lunedì 23 ottobre 2017

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9972

 (Difficoltà: 3,6/5)

LA VOCE NARRANTE NEI FILM

"Maledetto il giorno che t'ho incontrato" (1992)
Una cosa che odio sono quei film dove c'è la voce narrante. Parlo di film come “Maledetto il giorno che ti ho incontrato”, di Verdone.
Non so ben spiegarmi il senso di questo mio tarlo. Forse considero questo espediente un trucco di bassa lega del regista per risparmiarsi la fatica – nell'impiego caratteristico della voce narrante, che è quello di introduzione alla storia o ai personaggi - di "creare un mondo" che “collochi” gli interpreti, presentandoli al pubblico e definendoli. E' più semplice introdurre l'intera storia con un “Tizio è un giornalista innamorato di Tizia, la caporedattrice del giornali in cui lavora. Tizio vorrebbe proporsi, ma ha due difetti caratteriali: è un pigro e un pavido” ecc.; più arduo sarebbe invece elaborare una serie di "antefatti" della narrazione – in forma di eventi e dialoghi - che siano abbastanza densi da essere al contempo esaustivi e sintetici e non portare via troppo tempo al resto del film.
Ma questo è, apparentemente, un dono che non molti registi hanno, e che parla della qualità dal lato della sceneggiatura.
Si tratta di un trucco – quello della voce narrante, appunto - che poteva essere giustificato quando la cinematografia era ai suoi ingenui esordi di massa (diciamo nel Secondo dopoguerra, e qualche film del giovane Sordi è lì a illustrare il principio), ma non oggi che è una forma espressiva matura che ha fatto vedere tutto e il contrario di tutto, fino al punto da approdare a una sterilità creativa che inizia a nauseare il pubblico e a spostarlo verso le serie tv. Un'altra giustificazione è ovviamente, quella di trasposizioni di romanzi famosi, dove le citazioni dell'autore, sia nell'introduzione che nel prosieguo, servono per tener agganciato il film alla sua ispirazione originaria, e a dare l'impressione di fedeltà all'opera letteraria.

Ma è solo il fastidio per la pigrizia del regista a farmi odiare questo espediente registico-cinematografico? No. C'è innanzitutto quel tono un po' compiaciuto e “complice” di molte di queste voci narranti, che sovente cercano a tutti i costi di farci piacere il personaggio o i personaggi, o di farci immedesimare in loro in modo precipitoso e quindi del tutto artificiale. La verità è però che a una regia mediocre – quale spesso evidenziata dall'impiego della voce narrante - corrisponde il più delle volte una sceneggiatura mediocre, e quindi il trucco della voce narrante, caratteristicamente accorata, pomposa o divertita a seconda del genere, risulta francamente patetica nel millantare per il film un valore - anche legato al puro svago - che esso non possiede.

Ci può essere infine, sotteso all'impiego della voce narrante nei film, un atteggiamento paternalistico, un “prendere per mano” lo spettatore, credendolo evidentemente incapace di dedurre caratteri e background dai semplici accadimenti e dialoghi. E', in questo senso, un contrassegno della cultura di massa, che imprigiona lo spettatore in un perenne stato di minorità pre-razionale o pseudo-razionale. La voce narrante è allora un filo di Arianna che viene messo a disposizione di un utente infantilizzato: un elemento di linearità univoca che impedisce fin dall'inizio – anzi, per meglio dire, dall'Introduzione – ogni iniziativa di scoperta e di interpretazione. E' come se Dostojevskij ci avesse detto fin da subito qual è il carattere del Principe Myškin o di Raskolnikov, invece di farceli scoprire - nella loro estrema complessità, che è la complessità della vita, quella reale – autonomamente, attraverso la narrazione degli eventi e i dialoghi.

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