(Difficoltà: 4.3/5)
Una
condizione dell’intelligenza è quella di dubitare continuamente di avercela. Il vero intelligente è colui che
dubita costantemente della propria intelligenza. Se ci pensiamo bene, è
naturale che sia così: un’intelligenza che non si fa domande (a partire
ovviamente da: "Ma io sono veramente intelligente?") contraddice la
sua stessa definizione, perché l’intelligenza è risoluzione di problemi, ma
come si individuano i problemi se non facendo o facendosi domande?
Una
Testimonianza Personale
Durante il
mio periodo di servizio militare (tanti anni fa), ricordo di aver incontrato
tra alcuni dei miei commilitoni – tipicamente appartenenti alle classi popolari
– esempi di intelligenza al limite del
prodigioso. Soprattutto intelligenza pratica, certo, legata a un
prematuro incontro col mondo del lavoro: un’intelligenza non solo legata alla
risoluzione di problemi pratici, ma anche di quella legata alle cose umane,
quella che si può a buon titolo chiamare “saggezza” (una saggezza se vogliamo
“popolare”, cioè non appresa dai libri ma vissuta negli incontri con le persone
reali e con il mondo).
Ma, a una
più attenta analisi, mi rendevo conto però che più che intelligenza pura, la
quale ovviamente era pur presente, di trattava di una “freschezza”
mentale che faceva essere questi “prodigi” subito sul punto, li faceva
essere sempre lì con i ragionamenti e le conclusioni giuste, meglio e prima
degli altri. Addirittura, erano in grado di anticipare e “prevedere” i tuoi
processi logici: dove saresti andato a parare e quello che avresti detto. Non
era tanto la qualità dell’intelligenza, quindi, ma la sua rapidità, a
lasciarmi a bocca aperta: era un’intelligenza poco attrezzata a trattare di
questioni puramente teoriche, e molto più versata per le questioni pratiche,
vincolate al modo di relazionarsi con il mondo vissuto; ma era la rapidità con
la quale il loro cervello funzionava, la rapidità dei processi logici, a
impressionare. Per mutuare la terminologia del computer, era come se la memoria
RAM di questi soggetti non fosse oberata dall’enorme travaso di informazioni a cui soggiace il
cervello di una persona acculturata, informazioni provenienti da un supporto di
memoria di massa (l’hard disk) che è pieno, e che quindi costringe il cervello
a un corposo processo di selezione delle informazioni di caso in caso più
rilevanti. Questi “intelligenti incolti” (detto in tono, beninteso, non
spregiativo) hanno quindi buon gioco
nell’andare subito e senza tentennamenti al centro delle questioni.
E’ facile
dunque rimanere impressionati da questi soggetti, al punto da sentirsi
sovrastati da una supposta superiorità delle loro facoltà mentali, soccombendo
all’impressione di trovarsi al cospetto di esseri di un altro pianeta e
prodigiosamente maturi (e chi veramente sa di cosa parlo, sa anche che non
sto esagerando). In effetti, questi individui sembrano nella regola molto più
maturi di quello che direbbe la loro età, e appaiono come dei cervelli di
adulti intrappolati in corpi di ragazzi. Occorre dire che, in linea di massima,
le classi popolari presentano numerosi esempi di soggetti che la terminologia
comune definisce “svegli”; ed è
proprio il termine “svegli” o “vivaci” a dirci che l’impressione di
un’intelligenza superiore ci è fornita dalla rapidità di accesso alla “banca
dati” dimostrata da questi individui: è più una questione di velocità che d’altro.
A ben vedere, infatti, l'intelligenza delle classi popolari è legata all'esperienza:
messi a confronto durante la loro ancora breve vita con un ventaglio ristretto
di situazioni (potendo essi contare non molto su esperienza
"indirette" - quelle attinte dalle letture -, ma quasi esclusivamente
su esperienze dirette, ricavate direttamente dal loro limitato ambito di vita -
lavoro, relazioni, praticità quotidiana ecc.), essi si muovono nei relativi
contesti con assoluto agio, velocità e destrezza. E', insomma, una tipologia di
intelligenza che non è "pura" – anche se, ovviamente, capacità
intellettive di base, anche significative, devono essere pur presenti -, ma
dettata dalla familiarità esperenziale con determinati contesti,
un'intelligenza basata sulla familiarità con situazioni e questioni, e quindi solo impropriamente definibile “intelligenza”. Facendo l’esempio dei test d’intelligenza, infatti, un’autentica
misurazione del Q.I. può avere luogo solo per coloro che affrontino i test la
prima volta, o comunque un numero di volte ristretto e sempre confinato,
circostanzialmente, a misurazioni “di controllo” in ambito laboratoriale. Se
uno invece svolge test su test nel tempo libero, per pura passione personale,
così specializzandosi nelle varie tipologie di quesiti, allora vengono meno le
condizioni “cliniche” di una misurazione corretta dell’intelligenza (quella propriamente
detta, cioè “pura”) perché interviene l’elemento perturbatore dell’esperienza. Ancora,
se io affronto nel gioco a carte un contendente che ha già ben appreso l'arte,
mentre io non so nulla delle regole e devo capirle sul momento, ciò che è a me
richiesto risponde più alla definizione di intelligenza di quanto
non lo sia per il mio avversario, che invece quello sforzo l'ha già fatto e ora
può vivere di rendita sull'esperienza accumulata. (A complicare la questione,
va detto anche che la mia eventuale rapidità nel comprendere le regole non mi
qualifica necessariamente come più intelligente di chi ci mette di più, ma solo
semmai come più "lucido" o concentrato in quel momento particolare o
anche in generale. Ma questo è altro tema, legato all'estrema difficoltà nel
definire di preciso la nozione di intelligenza - cosa essa è e cosa essa non è
-: una difficoltà di cui il sottoscritto ha già parlato altrove).
Quindi, i “maturi prematuri” – la cui indole
evidenzia i caratteri descritti sopra al massimo grado, sicuramente anche dovuto a maggiori capacità intellettive di partenza -, vincolati dalle necessità
pratiche della propria esistenza (le classi popolari hanno la cultura del
lavoro, e più raramente quella dello studio, perché la loro stella polare è
per tradizione e per natura quella della sopravvivenza materiale), non hanno la
mente obnubilata da questioni puramente teoriche, e possono quindi trovare
senza esitazioni le coordinate per la risoluzione di un problema che –
in aggiunta e soprattutto - hanno già avuto occasione di affrontare, in forma identica o
analoga, altre volte in passato.
L'Amara
Realtà: La "Maturità Prematura" non Matura
Se si va
bene a vedere, però, quest’intelligenza/maturità “precoce” si acquisisce a caro
prezzo, ed è un bene altamente deperibile. Essa contiene alla base certo i
tratti di una spiccata intelligenza “naturale”, di una schietta capacità
logica, la quale però, autocompiaciuta, tende a sentirsi “arrivata”, già al
massimo grado “matura”, e quindi tende a non raffinarsi attingendo alle fonti della
cultura scientifica o umanistica. Il prezzo da pagare è che, con l’andare degli
anni, l’intelligenza di questi individui
“prodigiosi” rimane ferma al palo, non si sviluppa di un centimentro. Anzi,
e come è naturale che sia, essa deperisce con l’invecchiamento del cervello: il
corpo recupera lo svantaggio nei confronti di un’intelligenza sempre rimasta
immobile, e alla fine ci si trova al cospetto di adulti di intelletto e
maturità medi, cioè mediocri. In più, rimane solo l’arroganza come vuoto calco
di un antica e ormai trapassata superiorità in termini intellettuali e maturativi.
Ed è proprio l’autocompiacimento,
l’arroganza alimentata da giovanili vittorie nei confronti con l’intelligenza
dei coetanei (nonché dalle eventuali lodi degli adulti), a determinare questa
impasse nello sviluppo cognitivo di questi soggetti: è il sentirsi, già in
giovane o giovanissima età, “arrivati” a impedire loro di compiere passi verso
un qualsiasi automiglioramento esperenzial-cognitivo. La presenza di
un’intelligenza dai tratti adulti in una personalità che è ancora, per naturali
motivi di età, immatura, crea una combinazione velenosa per le possibilità di
sviluppo psico-cognitivo della persona. Le dinamiche dell’ego adolescenziale si impongono, e questi intelletti precoci cominciano ad avvertire cultura
e scuola come delle presenza estranee, di cui non si ha realmente bisogno.
Anche lo status sociale di partenza gioca naturalmente un ruolo: come già più
volte detto, questa forma di intelligenza si trova soprattutto tra le fila
della classe operaia o contadina (o comunque popolare), proprio perché lì vi è
un eccessivo culto del lavoro come strumento di auto-realizzazione e di
guadagno, a discapito dell’attività “borghese” dello studio e
dell’acculturazione personale. Non si vuole qui stabilire una gerarchia valoriale
delle diverse intelligenze; intelligenza pratica e teorica non sono l’una
meglio dell’altra, ma complementari: la seconda serve alla prima per assorbire
nuovi stimoli e allargare le proprie prospettive; la prima serve alla seconda
come strumento per mantenersi ancorata nel mondo e nel principio di realtà.
In summa, normale sviluppo dell’intelligenza è,
lapalissianamente, quello che porta dall’averne di meno all’averne di più, dalla
constatazione delle proprie manchevolezze all’impegno per eliminarle ed
accrescere, assieme alla cultura – “cibo” per la mente – anche la propria
intelligenza, il tutto al servizio della creazione di un proprio ruolo nel
mondo. L’intelligenza che non segue questo tragitto, ma che dà troppo di sé
all’inizio del percorso evolutivo, è il più delle volte condannata. La sua
iniziale e soverchiante superiorità è solo un
fuoco d’artificio destinato a spegnersi.
Conclusione
Cerchiamo ora di riassumere e di integrare quello che
abbiamo cercato di stabilire in questo articolo.
- Alcuni individui, presenti soprattutto tra le classi popolari, presentano tratti molto marcati di una precocità intellettuale che veicola il senso di un livello di maturità al di sopra della norma.
- Questa intelligenza poggia sulla base, tipica, della tipologia di intelletto delle classi socialmente e redditualmente “inferiori”, le cui dinamiche esistenziali (il modo di pensare e di agire) sono rette da necessità materiali, e quindi da una cultura del lavoro pratico-materiale. Nei soggetti “prematuramente maturi”, questa forma di intelligenza è espressa al massimo grado.
- In realtà, qui ciò che viene scambiata per intelligenza è solo in parte ciò, ed è perlopiù la capacità di accedere più velocemente degli altri a un bagaglio di conoscenze utili alla risoluzione di un problema o alla vittoria in una discussione. In più c’è, nei “maturi prematuri”, un carattere di maturazione della personalità legato a un bagaglio di esperienze – anche traumatiche - maturate che sono più attinenti alla vita reale e meno a quella, spesso romanzata o ideologizzata, del mondo della cultura (soprattutto umanistica, evidentemente): il soggetto “prematuramente maturo” ragiona e si comporta (o si atteggia), già da adolescente, come un adulto, e mantiene caratteri di saggezza, pacatezza e autocontrollo che non è possibile riscontrare nella stragrande maggioranza dei coetanei di qualsiasi estrazione sociale.
- Tuttavia, il carattere prematuro di questa intelligenza/maturazione condanna – almeno nella maggioranza dei casi – i “maturi prematuri” ad adagiarsi sugli allori di un senso di “superiorità” intellettuale o comportamentale (in termini di abilità o saggezza) che ha trovato costante conferma nell’impari confronto con i coetanei nel corso della sua vita giovanile. Dal punto di vista della maturazione personale – intellettiva o comportamentale – il loro sviluppo cognitivo/maturativo nella sostanza si arresta altrettanto prematuramente, o comunque tradisce ampiamente le premesse. E’ la regola, anzi, che si manifesti nel corso dell’età adulta - quando la freschezza mentale e una certa spinta giovanile soccombono all’incedere del tempo, amplificando in questi particolari soggetti un senso di tedio e inutilità della vita che li ha accompagnati fin dai loro anni migliori - un significativo regresso.
In
definitiva e per arrivare al punto, un
regolare processo di maturazione psico-cognitiva impone una certa gradualità;
la condizione per uno sviluppo attivo
(cioè intenzionale e non inerziale) dell’intelligenza è la consapevolezza della
continua perfettibilità della stessa. Solo da questa consapevolezza può
verificarsi lo sforzo per migliorarsi: uno sforzo che, nei casi migliori, ci
accompagna per tutta la vita e che rappresenta – forse ancor più del benessere
fisico – la chiave di volta per un’esistenza lunga, serena e ricca di senso.
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