Anni di spensieratezza: i gloriosi "Wham!" |
David Bowie, Prince, George Michael.
Immagini di freschezza creativa, di vitalità, di gioventù eterna da
un'età dell'oro musicale che s'allarga fino ad abbracciare tre decadi.
Le loro morti premature ci dicono che
tutto è un'illusione, che nulla è eterno, che anche i tronchi di
querce secolari possono essere spezzati dal vento del destino. Ciò
che non è un'illusione è sicuramente la loro eredità musicale. Ma
si tratta di “eredità”, appunto: roba di un passato museale
destinato a essere oggetto di rimpianti da qui all'eternità. Perché
questa eredità musicale è – specialmente dopo la progressiva
distruzione della scena musicale operata dalle varie boyband e
shock-artists che sopperiscono alla mancanza di talento con l'effetto
speciale di loro costumi e culi (Lady Gaga, Miley Cyrus) dagli anni
'90 in poi - destinata a rimanere impareggiata.
Anche le sorti magnifiche e
progressive della musica quindi si sono rivelate un'illusione, cosa
che doveva comunque essere già chiara dal decadimento dell'offerta
musicale nel passaggio dai '70 ai (pur sempre straordinari) '80.
E il passaggio dialettico dalla crisi
della musica alla crisi della società è affare di un attimo. Perché
musica e società vanno a braccetto. Il decadimento è palese, se
pensiamo al contrasto fra le speranze di conquista di un futuro spaziale destate
dallo sbarco sulla Luna e la realtà recente di un Occidente
assediato dalle forze del totalitarismo islamico che premono alle sue
porte e conquistano spazi culturali, politici e giurisdizionali [la
Sharia è realtà in molti quartieri-ghetto di paesi come il Belgio,
la Svezia, la Germania, l'Inghilterra, la Francia, e l'Italia (1)]. Dal 2000, come età che si favoleggiava
portatrice di incredibili rivelazioni tecnologiche, al Medioevo del
VII secolo, dove la tecnologia è usata dall'Isis per diffondere lo spirito della Jihad.
E allora tuffiamoci nella memoria di
un'epoca – per me gli anni '80 – in cui, da adolescenti
brufolosi, ci cullavamo nelle nostre giovanilistiche illusioni. E la più grande
illusione era proprio quella che queste illusioni fossero realtà
possibili in un futuro in cui la tecnologia – tra le altre forze –
avrebbe determinato il miracolo antropologico di un uomo migliore. E di una vita migliore, non solo più comoda. Il punto è che sarebbe
potuta effettivamente andare così: quelle illusioni non erano poi
così tali. Sarebbe bastato cogliere avvisaglie e segnali per parare le minacce, e
approfittare della nuova ricchezza e dello slancio di inedite
aperture offerte dalle nuove tecnologie (e non solo) per realizzare
il sogno di un'umanità migliore. Ma abbiamo preferito la strada che
ci avrebbe portati indietro.
Spesso, la differenza che passa tra
l'illusione e la realtà è l'impegno. L'impegno, se non altro, a
conservare ciò che si è raggiunto. La vita spesso promette ciò che non può mantenere, ed è impensabile poter per sempre mantenere sul mondo lo sguardo del bambino o dell'adolescente. Ma per tutto il resto, nessuna illusione è tale se c'è
l'impegno a realizzar ciò di cui è fatta. Invece, abbiamo
sostanzialmente abdicato a tutto, e il ritorno alla barbarie medievale è
una realtà spesso troppo pesante da ammettere. Un segnale di ciò è
– come sempre nei periodi di crisi culturale, in cui i pilastri
della civilizzazione vacillano - il rampante antisemitismo.
Nel tradire le nostre illusioni, la
nostra epoca ci ha derubati della giovinezza molto più di quanto potesse
fare il tempo. La vera vecchiaia è quella della giovinezza tradita, perché il tradimento uccide ciò di cui la giovinezza è fatta: le sue speranze, le sue illusioni, i suoi progetti. Quella dei giovani nell'Italia (ma non solo) di oggi è appunto il consumarsi di un tradimento lungo 30 anni: dalle canzonette di allora, che ci facevano sognare, alla disoccupazione cronica di oggi, che fa parlare a ragione di una "generazione perduta".
E allora tuffiamoci nella colonna
sonora di quella gioventù tradita, nella speranza che la poesia e energia
di quelle canzoni ci facciano dimenticare che stiamo compiendo un
rito sepolcrale.
(1) “Così a Milano è
cresciuta una piccola Molenbeek, pronta a incendiarsi”,
Il Foglio, 3/08/2016.
Nessun commento:
Posta un commento