domenica 8 febbraio 2015

IL VERO VOLTO (INFELICE) DEL CONSUMISMO

 (Difficoltà: 4,2/5)

Comunismo: untuosa propaganda e cruda realtà
Come per le peggiori droghe, il consumismo è una malattia che abbruttisce. Come malattia sociale conclamata da almeno mezzo secolo, esso è la stigmate purulenta della Società dello Spettacolo, l'essenza dell'assenza che ammorba e corrompe il vivere comune, la nostra quotidianità.
E' sufficiente osservare la realtà del consumismo, aldilà delle rappresentazioni festose e giulive che lo Spettacolo stesso ne offre, per afferrare la sua sostanza. Già linfa vitale dello Spettacolo, esso è divenuto però, innestandosi nell'ultima forma dell'evoluzione dello spettacolare, che è quella “integrata”, "consumo di immagini": "Compriamo cose di cui non abbiamo bisogno con soldi che non abbiamo per impressionare persone che non ci piacciono". 
Lo Spettacolare Integrato riunisce in sé, come sostanza che precorre e percorre il potere globale e globalizzato, il messaggio autoritario dei fascismi novecenteschi e quello, più sottile e subdolo, di una libertà equivoca che annulla se stessa identificandosi in un modello imposto da altezze sovrastanti ogni potere chiaramente identificabile, sia esso militare, politico o emanazione di qualsivoglia leadership sociale. Sottomissione e fuga sono le spie di questa condizione: l'abdicare a ogni senso critico e la dipartita da se stessi e da una consapevolezza che ci schiaccerebbe sotto il peso delle nostre responsabilità.
Il consumismo è un virus che moltiplica ad ogni rivoluzione tecnologica le metodologie della sua inoculazione e diffusione. Ieri era lo spot che ci raggiungeva dagli schermi televisivi o dai tabelloni delle fermate metropolitane; oggi è l'onnipresenza e onniscienza pseudo-divina della "geolocalizzazione" nei nostri smartphone e dei "cookies" nei nostri browser. Ieri s'intrufolava nelle nostre vite in momenti precisi e puntuali ("spot"); oggi rappresenta la grammatica della nostra esistenza immiserita nella sua totalità. 


La Critica della Società dei Consumi: Più Attuale Che Mai

La critica del consumismo appare oggi al massimo un retaggio d'altri tempi, quelli in cui gli intellettuali tenevano la scena; un problema invacchito che odora di ozio intellettuale. Ma ciò, lungi da rappresentare l'obsolecenza del tema, lo consacra come un nodo centrale e più che mai attuale. Il trionfo finale dello Spettacolo, cioè della merce che si è fatta immagine, è infatti da vedersi in primo luogo nell'accantonamento della critica che a esso si rivolge. Non con metodi repressivi, perchè il potere autoritario che seda la protesta con i carrarmati è - questo sì – antiquariato, bensì con la scaltra e oculata induzione di un senso di stanchezza e fastidio per l'intellettuale critico che sfida la convenzione dell'obbedienza senza se e senza ma: “Ancora queste menate; è ora di finirla!” è la voce che si solleva dal popolo in questi casi. A che serve la repressione poliziesca del dissenso se il "lavoro sporco" può essere demandato a ogni cittadino?


Conclusione: il Consumismo "Peccato Laico"

Il consumismo è inganno. Ma è inganno che sequestra il pensiero e l'immaginario senza più lasciarli, che plasma e condiziona l'esistenza umana dalla vita alla morte; esso è quindi anche e soprattutto “tragedia”: è il “peccato laico” di chi perde se stesso e il senso del suo vivere. In luogo di rispondere a se stesso, alle aspirazioni degne di un'umanità che si abbevera alle fonti dell'autentica tradizione culturale, l'“homo consumens” risponde e corrisponde a un'istintualità decretata dall'esterno. Un'eterodirezione che il consumatore medio pre-sente, ma che non può afferrare razionalmente. Il consumismo dovrebbe costituire la premessa ultima della felicità – questo è il nucleo della sua propaganda, da che esso esiste - e invece è la condanna passata in giudicato di un'esistenza che ha smesso di cercare se stessa. Che il consumismo sia perdita del senso di ciò che si è e di ciò che si fa, lo si evince in primo luogo dai volti dell'“homo consumens” quando espleta ciò per cui più è portato. C'è il più delle volte, nell'espressione facciale di chi si appresta ad acquistare una merce, il barluminare di domande destinate a rimanere inespresse: “Che cosa sto facendo?” “Perchè lo sto facendo?” Manca tuttavia il più delle volte la domanda essenziale, quella che si aprirebbe alla prospettiva di una redenzione possibile: “Sono veramente io questo?” Il consumatore è innanzitutto una persona profondamente infelice, perchè, come accade per i drogati, l'unica cosa che può dargli sollievo è in pari tempo lo strumento della sua prigionia.


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