domenica 28 dicembre 2014

"DEMOCRAZIA INCOMPIUTA": L'ITALIA E LA DEFASCISTIZZAZIONE MANCATA

(Difficoltà: 1,6/5)


Mussolini è morto, ma il suo virus vive
Le indagini di “Mafia Capitale”, di “Aquila Nera” e di tutte quelle a venire ci suggeriscono quanto già dovremmo sapere: a differenza della “destalinizzazione” inaugurata in Russia dal discorso di Kruscev al XX Congresso del Pcus e della denazificazione in Germania, in questo Paese la “defascistizzazione” non ha mai avuto luogo: l'Italia non ha mai potuto e voluto liberarsi dalle scorie di vent'anni di regime fascista. Cosa s'intende per “defascistizzazione”? Un'operazione culturale di lunga portata, certo, ma originariamente e più “tecnicamente” la l'epurazione di una classe dirigente compromessa con il regime fascista di Roma o di Salò.


Pillole di Storia, Per Sapere o Non Dimenticare

Ferruccio Parri guidò il governo provvisorio del CLN dopo la fine della guerra. Tra le iniziative più lodevoli e doverose, ci fu quella di presentare una lista di 350 personalità, alti funzionari statali, che si erano gravemente compromesse con il fascismo. Alessandro Galante Garrone (articolo qui) ci scrive come andò: “Come disse allora Calamandrei, al periodo della Resistenza era subentrato quello della "desistenza" (...). Era cominciata la stagione della benigna amnistia Togliatti, spinta a limiti vergognosi e incredibili (…) L' epurazione (...) fu una burletta. Si sarebbe dovuto procedere dall'alto. Invece ci si accani' contro gli applicati d'ordine e gli uscieri, o magari il capofabbricato che aveva indossato la divisa per vanita'. Non si vollero o non si poterono colpire gli uomini veramente colpevoli e le vecchie strutture dello Stato. Anche oggi ne stiamo pagando il fio.” (grassetto nostro) L'ultima frase è senza tempo: la cambiale sciaguratamente sottoscritta dal ministro della giustizia del primo governo De Gasperi, il segretario del PCI Togliatti, non è ancora scaduta e ha maturato interessi. E il discorso va oltre il caso specifico: fu, quello, forse il primo testamento di quell'impunità che la classe dirigente avrebbe avocato a sé anche nei decenni successivi, fino ai nostri giorni.

Il I maggio 1947 a Portella dellaGinestra la banda di Salvatore Giuliano spara su una folla di lavoratori riunti in una protesta contro i latifondisti e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni regionali siciliane. Viene usato anche un lanciagranate appartenente alla X flottiglia Mas di Junio Valerio Borghese. E' la prima “strage di Stato” e – anche nell'opinione di Marco Travaglio - evento inaugurale della “strategia della tensione”, che conoscerà una lunga pausa fino alla fine degli anni '60 (strage di Piazza Fontana), guarda caso proprio in coincidenza di un rianimarsi del movimentismo di sinistra rappresentato dai moti del '68. Il coinvolgimento di apparati dello Stato e di frange di eversione fascista descrive la contiguità tematica tra le due stragi, la cui distanza temporale è facilmente giustificabile a partire dalla sicura presa della politica democristiana su una società confortata dal benessere economico del boom negli anni che le separano.

Della “strategia della tensione”, la questione più tragica, pregnante e complessa, già si dovrebbe sapere, anche sulla scorta di precedenti articoli di questo blog.

Un episodio meno noto è invece quello del governo di Fernando Tambroni, ex Partito Nazionale Fascista passato alla DC sul finire della guerra, e Presidente del Consiglio tra il marzo e il luglio del 1960 con l'appoggio determinante del Movimento Sociale. Fu, il suo, un autentico tentativo di regime autoritario, con censure all'arte e alla cultura, provocazioni fasciste, ferimenti e uccisioni di militanti di sinistra da parte della polizia. Il governo Tambroni, pur effimero, può essere considerato la prova che, a meno di 15 anni dalla proclamazione della Repubblica, il fascismo era già in grado di rioccupare il potere. 


Conclusione

Già Giolitti nei primissimi anni '20 aveva pensato di poter “usare” il fascismo in funzione anticomunista per poi “addomesticarlo” e farlo rientrare nell'alveo della democrazia parlamentare, con i risultati che sappiamo. Non estirpando il fascismo dal suo seno nemmeno dopo la guerra, ma anzi pensando di utilizzarlo contro la protesta antilatifondista e comunista siciliana prima, e contro il più ampio movimentismo di sinistra 20 anni dopo, la Repubblica s'è infettata di uno dei mali peggiori: quello di un passato tragico che non passa mai. Una cauterizzazione del bubbone fascista è sempre possibile, ma richiede la premessa di una sanitizzazione culturale e politica profonda e capillare nella società e nella classe dirigente. Una cosa, questa, che mette l'Italia ogni giorno di più di fronte alla propria disperata inettitudine.

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