caso gira su un asse sbieco.
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