(Difficoltà: 3,6/5)
LA VOCE NARRANTE NEI FILM
"Maledetto il giorno che t'ho incontrato" (1992) |
Una cosa che odio sono
quei film dove c'è la voce narrante. Parlo di film come “Maledetto
il giorno che ti ho incontrato”, di Verdone.
Non so ben spiegarmi il
senso di questo mio tarlo. Forse considero questo espediente un trucco di bassa lega
del regista per risparmiarsi la fatica – nell'impiego
caratteristico della voce narrante, che è quello di
introduzione alla storia o ai personaggi - di "creare un mondo" che “collochi” gli interpreti, presentandoli
al pubblico e definendoli. E' più semplice introdurre l'intera
storia con un “Tizio è un giornalista innamorato di Tizia, la
caporedattrice del giornali in cui lavora. Tizio vorrebbe proporsi,
ma ha due difetti caratteriali: è un pigro e un pavido” ecc.; più arduo sarebbe
invece elaborare una serie di "antefatti" della narrazione – in forma
di eventi e dialoghi - che siano abbastanza densi da essere al contempo esaustivi e sintetici e non portare via troppo tempo al resto
del film.
Ma questo è, apparentemente, un dono
che non molti registi hanno, e che parla della qualità dal lato
della sceneggiatura.
Ma è solo il fastidio per
la pigrizia del regista a farmi odiare questo espediente
registico-cinematografico? No. C'è innanzitutto quel tono un po'
compiaciuto e “complice” di molte di queste voci narranti, che
sovente cercano a tutti i costi di farci piacere il personaggio o i personaggi, o di
farci immedesimare in loro in modo precipitoso e quindi del tutto
artificiale. La verità è però che a una regia mediocre – quale
spesso evidenziata dall'impiego della voce narrante - corrisponde il
più delle volte una sceneggiatura mediocre, e quindi il trucco della
voce narrante, caratteristicamente accorata, pomposa o divertita a
seconda del genere, risulta francamente patetica nel millantare per il film un
valore - anche legato al puro svago - che esso non possiede.
Ci può essere infine, sotteso all'impiego della voce narrante nei film, un
atteggiamento paternalistico, un “prendere per mano” lo
spettatore, credendolo evidentemente incapace di dedurre caratteri e
background dai semplici accadimenti e dialoghi. E', in questo senso,
un contrassegno della cultura di massa, che imprigiona lo spettatore
in un perenne stato di minorità pre-razionale o pseudo-razionale. La voce narrante è allora un filo di Arianna che viene messo a
disposizione di un utente infantilizzato: un elemento di linearità
univoca che impedisce fin dall'inizio – anzi, per meglio dire,
dall'Introduzione – ogni iniziativa di scoperta e di
interpretazione. E' come se Dostojevskij ci avesse detto fin da
subito qual è il carattere del Principe Myškin o di
Raskolnikov, invece di farceli scoprire - nella
loro estrema complessità, che è la complessità della vita, quella
reale – autonomamente, attraverso la narrazione degli eventi e i
dialoghi.
Nessun commento:
Posta un commento