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La ricerca della verità è sempre in fin dei conti un
percorso personale. La verità indotta dall'esterno è solo
indottrinamento, sia esso politico, religioso o di altra natura: è
tutta un'altra cosa, e non importa quanto ce se ne senta convinti.
“Personale” non significa che l'uomo ritrova la verità in sé in
quanto monade separata dal tutto o anacoreta: si può
partecipare della verità e coltivarla anche in organizzazioni
politiche, associazioni, comunità.
La discriminante essenziale, che
è poi ciò che separa la semplice “appartenenza” dal
“settarismo”, è l'esercizio della critica. L'appartenenza a un
organismo con più anime implica scontro tra individualità e tra
visioni attorno alla cosa e all'obiettivo comuni, e la disponibilità o
meno ad aderirvi è in ogni momento subordinato alla sostenibilità
del compromesso, alla mediazione fra interno ed esterno. La critica deve prevedere quindi eventualmente l'atto politico dell'autoesclusione e delle dimissioni. La domanda deve sempre essere: “La divergenza di visione o opinione è tale da rendere impossibile
l'appartenenza?” Nell'attuale scenario
politico-partitico italiano, dominato dal cripto-berlusconismo
renziano (io ho già definito questa “la fase renziana dell'era del
berlusconismo”) questa domanda non ha cittadinanza. Ciò si rende particolarmente evidente nell'atteggiamento imbelle e vigliacco dell'"opposizione" interna del Pd, come documenta qui Travaglio.
La ricerca della verità, che
in politica non è separabile dalle “cose da fare”, cioè
dall'atto pratico di traduzione socio-economica (perchè ciò è in
soldoni, almeno in tempo di pace, il senso della politica) degli ideali perseguiti, è in
Italia – almeno da 20-30 anni ma oggi in forma apicale – lettera
morta.
La politica in Italia non cerca la
verità perchè mira solo alla conquista e alla conservazione del
potere. La disonestà in senso morale (e penale) è una conseguenza
della disonestà intellettuale: da 20-30 anni ci si butta in politica per tutti i
motivi sbagliati. Il principio machiavelliano del “fine che
giustifica i mezzi” non implica necessariamente una cattiva
politica; il problema è in Italia la scomparsa del fine, cioè della
politica, e il tradimento del senso dell'impegno politico.
Dostoevskij diceva che “semza Dio, tutto è possibile”: se il
mezzo giustifica il fine, e cioè se il mezzo diventa esso stesso fine, le porte dell'inferno possono
infine spalancarsi.