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Se c'è una cosa che quel pusillanime di Schettino ci ha insegnato, è che se la nave sta affondando, il capitano deve rimanere a bordo e i
primi a lasciarla sono i topi.
Si parla della “fuga dei cervelli” e dei giovani che lasciano
l'Italia per cercare lavoro all'estero come di un danno economico
irreparabile per il belpaese, ma anche di una prova di coraggio di
persone che decidono di emigrare per reinventarsi una vita.
Ma c'è anche una visione opposta, la quale dice che queste persone, per lo più giovani,
rinunciano così facendo alla lotta per un paese migliore, e optano
per l'autoesilio. Quale delle due interpretazioni ci sentiremmo di
appoggiare? Semplice: se abbiamo a cuore la sorte di quei giovani, la
prima; se abbiamo a cuore la sorte del nostro paese, la seconda.
Non una bella situazione, come si sarà capito.
L'Italia è una nave da decenni risucchiata e dilaniata nello Scilla e Cariddi della corruzione, dello spreco e dell'umiliazione del merito. Una nave che sta lentamente affondando e che ha dimostrato più volte l'incapacità di uscirne con i propri mezzi. Ma se per la Concordia si è potuto ricorrere all'aiuto estero, per il resto non ci è dato di sperare in un quanto mai opportuno commissariamento per mano dell'Europa.
Il
capitano ha abbandonata la nave Italia da lungo tempo. Una domanda s'impone, da rivolgere ai giovani lavoratori e a tutti gli imprenditori che pensassero di collocarsi in terra straniera: in un
mondo dove la competitività ha raggiunto una dimensione globale,
l'abbandono del capitano è un motivo sufficiente per disertare e
arruolarsi tra le fila nemiche?
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