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L'osservazione empirica mi ha portato alla conclusione
antropologico-culturale che gli stereotipi su una popolazione si
riferiscono alla parte che risiede nelle regioni più a sud di ogni
paese. Questa idea trova conferma nella provenienza dei simboli che
vengono adottati per esprimere il pregiudizio etnico. Così, per es.,
l'Italia è canzonata per la pizza, per il mandolino e
per la mafia, tutte cose che legano la loro origine alle
regioni del sud, come per una certa espansività caratteriale che
s'esprimerebbe in ampi gesticolii delle mani. Per la Germania, allo
stesso modo, si usano elementi che fanno parte prevalentemente del
folklore bavarese: i crauti, la birra, la tenuta da montanaro,
l'allegria fanfarona e rumorosa.
Il pregiudizio razziale è in sé una semplificazione della realtà
che il pensiero attua per economia mentale, e per difesa da timori di solito
paranoici, come quello dell'importazione della criminalità, degli
immigrati che rubano i posti di lavoro ecc. Non v'è da
meravigliarsi quindi che tale semplificazione s'avvalga di
un'iconografia composta da oggetti e abitudini ben distinguibili e
quindi facilmente elevabili a simboli. Il terreno più adatto al
pensiero affetto da pregiudizi è l'immagine, non il pensiero. E
infatti, le poche volte che il pensiero s'avventura in una fondazione
teorica del pregiudizio etnico, esibisce tutta la patetica pochezza e
la grossolanità antiscientifica di cui la mente razzista è capace.
Quali sono i fondamenti scientifici capaci di suffragare l'evidenza
del carattere “sudista” del pregiudizio? La domanda ha lo
stesso senso che può avere la ricerca di regole nelle elucubrazioni
che un pensiero patologico si dà per giustificarsi. Ha molto più
senso, invece, ricercare le cause del pensiero patologico in sé. Ma
per la mente tendente al pregiudizio importanti risultati sono già
stati ottenuti (si veda il risultato della fondamentale ricerca
svolta da Th. W. Adorno: La Personalità Autoritaria (The
Authoritarian Personality), Edizioni di Comunità, 1997).
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