(Difficoltà: 4,6/5)
Giano Bifronte |
A) Nell'ambito dell'intellighenzia di ogni dove, ci sono “i profeti del giorno dopo”, quelli che scambiano presente con passato, la
constatazione del fatto con la previsione dello stesso, in una sorta di riformulazione (per forza arbitraria) della consecutio temporum. Viene da chiedersi se uno dei
motivi - oltre al fatto che non hanno nulla da dire o che non sanno
scrivere - per cui ciò che scrivono risulta spesso tanto oscuro e
incomprensibile non sia che post factum tutto quanto detto può
essere ripescato e reinterpretato (da loro ma più frequentemente da altri) alla luce dei nuovi accadimenti
per estorcergli previsioni che in realtà non hanno mai avuto
luogo, in una specie di "sindrome da esegeta di Nostradamus".
B) Più in generale, la società dell'industria culturale, che ha ormai da tempo esteso i suoi tentacoli nel mondo accademico, ha imposto un particolare tipo di divisione del lavoro in seno allo stesso mondo della produzione artistica e intellettuale. Non possono essere l'artista o l'intellettuale a comunicare il senso della loro opera: occorre creare un distacco, uno iato che li proietti nella sfera del sacro, che coadiuvi l'effetto speciale dell'incomunicabile. L'esegesi è così un lavoro di fine manovalanza demandato a una terzietà intellettuale. Solo questa separazione permette al mistero che circonda l'opera di un Mondrian o di un Heidegger di rimanere fresco e intatto. Ciò che si cerca non è il chiarimento finale del senso, ma il mantenimento dello stupor nel fruitore/lettore, che non dovrà mai essere completamente sicuro di cosa si vuole veramente mostrare o dire. Egli si ridurrà a essere consumatore e spettatore di interpretazioni, come lo è per qualsiasi altra cosa. Il senso più originario e genuino gli sarà precluso. Il critico, figura sociale tra le più istituzionalizzate, è il vero custode di questo processo, il cui successo richiede però come è ovvio la complicità del produttore di opere.
Una divisione del lavoro che s'articoli in momenti successivi è anche "catena di montaggio":
il ciclo della produzione culturale cade quindi in un gioco delle parti
che si materializza in un Giano Bifronte: per un lato teatro, per
l'altro industria.
Ma una precisazione si rende necessaria: il produttore di opere (l'artista, l'intellettuale) non è necessariamente in malafede. E' per esempio normale per un artista opinare che la sua opera abbia un significato superiore o ulteriore rispetto a quello che egli ha pensato per essa. Il silenzio sul senso è allora per lui una necessità, non un trucco.
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