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La Società dello Spettacolo |
Di eccessiva liberalità si muore, o
almeno ne muore la verità. Il libertarismo del pensiero è l'assenza di
spirito critico che si maschera da critica estrema. La critica non si
misura al chilo, non è un mercato delle vacche: essa è selezione,
arte del discrimen e non l'opposizione per il gusto di opporsi.
Se è auspicabile che si ampli la platea delle persone dotate di
senso critico, non c'è cosa più sbagliata del pensare che più
critica c'è meglio è. Come il massimalismo in politica, l'oltranzismo
della critica sconfina nel nichilismo. Il nichilismo è la traduzione
in chiave esistenziale dello scetticismo radicale: questo sta alla conoscenza
come il nichilismo sta all'esistenza. Il nichilista non vive bene, e
danneggia con il suo atteggiamento la verità più di quanto lo possa
fare una qualsiasi attestazione ideologica. Anzi, il nichilismo è
l'ideologia più potente, perchè si crogiola nel gusto della
distruzione, nel decostruttivismo radicale che permette al potere di creare la realtà a suo piacimento e di plasmare le categorie intellettuali preposte al suo intendimento. Il sogno di ogni ideologia è la “liquidità”
estrema, anzi la volatilità: la capacità di dissolversi e di
riconfigurarsi all'occorrenza, per conservare o accrescere la propria
presa sulla società quando la situazione lo richieda.
Società dello Spettacolo e Nichilismo
Nella “Società
dello Spettacolo”, un simile nichilismo, questa anarchia controllata, rappresenta l'ordine del giorno, il codice da privilegiare. Lo si ritrova dappertutto: nel surfismo dei conduttori
dei talk show, sempre pronti a cavalcare la nuova onda; nel
trasformismo della politica; nei sempre nuovi e contraddittori
pronunciamenti della ricerca scientifica; nelle riconversioni di
un'elettorato sempre più “clientelare” e sempre meno
“d'opinione”; nei riposizionamenti di una Chiesa che predica
coerenza valoriale in un marasma generalizzato che colpisce
soprattutto la sua stessa istituzione, e di cui essa è in parte responsabile; nell'incapacità cronica di fissare una volta per
tutte i ruoli sociali, ragion per cui tutti fanno tutto, tutti
parlano di tutto, e nulla di quello che si fa e si dice assume quindi consistenza e rilevanza; nell'attacco pregiudiziale ai
“luoghi comuni” sferrato dai politici e dagli intellettuali
dentro e fuori la politica, che percola poi nel modo di pensare
comune; e si potrebbe continuare quasi all'infinito.
Quest'ultimo aspetto, in particolare,
premerebbe trattare. L'assordante cicalio attorno al “luogo comune”
(“Basta con i luoghi comuni!”; “E' solo un luogo comune”;
“Ancora con i luoghi comuni!”) è ormai il pretesto per un
nichilismo delle idee che non ammette alcun punto fermo, alcun
ancoraggio su verità consolidate che aiutino l'orientamento in una
realtà sociale sempre più complessa e confusa. Quello
dell'abbattimento dei “luoghi comuni” è lo stigma di una ferita
profonda del pensiero, il precipitato di una crisi della società che
si declina nella confusione delle prerogative e in una crisi
valoriale e istituzionale che confonde il vero e il falso, il buono
con il cattivo, il lecito con l'illecito, l'autorità con il sopruso,
la cosa importante con quella ineziale, l'umanità con la disumanità.
L'informazione asservita alla politica e al notabilato economico-finanziario è
probabilmente la responsabile principale di questo pervertimento;
sicuramente, ne è la responsabile più diretta.
La "Crisi dei Valori" è la Crisi della Realtà e della Ragione
La frase: “Non ci sono più
valori”, non implica necessariamente il moralismo. Come si sarà capito, il
discorso si estende oltre la morale: si piange la fase terminale del
pensiero e del giudizio, in tutte le sue forme. Non è semplicemente
una crisi morale, quella che la civiltà (non solo – o non più –
solo “occidentale”) sta vivendo: è una crisi intellettuale e
umana. Ed è una crisi della capacità di interpretare e intendere la realtà; quindi è una crisi di realtà.
Così come sarebbe assurdo pensare al
liberalismo in politica che si rivolge contro la politica per
distruggerla, così il liberalismo del pensiero deve essere
interpretato come la valorizzazione del pensiero, non come l'ostinato
e tentativo della sua distruzione. Il narcisismo intellettuale che
bolla ogni ragionevole verità come “luogo comune”,
“pregiudizio”, “stereotipo” va combattuto. Esso è solo lotta di classe all'incontrario, fiancheggiata da intellettuali veri o presunti, asserviti a dei mandanti o semplicemente a un'idea esaltata di sè. La libertà di pensiero non può essere la libertà
di distruggere il pensiero e la ragione stessi. Difendiamo il nostro pensiero, le nostre certezze, la nostra realtà, la nostra libertà.
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