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Dante e Virgilio incontrano Lucifero |
L'insegnamento teologico
cattolico teorizza la superbia come il peccato maggiore dell'umanità:
dopotutto, Lucifero-Satana, origine e simbolo di ogni male, fu l'“angelo
ribelle” contro l'autorità di Dio e l'ordine universale da questi
costituito. La posizione di Dante, come vedremo subito, è diversa.
Come è noto, nel I Canto dell'Inferno
Dante pesca dal bestiario medievale tre allegorie di altrettanti
peccati: la lonza, che per molti dantisti sembra rappresentare la
lussuria; il leone, simbolo della violenza; la lupa, simbolo
dell'“avarizia” (da intendere più genericamente come “cupidigia”).
Dante non si interessa della denuncia
astratta dei peccati, ma li cala sempre, concretamente, nella realtà
storica del suo tempo: nella fattispecie una realtà di disgregazione sociale e
politica per effetto delle lotte tra fazioni all'interno dei comuni, a cavallo tra '200 e '300.
Ciò che è più importante osservare, tuttavia, è che fra i tre
peccati capitali che Dante ritiene i maggiori, la corona del più grave spetta
alla cupidigia. Infatti, della lonza egli si limita a dire che gli
impedisce il salire al colle, cioè alla salvezza (v. 35: “[...]
'mpedia tanto il mio cammino”); del leone, l'elemento preponderante
è la paura che gli causa (vv. 44-45: “Ma non sì che paura non mi
desse/la vista...”); la lupa, al contrario, non solo gli fa perdere
la speranza della salita (v. 54: “[…] perdei la speranza de
l'altezza”), ma lo fa precipitare nella selva (il peccato) da cui
era appena uscito (v. 60: “mi ripigneva là dove 'l sol tace.”)
Perchè l'Alighieri apporta un così
significativo cambiamento alla gerarchizzazione canonica dei peccati?
La risposta è già in parte stata data: ciò che differenzia la
Commedia dalle tante esperienze letterarie inscritte nel genere del
“viaggio allegorico” a partire dal '200 è la concretezza calata
nel tempo: Dante viaggia nell'aldilà con il proprio corpo, e il suo
resoconto esperenziale è attuale e non frutto di una “visione”,
di un'avventura extra-corporea (cfr. C. Segre, L'“itinerarium
animae' nel Duecento e Dante, in “Letture classensi”, Ravenna
1984). Proprio perchè è di un'esperienza “vigile” e non di un
“rapimento mistico” che si parla, ne consegue che il possesso
della coscienza che conforta tutta l'esperienza del viaggio dantesco,
il continuo essere “presente a sé stesso”, gli permette continui
e sistematici raffronti fra la realtà storico-sociale vissuta
(soprattutto fiorentina, ovviamente) e ciò che egli vede e ascolta
nell'aldilà. La scelta dell'atto di cupidigia come il più alto dei
peccati che si possa commettere è quindi ricavato dalla
constatazione della sua debordante presenza in una società comunale
dominata dalle nuove classi degli arricchiti, di una borghesia
intraprendente ma anche priva di scrupoli. Il Dante
intellettuale-teologo è figlio dell'osservazione del suo tempo, e la
Commedia è il testamento critico di una società in
profondo cambiamento.
Cupidigia o Superbia: Qual è, quindi, il Peccato Più Grave?
Proprio sulla scorta della lezione
civile di Dante, della dichiarazione di una supremazia dei fatti
constatati sulla regola teologica, si può oggi spezzare una lancia a
favore della teologia tradizionale: in Italia la superbia, e non la
cupidigia, torna oggi a essere il peccato da cui guardarsi. Questo
perchè oggi forse più di allora la superbia, con il correlato
comportamentale necessario dell'arroganza in ogni sua forma, è il
dato originario. La cupidigia, la sete di ricchezza, vedrebbe il suo
potenziale di molto limitato senza la coscienza dell'impunità, senza
la pretesa di essere superiori alle leggi e quindi agli altri. E
quale miglior definizione della superbia se non una che ponga al
centro il disprezzo per le regole in nome di una superiorità
proclamata ad imperium da un singolo o da una specifica categoria
sociale? Il concetto di “casta” e di “potere” non evocano
forse la superbia più di quanto non evochino la cupidigia? E' pur
vero che la politica italiana si è ultimamente popolata di ladri di
galline, ma la differenza fra Andreotti e un Belsito o Bossi qualsiasi rimane
chiara: qui c'è la volgarità cialtronesca e arraffona del villano
accolto alla mensa del padrone, là c'è l'ambizione senza limiti del
potere per il potere, che è vecchia quanto il mondo.
Si potrebbe discutere del fatto che la
superbia debba ritenersi al primo posto fra i peccati
indipendentemente dalle circostanze storiche, e quindi
ontologicamente, nel qual caso il punto di vista di Dante sarebbe
semplicemente da scartare come frutto di un errore di giudizio. Sta
di fatto che, soprattutto in un'oligarchia all'insegna dell'impunità
qual è l'italia degli ultimi 20-30 anni (per tacere di fasi
precedenti), la superbia è il peccato mortale per eccellenza, la
genesi di ogni male. Per una volta, la Chiesa ci ha visto meglio.
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