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La vacanza come "ricerca di novità" |
Ma
quello della ricerca incondizionata della novità è esattamente
l'approccio sbagliato, quando si tratta di vacanze. Vediamo perché.
La “Novità” è un
Inganno. Bisogna Imparare ad Apprezzare la Quotidianità
L'approccio
corretto è di valorizzare la vacanza non come rottura di tutte le
routine, ma come una routine alternativa che, a differenza di
quella di studio o di lavoro, sia rilassante e ricreativa. Proprio
questa nozione “positiva” di routine si è persa oggi, e in ciò
va scorta una plausibile chiave di lettura dell'infelicità dei tempi
che viviamo.
Le
persone cercano quindi il “momento memorabile”, la novità che
spezzi la routine, la quotidianità. Esse hanno perso la capacità di
assestarsi su una felicità magari meno intensa, ma più continua e
legata alla normalità della vita quotidiana; una felicità che ti
porti ad assaporare ogni momento di questa come donato da Dio (o
dalla Natura o da altro, per i non-credenti). Sembrerebbe la formula
perfetta: una felicità senza alti e bassi, e continua durante la
giornata perché legata a quello che uno fa nella quotidianità. In
una parola: serenità, l'unica forma di felicità (che rimane
comunque un concetto problematico) alla portata dell'essere umano.
Perché
la novità è un concetto farlocco: essa non esiste, in quanto
in più di 4 milioni di anni di esistenza dell'uomo tutto è già
stato sperimentato in un modo o nell'altro. L'uomo è rimasto sempre
lo stesso: come si pretende quindi che ciò che gli possa procurare
piacere possa cambiare? Anche le “nuove” droghe agiscono sempre
allo stesso modo, sul livello di dopamina e endorfine, e quindi
sulla chimica cerebrale: cosa si vuole quindi che causino di diverso
da euforia, energia esasperata, allucinazioni o altro che non si sia
già visto? E se pur anche esistessero ancora vene inesplorate di
felicità, cioè esperienze effettivamente nuove e gratificanti in
modo inedito, prima o poi si esaurirebbero, perché essendo il mondo
limitato anche il nuovo lo è. Ed invece è nella natura – e nella
sua stessa definizione - della ricerca del nuovo di non finire mai.
Quindi la nostra ricerca del nuovo ci porterebbe prima o poi in ogni
caso oltre i confini dell'esperibile, oltre il mondo: ci porterebbe
nel nulla. Un nulla che è in realtà già parte integrante
del nostro essere, perché come si diceva tutto è già stato
esperito, il nuovo non esiste più e la constatazione del nostro
girare a vuoto alla sua ricerca ci rende dei cinici votati
al(l'auto)nichilismo, come vedremo più avanti.
La Ricerca del Nuovo
per il Nuovo Provoca Male Esistenziale, “Fatica di Vivere”
Imparare
a vivere la quotidianità, ad apprezzarla, e rifuggire il
gusto sterile della novità, quindi. Ma le persone – giovani, ma
non solo – vivono oggi la quotidianità come noia. Ciò distrugge
lo spirito e lo scopo delle vacanze, perché queste non fanno in
realtà altro che sostituire una nuova quotidianità a quella a cui
si cerca di sfuggire: questo è sempre stato il loro scopo e ciò per
cui sono nate. Ma la mentalità contemporanea rifiuta proprio il
concetto di quotidianità, e il fatto di ritrovarsene un'altra –
anche se radicalmente diversa e alternativa - durante le vacanze è
per essa insopportabile. Allora si forza il meccanismo, si cerca di
rifuggire anche questa versione di quotidianità con esperienze
“nuove” e più o meno estreme, che abbiano anche l'effetto di
produrre qualcosa di emozionante e “strano” da raccontare ai
compagni della scuola o ai colleghi dell'ufficio. La vacanza diventa
allora la caccia all'attimo risolutore e definente, al
“momento memorabile”, al gesto epico e originale. In realtà e in
fin dei conti, non si fa altro per questa via che seguire il gregge e
fare quello che fanno tutti, perché questo impulso alla novità non
è individuale, ma collettivo: è un segno del tempo, un elemento
epocale. E' una moda. Quindi non si sfugge veramente alla
quotidianità: solo, la si spezza in attimi da divorare, e nel
fare ciò la si eleva di tono e ritmo a un livello in molti casi
insostenibile. La serata a fare bagordi diventa allora una via di
fuga dalla routine della spiaggia, che era stata a sua volta pensata
come via di fuga dalla routine del resto dell'anno: le vacanze
diventano una fuga da se stesse, e quindi una fuga
al quadrato. Alla fine, si torna a scuola o in ufficio più
stressati di prima, e si scopre che quello che si ha da raccontare
non è nulla di diverso o migliore da quello dei compagni o colleghi.
Siamo caduti nella trappola, ci siamo scoperti vittime del nostro
tempo. E ciò accade perché si è persa l'abitudine di
riflettere su ciò che si è e su ciò che si fa, sul senso di quello
che si fa. Come dei Pac Man, corriamo in ogni direzione alla ricerca
di esperienze da divorare, di attimi da vivere hic et nunc:
abbiamo perso la capacità di pensare in prospettiva. Ma
proprio per questo, continuiamo a ingoiare, senza accorgercene, ciò
che avevamo rigurgitato poco prima, e ogni volta l'esperienza ci
lascia un retrogusto amaro, che non sappiamo spiegarci. Un senso di
noia si appropria allora di noi, crescente e più intenso di quello
che cercavamo di rifuggire. Non è tanto un circolo, quanto una
spirale che ci trascina sempre più in basso con volte ogn'ora
più ampie. Cerchiamo allora esperienze ancora più estreme
(cerchiamo cioè di esorcizzare la percepita assenza di esperienze
nuove aumentando l'intensità di quelle vecchie), ma non servono a
nulla se non a imprimere una accelerata a un motore che già gira a
vuoto. Ogni, volta, disperdiamo energie vitali di quelle che lo stile
di vita occidentale rende sempre più difficile recuperare: la fatica
del vivere si accresce.
Dal Cinismo
Esistenziale al Cinismo Sociale
La
percezione dell'inutilità di quello che stiamo facendo in relazione
a quello che ci eravamo proposti di ottenere si estende oltre la
singola azione, oltre la singola esperienza: diventa il senso
dell'inutilità dell'esistenza. Diventa cinismo
esistenziale, pulsione auto-distruttiva. Si attua cioè una
inconscia trasposizione dalla dimensione del fare (e dall'avere)
all'essere: il mio agire non ha gli effetti che speravo - ma anzi
contrari - ergo la mia esistenza è un fallimento; il mio agire è
inutile, ergo la mia esistenza è inutile.
Il
cinismo esistenziale, poi, diventa cinismo sociale in un
batter d'occhio: disprezziamo gli altri, e i loro sforzi, tanto
quanto disprezziamo noi stessi. Perché l'essere umano è
altruista solo in quanto è egoista: l'amore e il rispetto che
siamo disposti a concedere agli altri è riflesso dell'amore e del
rispetto che concediamo a noi stessi. Non ci può essere rispetto per
gli altri se non c'è rispetto per se stessi: noi conosciamo il mondo
e ci rapportiamo a esso attraverso noi stessi, e la nostra visione
del mondo si basa sulla visione che noi abbiamo di noi stessi. Odiare
se stessi è odiare il mondo; percepire l'inutilità della propria
vita è percepire l'inutilità della vita degli altri; sognare la
propria auto-distruzione è sognare la distruzione del mondo. La
chiave di lettura del male nel mondo è l'infelicità in ognuno di
noi. Il male è solo l'effetto dell'agire dell'infelice nel mondo,
che cerca di ridurre il maggior numero possibile di persone – in
primo luogo ovviamente quelle che egli invidia - alla sua stessa
condizione di infelicità.
Conclusione: Consigli
per una Felice Vacanza
Il mio
consiglio per godersi la vacanza è, in conclusione, quello di
cercare di tenersi bene in testa la “mission” della
vacanza stessa: di instaurare una quotidianità alternativa e più
rilassante rispetto a quella del resto dell'anno. Se si vuole godere
l'esperienza della vacanza nella sua pienezza, bisogna rifuggire dal
condizionamento sociale che ci spinge a ricercare il “thrill” e
lo shock, e cioè a snaturare l'esperienza della vacanza in una serie
frammentata di alti e bassi (occorre invece cercare nella vacanza un
“punto medio alternativo”),
magari solo per il falso piacere di poterli raccontare durante la
ricreazione o le pause-caffè. Questo non è vivere la vacanza
nella sua pienezza, ma sopravviverla nella sua vuotezza. E la
vacanza è qualcosa che si fa per sé e per i propri familiari, non
per i colleghi di scuola o di lavoro.
Quindi
abituiamoci a non inorridire – in vacanza come nella vita - di
fronte a parole come “quotidianità” e “routine”, e impariamo
piuttosto ad apprezzarle per tutto quello che di bello hanno da
offrire. In primo luogo, il comfort dell'“ancoraggio” a un mondo
di attività ed esperienze che ci sono familiari, ciò che allevia lo
stress e produce serenità. In secondo luogo, il riflesso che questa
serenità produce nel rapporto con i familiari e con tutti gli altri,
e per la qualità della vacanza nostra e loro. In terzo luogo,
imparando ad apprezzare la quotidianità, si evita di inseguire il
nuovo per il solo gusto del nuovo, in una ricerca senza fine e sempre
frustrata. Le “novità” - in vacanza come nella vita – hanno un
proprio ruolo se servono ad arricchire la routine e la “normalità”
della quotidianità; quando però diventano esse stesse il focus,
allora la vacanza rischia di diventare una duplice fonte di stress:
in se stessa e nel pentimento per aver buttato a mare l'unica
sostanziale alternativa di riposo e di ricreazione che l'anno ci ha
regalato.
La
vacanza, se concepita nel modo giusto, può diventare una palestra
per affrontare la vita con il giusto spirito. Basta lasciarla fare
quello per cui è nata.
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