IL VERO DRAMMA DEI "FIGLI DI PAPA'"
(Difficoltà: 3.6/5)
Se c'è una cosa che mi incazzare, sono i "figli di papà", quei fighetti privilegiati che amano esibire sicumera e arroganza da sberle. Ma sono essi veramente degli esseri baciati da Dio? E' tutto oro quello che luccica? Per cominciare, una nota di costume. Al mondo non esistono persone
sicure e persone insicure. Esistono solo persone con il culo coperto
e quelle che non hanno santi in paradiso. Ma, come dicono gli
anglofoni, “non eistono pranzi veramente 'gratis'”. Ogni
vantaggio sociale che uno eredita ha una nemesi.
L'Impossibilità di Distanziarsi dal Modello Paterno
La ribellione è sempre sintomo e causa di intelligenza. Suo effetto, ma anche sua causa. Se ci si immagina due giovani, uno dei quali ha un padre
pio e devoto, ma non particolarmente graziato da Dio in termini di
successo sociale ed economico, e l'altro può contare su un padre in
un ruolo dirigenziale importante, quale dei due sarà più prono a
ribellarsi all'autorità paterna? Il primo, naturalmente. E non tanto
per la componente religiosa, che ho aggiunto solo per rendere
l'esempio più emblematico. Il figlio del secondo esempio, dal canto
suo, è sottoposto, anche se non esplicitamente, a un ricatto morale
e materiale.
Il primo figlio può ribellarsi all'autorità paterna, mantenendo un
distacco critico e elaborando un suo sistema alternativo di pensiero
e di valori, senza accettare precettazioni, ma anzi scegliendosi
autonomamente esempi e modelli di vita. In altre parole, può far lavorare il cervello fuori da schemi precostituiti che ne bloccherebbero l'attività. Proprio perché il padre è
una persona comune e normale, non si porranno problemi per il rifiuto del
modello di vita che egli propone, e il naturale ribellismo puberale
nei confronti dell'autorità paterna potrà qui innestarsi su una
avventurosa prospettiva di miglioramento delle proprie condizioni di
vita. La sua autorità, quando c'è, alimenta la ribellione, invece
che addomesticarla nel suo recinto.
Se si volge il proprio sguardo al padre di successo, invece, il
figlio diventa fin dalla nascita pedina di un sistema al quale non
può sottrarsi, se non forse al prezzo del diseredamento o peggio.
Nato e cresciuto in un ambiente ovattato con dei modelli di
riferimento già imposti per legge familiare e per l'etichetta di una società ristretta, il figlio di papà si
sottomette all'autorità paterna, accettando di farsi guidare
pedissequamente all'interno di un modello di vita e di carriera già
predisposto. Esempi illustri sono il figlio di Paul Getti, rinnegato
dal padre fino alla morte ed oltre, e il figlio “spiritualista”
della famiglia Agnelli, Edoardo, morto suicida. Il figlio di un uomo
di successo e integrato nell'alta società trova tutto un prontuario
sacrale di riferimenti, di ideali, di pensieri, valutazioni e codici,
masticato e digerito per lui, che compongono il libro delle regole di
un ambiente sociale plasmato e reso coeso dall'imperativo del guadagno e del successo.
E' chiaro quindi che il nascere in un ambiente dove si è
predestinati all'inserimento in un ingranaggio predeterminato, in cui
le deroghe sono bandite dall'alta posta in gioco (come può essere il
futuro di un'azienda) impedisce lo sforzo intellettuale richiesto
dalla ricerca di una dimensione identitaria propria e differenziante,
che è parte integrante di un corretto sviluppo psichico e che
costituisce l'ingresso nella fase adulta. Quello che manca è la
possibilità di essere artefici del proprio destino a partire da un
discorso intimamente proprio. E' per questo motivo che tanti “figli
di papà” vivono anche nell'atteggiamento di ogni giorno una
condizione di minorità intellettuale (nel senso di "fuori dal mondo", per dirla alla Kant) e di senso di inferiorità che
come abbiamo visto è fondata su trascorsi ben precisi.
I (Patetici) Tentativi di Essere Qualcosa di Più di un "Figlio di"
Ogni sforzo di uscire da questa mediocrità sopraelevata, di
acquisizione di una propria autonomia identitaria, intellettuale e
anche creativa, naufraga regolarmente, perché il treno è ormai già
perso. I metodi per recuperare una situazione già compromessa non
possono quindi che essere raffazzonati, velleitari e patetici, e si
riducono all'esprimere la propria costitutiva mediocrità in ambiti
alternativi dove padre e famiglia non possono avere becco:
abbastanza tipicamente, l'arte contemporanea e il mondo delle gallerie d'arte.
L'arte contemporanea - non solo figurativa -, infatti, è una zona franca con criteri di
valore nebulosi, dove il talento conta molto meno di quanto non conti
la grancassa di risonanza, il nùgolo delle conoscenze e il potere
economico di cui si può disporre.
Alla luce di quanto qui chiarito, non è così innaturale che i figli
di papà presentino sovente la sindrome dell'arroganza del perdente
cronico. All'opposto dell'umiltà sicura del talento naturale, la
sicumera pettoruta e arrogante del figlio di papà è solo il
tentativo esagitato e prepotente di imporre al pubblico un
atteggiamento da manuale, il manierismo comportamentale della
personalità artistica, che fa innanzitutto di se stesso un'opera
d'arte, nel decrepito ideale del dandismo ottocentesco, in assenza
della cosa (una tangibile produzione artistica, per quanto mediocre)
o a prescindere dalla cosa. Il più delle volte, però, il figlio di
papà, molto di rado dotato di cultura umanistica, perverte quel
modello nel perseguimento del vizio e nella volgare ostentazione
della ricchezza, scambiando la brillantezza dei suoi gioielli con la
propria.
Il figlio di papà è un perdente nato, a prescindere da quanto bene
o male riesca ad amministrare l'attività che il padre gli ha messo
in mano o per cui è stato cooptato. Gli esempi di vittoria dei figli di papà rappresentano in realtà solo un
passaggio della staffetta. L'arroganza del figlio di papà vincente
rievoca la parabola di quel centometrista che, partito con cento
metri di vantaggio, si vanta poi della vittoria di fronte ad amici e
giornalisti.
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