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Comunismo: untuosa propaganda e cruda realtà |
Come per le peggiori droghe, il consumismo
è una malattia che abbruttisce. Come malattia sociale conclamata da almeno mezzo secolo, esso è la stigmate purulenta della Società dello Spettacolo, l'essenza dell'assenza che ammorba e corrompe il vivere comune, la nostra quotidianità.
E' sufficiente osservare la realtà del
consumismo, aldilà delle rappresentazioni festose e giulive che lo
Spettacolo stesso ne offre, per afferrare la sua sostanza. Già linfa
vitale dello Spettacolo, esso è divenuto però, innestandosi
nell'ultima forma dell'evoluzione dello spettacolare, che è quella
“integrata”, "consumo di immagini": "Compriamo cose di cui non abbiamo bisogno con soldi che non abbiamo per impressionare persone che non ci piacciono".
Lo Spettacolare Integrato
riunisce in sé, come sostanza che precorre e percorre il potere globale e
globalizzato, il messaggio autoritario dei fascismi novecenteschi e
quello, più sottile e subdolo, di una libertà equivoca che
annulla se stessa identificandosi in un modello imposto da altezze
sovrastanti ogni potere chiaramente identificabile,
sia esso militare, politico o emanazione di qualsivoglia leadership sociale.
Sottomissione e fuga sono le spie di questa condizione: l'abdicare a
ogni senso critico e la dipartita da se stessi e da una
consapevolezza che ci schiaccerebbe sotto il peso delle nostre
responsabilità.
Il consumismo è un virus che
moltiplica ad ogni rivoluzione tecnologica le metodologie della sua
inoculazione e diffusione. Ieri era lo spot che ci raggiungeva dagli schermi
televisivi o dai tabelloni delle fermate metropolitane; oggi è
l'onnipresenza e onniscienza pseudo-divina della "geolocalizzazione"
nei nostri smartphone e dei "cookies" nei nostri browser. Ieri
s'intrufolava nelle nostre vite in momenti precisi e puntuali ("spot");
oggi rappresenta la grammatica della nostra esistenza immiserita nella sua totalità.
La Critica della Società dei Consumi: Più Attuale Che Mai
La critica del consumismo appare oggi
al massimo un retaggio d'altri tempi, quelli in cui gli intellettuali
tenevano la scena; un problema invacchito che
odora di ozio intellettuale. Ma ciò, lungi da rappresentare l'obsolecenza
del tema, lo consacra come un nodo centrale e più che mai attuale.
Il trionfo finale dello Spettacolo, cioè della merce che si è fatta
immagine, è infatti da vedersi in primo luogo nell'accantonamento della
critica che a esso si rivolge. Non con metodi repressivi, perchè il
potere autoritario che seda la protesta con i carrarmati è - questo
sì – antiquariato, bensì con la scaltra e oculata induzione di un
senso di stanchezza e fastidio per l'intellettuale critico che sfida
la convenzione dell'obbedienza senza se e senza ma: “Ancora queste
menate; è ora di finirla!” è la voce che si solleva dal popolo in
questi casi. A che serve la repressione poliziesca del dissenso se il "lavoro sporco" può essere demandato a ogni cittadino?
Conclusione: il Consumismo "Peccato Laico"
Conclusione: il Consumismo "Peccato Laico"
Il consumismo è inganno. Ma è inganno
che sequestra il pensiero e l'immaginario senza più lasciarli, che plasma e condiziona l'esistenza umana dalla vita alla morte; esso è quindi anche e soprattutto “tragedia”: è il “peccato
laico” di chi perde se stesso e il senso del suo vivere. In luogo di
rispondere a se stesso, alle aspirazioni degne di un'umanità che si
abbevera alle fonti dell'autentica tradizione culturale, l'“homo
consumens” risponde e corrisponde a un'istintualità decretata
dall'esterno. Un'eterodirezione che il consumatore medio pre-sente, ma che non può afferrare razionalmente. Il consumismo dovrebbe costituire la premessa ultima
della felicità – questo è il nucleo della sua propaganda, da che
esso esiste - e invece è la condanna passata in giudicato di
un'esistenza che ha smesso di cercare se stessa. Che il consumismo
sia perdita del senso di ciò che si è e di ciò che si fa, lo si
evince in primo luogo dai volti dell'“homo consumens” quando
espleta ciò per cui più è portato. C'è il più delle volte, nell'espressione facciale di chi
si appresta ad acquistare una merce, il barluminare di domande
destinate a rimanere inespresse: “Che cosa sto facendo?” “Perchè lo sto facendo?”
Manca tuttavia il più delle volte la domanda essenziale, quella che
si aprirebbe alla prospettiva di una redenzione possibile: “Sono
veramente io questo?” Il consumatore è innanzitutto una persona profondamente infelice, perchè, come accade per i drogati, l'unica cosa che può dargli sollievo è in pari tempo lo strumento della sua prigionia.
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