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"Evoluzione" |
Lavoriamo per comprare l'auto e usiamo l'auto per andare a
lavorare. E' il circolo della sopravvivenza dei nostri giorni, che è "sopravvivenza aumentata" (Debord, 1967). Ma nel caos dei consumi fatui, lo spettro della sopravvivenza primaria affiora per
necessità, e nella povertà spirituale dello stile di vita
consumistico fa allora breccia la povertà materiale il cui spettro, nella
“società opulenta” (Galbraith), credevamo di aver scongiurato
per sempre.
Ci riscopriamo allora poveri, succubi della sopravvivenza
primaria, della povertà materiale, quella che ci fa contare gli spiccioli all'arrivo della terza settimana del mese. Quindi il circolo della
sopravvivenza aumentata produce in realtà una
spirale che ci trascina nei bassifondi della penuria alimentare e
abitativa, nella disperazione della povertà materiale. E' questa
situazione esterna che ci dovrebbe spingere a un ripensamento delle
nostre scelte esistenziali, a farco porre la domanda su dove stiamo andando
e su chi ce lo fa fare. Non è più ormai tanto una questione filosofica,
quanto una questione aritmentica. L'atto di contrarre debiti (seppure a TAEG vantaggioso) per
acquistare l'ultimo modello di Iphone, quando già dobbiamo centellinare i denari per la rata del mutuo o per il fabbisogno alimentare della nostra famiglia,
descrive bene la situazione: l'uomo contemporaneo è talmente succube
di modelli esterni e di impulsi eterodiretti che ha rimosso la
propria materialità - la consapevolezza che, in fondo, "siamo ciò che mangiamo" -; finchè questa non reclama in modo violento i
propri diritti, che sono i diritti della natura dalla quale proveniamo.
Il Pericolo dell'Internalizzazione del Modello Capitalistico
La società capitalistica è, nella sua
fase attuale, una realtà ormai inestirpabile. E' ineluttibile come
sistema esterno: il dna del profitto è penetrato in ogni ganglio
funzionale delle società moderne. Ogni frontiera è stata abbattuta.
L'unico spazio di libertà è - per chi ci voglia ancora credere - quello della coscienza, che non è più categoria sociale (la "coscienza di classe"), ma - stante il raggiunto carattere universale del capitalismo - categoria antropologica: coscienza della propria umanità (che si riflette in quella altrui). A rigor di
dottrina, l'idea di una rivoluzione puramente "esterna" non è mai esistita, tantomento nell'intenzionalità teorica del massimo teorico della rivoluzione sociale: Karl Marx. Per questo nel Capitale la categoria di
“coscienza di classe” assume un ruolo centrale.
Il vero pericolo
è quindi quello dell'internalizzazione del modello capitalistico,
che afferisce naturalmente al fenomeno del consumismo: è quando il
capitalismo diventa - attraverso il consumismo - habitus mentale antropologizzato e
stile di vita diffuso che la sua vittoria può dirsi completa, che ogni spazio di libertà va a farsi fottere.
Buddismo Come Anticapitalismo
Il buddismo è probabilmente l'unica disciplina spirituale che -
in quanto "filosofia di vita" – può farci riflettere su
noi stessi e farci ricuperare il senso del nostro vivere. Esso può rappresentare la rivoluzione che parte da noi stessi, l'unica oggi possibile. Lavorare
per comprarci un auto migliore che ci serva poi per andare a lavorare
non è vita: è surplus autoinflitto di sopravvivenza, circolarità
autodistruttiva. E' rimanere imbottigliati - con ottime possibilità di non poterne più uscire - nel traffico dei falsi
obiettivi e dei falsi miti che popolano la nostra mente, che sono
decisi e imposti dall'esterno e che ci condannano a un'esistenza inautentica. Occorre ripensare il senso del nostro
agire prima di trovarsi di fronte al fatto compiuto di una povertà
materiale che è figlia delle nostre scelte sconclusionate e prive di
direzionalità.
La rivoluzione o proviene da noi stessi o non arriva a nulla; o è in noi o non è da nessuna parte.
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