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Se si prova a dare uno smartphone con
lo schermo tattile a un vecchio, si vedrà che l'istinto di questo
sarà quello di premere le icone sullo schermo come se fossero dei
pulsanti fisici, meccanici: con forza, e non semplicemente sfiorando.
E' un fatto curioso che fa riflettere sul ruolo sempre più importante che il progresso
tecnologico riveste nel modo di pensare l'evoluzione umana. Il
nonnetto è ancora legato a un'epoca in cui la tecnologia era
meccanica, e non “digitale”: occorreva azionare meccanismi, e non
sfiorare con un dito.
Il concetto di “digitale” è da me
qui usato in maniera impropria, suggestivamente e non guardando alla
realtà storica del termine. La tecnologia digitale precorre infatti
la rivoluzione degli schermi “touch” che si è legata alla diffusione degli
smartphone e dei tablet, e si riferisce all'era dei computer. Gioco
insomma sull'ambiguità insita nel termine: da un lato infatti
“digitale” deriva dal latino “digitus” (dito),
dall'altro esso è transitato attraverso l'inglese al significato di
“elaborazione numerica” (i “digits” sono in inglese le
“cifre” numeriche, che traducono il modus operandi del computer).
Tecnologia “meccanica” quindi (dai
grandi macchinari industriali alle “macchinose” tastiere del
computer, che richiedono ovviamente pressione, sforzo, peso) e tecnologia
“digitale” (la quale evoca il mondo dei computer, dai “bit” del
linguaggio macchina alla “leggerezza” della new economy, che
volteggia alla velocità della luce dai server centrali ai nostri
computer casalinghi attraverso la fibra ottica). E' forse persino
possibile individuare un preciso anello di congiunzione dalla
tecnologia “meccanica” a quella “digitale” (nell'accezione
suggerita): prima dell'affermazione sul mercato degli schermi
capacitivi (quelli per i quali è sufficiente lo sfioramento dello
schermo per azionare l'app o far scorrere una pagina web), infatti,
esistevano anche quelli resistivi (che richiedevano una certa
pressione sullo schermo), i quali furono i primi a diffondersi tra il
pubblico.
Insomma, il padre o il nonno alle prime
armi con lo smartphone che “pigia” con forza sullo schermo è
qualcosa di più di una scenetta divertente: rappresenta un passaggio
generazionale scandito dalla tecnologia. E noi siamo sempre meno
“homo sapiens” e sempre più “homo technologicus” anche per
questo: per il fatto che i nostri cambiamenti, la nostra evoluzione
si fanno declinare ormai soprattutto sul piano della tecnologia, più
che su quello del modo di pensare o di agire. Generazione “meccanica”
e generazione “digitale”: generazioni di apparecchi e generazioni
umane si sovrappongono e confondono, quasi la tecnologia fosse parte
di noi al punto da determinare il nostro destino antropologico, come
nel mito del “cyborg”. In termini concreti, ciò si potrebbe spiegare con un passaggio (ebbene sì: in realtà una involuzione) dalla valorizzazione del contenuto sapienziale ("homo sapiens") a quello del modo di accedere ai contenuti ("homo technologicus")*; dalla sostanza alla forma, dal messaggio al medium ("Il medium è il messaggio", nella famosa massima di McLuhan).
C'è chi chiama tutto ciò “alienazione”,
chi “fatalità”. Il brutto è che hanno ragione entrambi.
* E in effetti, basta guardare al proliferare di forum di discussione e siti che si soffermano semplicemnete sul mezzo in quanto mezzo: per fornire assistenza tecnica, per discutere sui nuovi modelli, per ottimizzare l'uso dell'apparecchio, insomma un continuo soffermarsi sul messo in quanto tale, sugli strumenti e sulle modalità per accedere ai contenuti, più che ai contenuti stessi. Contenuto e mezzo si identificano: il mezzo diventa contenuto della discussione.
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