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Blaise Pascal |
L'Ateismo è un Anacronismo
Io penso che coloro che ancora oggi
professano un ateismo militante siano solo dei narcisisti, e cioè gente che cerca consenso a buon mercato e una dimensione per il
proprio debole io. E questo perché, nella sua lotta dalla parte
della ragione contro l'asfissiante dogmatica religiosa, ormai
l'Illuminismo ha, lungo i 300 anni della sua esistenza, sortito tutti gli effetti
che poteva sortire.
Oltre a comunicare un retrogusto di
anacronismo, la professione di ateismo è – come suggerisce il
termine “professione” - null'altro che un riflesso di ciò che
vorrebbe negare: l'ateo – specialmente per il fatto che lotta
contro l'idea di Dio in un'epoca che ormai da un secolo e mezzo ha
conosciuto la “morte di Dio” - si fa guidare e quindi determinare
da questa stessa idea di Dio, e risulta alla fine più ossessionato
da essa di quanto lo sia il credente medio. Lottando contro un Dio
già ucciso dai Lumi, lo mantiene in vita per antitesi: il suo
vilipendio di cadavere infonde nuova vita a ciò di cui ritiene il
mondo debba liberarsi. Meglio farebbe, l'ateo, a lottare contro ciò
di cui l'idea di Dio ancora oggi funge da pretesto: il potere temporale
della Chiesa, la sua capacità di mettere becco e mano nella politica
italiana per questioni vitali quali l'immigrazione, l'aborto e le questioni economiche.
Lo Schock dell'Anomia: Caos Etico e Estinzione della Civiltà Occidentale
Quando si parla di effetti
dell'Illuminismo (sul modo di pensarsi e di vivere di una civiltà),
si devono intendere anche quelli collaterali. Tra questi, la caduta in una
crisi di identità e la disperata ricerca di senso, che in periodi di
boom economico si è rivolta ai consumi, mentre nell'attuale periodo
di crisi economica esplode in mille rivoli, uno più scentrato dell'altro. Basta vedere tutte le folli rivendicazioni che si
raccolgono sotto l'etichetta di “giustizia sociale” (quelle che
qui in Italia perlopiù chiamiamo “boldrinate”), dall'ottusa
questione del genere [che vede in America l'abolizione della
dicotomia uomo/donna a favore di una assurda galassia di
denominazioni (1)] al relativismo culturale (il famigerato
“multiculturalismo”, che mette sullo stesso piano l'Islam e la
cultura occidentale, ebraico-cristiana e illuminata) al caos etico
della procreazione per procura e della “stepchild adoption” per
le coppie omosessuali.
E – per quanto mi costi ammetterlo –
occorre dire che proprio l'idea di Dio era una discreta fonte di senso
per le generazioni passate. Pensiamo proprio alla questione della
famiglia, la cui stessa nozione oggi è sottoposta - come tutto il resto, peraltro - a una demolizione in senso decostruttivistico (come gli esempi citati sopra ben illustrano). Non è un caso che le società
occidentali siano oggi in una crisi di natalità che, rebus sic
stantibus, le porteranno all'estinzione nel giro di poche
generazioni: se il replacement fertility rate (che permette la sopravvivenza demografica di una popolazione) è calcolato per i paesi industrializzati su un tasso di natalità minimo di 2,1, in tutti
gli Stati europei, per esempio, siamo ben sotto questa soglia, con la
Francia a 2,01 – grazie però all'influsso delle popolazione
immigrate -, la Germania a 1,38, l'Italia a 1,43 ecc. (2)
La Scommessa di Pascal
Personalmente, non sento su di me il
peso di una mancanza di senso: forse perché già il fatto di
riflettere sulla mancanza di senso della (propria) vita significa
dare un senso alla propria vita. La mia adesione alla “scommessa di
Pascal” si motiva – nello stesso spirito del pensatore francese –
con il puro calcolo, a partire da una domanda: e se Dio, nonostante
tutto, esistesse?
Ma cosa diceva precisamente Pascal?
Ecco un estratto dai Pensieri, parte III, §233:
4. Soppesiamo il guadagno e la perdita dallo scommettere che Dio
esiste. Stimiamo le due possibilità. Se vinci, vinci tutto; se
perdi, non perdi niente.
Pensiamoci bene: se uno ha la forza di
rinunciare all'ossessione ateistica - che comunque come abbiamo visto
è anacronistica e non porta a nulla -, e ha una mente abbastanza libera da aprirsi alla
possibilità – per quanto remota e scarna - dell'esistenza di Dio,
perché non fare la scommessa? Ecco, schematicamente, alcune
considerazioni:
- Lo sforzo che ci viene richiesto è minimo: non ci viene chiesto di professare la fede attivamente, di andare in chiesa o confessarsi (la confessione non è sacramento condiviso da tutte le chiese cristiane), ma solo di credere in Dio e di comportarci eticamente, come peraltro già ci suggerisce la nostra indole di esseri laici civilizzati.
- Se Dio esiste ed è veramente il Dio misericordioso che le Scritture indicano, non è ragionevole pensare che premierebbe noi, nella nostra fede “calcolata”, a fronte di un ateo che non ha nemmeno questa? Se no, dove sarebbe la tanto declamata giustizia divina? E' chiaro che la nostra fede, per quanto esile, frutto di calcolo e non praticata, ci permetterebbe quantomeno l'accesso all'anticamera della salvezza che è il Purgatorio. Dopotutto, Dio sa che partiamo svantaggiati (3) perché nati in un'epoca "senza Dio" e nella quale acquisire e mantenere la fede è un'impresa, e quindi premierà comunque il nostro sforzo.
- Se noi già facciamo del bene (volontariato, cura della madre anziana, assistenza ad animali, donazioni) ma il fare del bene non è sufficiente per raggiungere la salvezza eterna perché è necessaria la fede, perché sprecare il bene che è già in noi da laici non-credenti? Perché non affiancarvi la fede in Dio attraverso la scommessa e in tal modo “usare” questo bene per ottenere il premio della vita eterna?Dopotutto, non è colui che fa bene indipendentemente dalla fede meglio di chi fa il bene solo perché si immagina che Dio lo guardi e, credente da sempre e qundi differentemente da noi, non può sapere se farebbe il bene a prescindere, cioè anche senza il dono della fede?
In Pratica...
Ecco in concreto cosa si può fare per
“ingaggiarsi” nella scommessa:
- comportarsi in maniera etica e secondo coscienza e razionalità, per esempio aiutando gli altri a partire dalle persone più vicine (familiari, amici, cittadinanza), secondo il precetto evangelico: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Questo per dimostrare a Dio buona volontà e disposizione al di là delle sole preghiere.
- Pregare per 15-20 minuti durante la giornata.
- Dedicare parte della preghiera a richieste rivolte a Dio, che riguardino principalmente se stessi e i propri cari (ad esempio, la salute ecc.). Consiglio: usare “fa che (mia madre stia in salute, per es)” per gli altri e “aiutami a” (mantenere l'autocontrollo, per es.), per se stessi.
- Durante la preghiera, concentrarsi su ciò che si dice, creando anche delle immagini mentali di persone e azioni e cercando così di “vivere” la preghiera, di parteciparvi. Evitare di concepire la preghiera come un processo meccanico, dicendo le preghiere mentre si pensa ad altro.
Cosa costa a noi
laici e tendenzialmente non credenti, abbracciare la scommessa di
Pascal e iniziare a "credere" in Dio? Non dovremmo rinunciare a nulla,
se non a mezz'ora al giorno da dedicare alla preghiera, e avremo
tutto da guadagnare, specialmente se già facciamo del bene e abbiamo
dimestichezza con la virtù.
Non solo non
dovremo rinunciare a nulla di quello che già facciamo, ma non
vivremo mai la delusione di constatare che, eventualmente, la nostra scommessa di una
vita è stata invano, dal momento che con la nostra morte tutto finirebbe.
E poi, infine, c'è la
possibilità che la fede, come per molte cose, si acquisisca per
abitudine. Quindi da fedeli per “scommessa” e per “convenienza”
diverremmo fedeli convinti, con i benefici che derivano da una vita
ancora più arricchita di senso di quello che già la “scommessa”
è in grado di dare.
(1) “Here Are the 31
Gender Identities New York City Recognizes”
(25/05/2016)
(2) “Fertility
statistics”, Eurostat,
aggiornatmento dati al 2014.
(3) Per un confronto sul dilemma del rapporto fra storicità e possibilità della fede,
si vedano le interessanti riflessioni di Kierkegaard in Briciole filosofiche. Il filosofo
danese si chiede se, in termini della possibilità di credere in Dio,
un contemporaneo di Cristo non fosse avvantaggiato rispetto a chi è
venuto dopo e non l'ha conosciuto.
Soren
Kierkegaard, Briciole Filosofiche,
Queriniana, Brescia 1989, pp. 114-133.
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