mercoledì 29 agosto 2018

IL FENOMENO DEI "MATURI PREMATURI"

(Difficoltà: 4.3/5)

Una condizione dell’intelligenza è quella di dubitare continuamente di avercela. Il vero intelligente è colui che dubita costantemente della propria intelligenza. Se ci pensiamo bene, è naturale che sia così: un’intelligenza che non si fa domande (a partire ovviamente da: "Ma io sono veramente intelligente?") contraddice la sua stessa definizione, perché l’intelligenza è risoluzione di problemi, ma come si individuano i problemi se non facendo o facendosi domande?
 
 
Una Testimonianza Personale 

Durante il mio periodo di servizio militare (tanti anni fa), ricordo di aver incontrato tra alcuni dei miei commilitoni – tipicamente appartenenti alle classi popolari  – esempi di intelligenza al limite del prodigioso. Soprattutto intelligenza pratica, certo, legata a un prematuro incontro col mondo del lavoro: un’intelligenza non solo legata alla risoluzione di problemi pratici, ma anche di quella legata alle cose umane, quella che si può a buon titolo chiamare “saggezza” (una saggezza se vogliamo “popolare”, cioè non appresa dai libri ma vissuta negli incontri con le persone reali e con il mondo).
Ma, a una più attenta analisi, mi rendevo conto però che più che intelligenza pura, la quale ovviamente era pur presente, di trattava di una “freschezza” mentale che faceva essere questi “prodigi” subito sul punto, li faceva essere sempre lì con i ragionamenti e le conclusioni giuste, meglio e prima degli altri. Addirittura, erano in grado di anticipare e “prevedere” i tuoi processi logici: dove saresti andato a parare e quello che avresti detto. Non era tanto la qualità dell’intelligenza, quindi, ma la sua rapidità, a lasciarmi a bocca aperta: era un’intelligenza poco attrezzata a trattare di questioni puramente teoriche, e molto più versata per le questioni pratiche, vincolate al modo di relazionarsi con il mondo vissuto; ma era la rapidità con la quale il loro cervello funzionava, la rapidità dei processi logici, a impressionare. Per mutuare la terminologia del computer, era come se la memoria RAM di questi soggetti non fosse oberata dall’enorme travaso di informazioni a cui soggiace il cervello di una persona acculturata, informazioni provenienti da un supporto di memoria di massa (l’hard disk) che è pieno, e che quindi costringe il cervello a un corposo processo di selezione delle informazioni di caso in caso più rilevanti. Questi “intelligenti incolti” (detto in tono, beninteso, non spregiativo) hanno quindi  buon gioco nell’andare subito e senza tentennamenti al centro delle questioni.
E’ facile dunque rimanere impressionati da questi soggetti, al punto da sentirsi sovrastati da una supposta superiorità delle loro facoltà mentali, soccombendo all’impressione di trovarsi al cospetto di esseri di un altro pianeta e prodigiosamente maturi (e chi veramente sa di cosa parlo, sa anche che non sto esagerando). In effetti, questi individui sembrano nella regola molto più maturi di quello che direbbe la loro età, e appaiono come dei cervelli di adulti intrappolati in corpi di ragazzi. Occorre dire che, in linea di massima, le classi popolari presentano numerosi esempi di soggetti che la terminologia comune definisce “svegli”; ed è proprio il termine “svegli” o “vivaci” a dirci che l’impressione di un’intelligenza superiore ci è fornita dalla rapidità di accesso alla “banca dati” dimostrata da questi individui: è più una questione di velocità che d’altro. 
A ben vedere, infatti, l'intelligenza delle classi popolari è legata all'esperienza: messi a confronto durante la loro ancora breve vita con un ventaglio ristretto di situazioni (potendo essi contare non molto su esperienza "indirette" - quelle attinte dalle letture -, ma quasi esclusivamente su esperienze dirette, ricavate direttamente dal loro limitato ambito di vita - lavoro, relazioni, praticità quotidiana ecc.), essi si muovono nei relativi contesti con assoluto agio, velocità e destrezza. E', insomma, una tipologia di intelligenza che non è "pura" – anche se, ovviamente, capacità intellettive di base, anche significative, devono essere pur presenti -, ma dettata dalla familiarità esperenziale con determinati contesti, un'intelligenza basata sulla familiarità con situazioni e questioni, e quindi solo impropriamente definibile “intelligenza”. Facendo l’esempio dei test d’intelligenza, infatti, un’autentica misurazione del Q.I. può avere luogo solo per coloro che affrontino i test la prima volta, o comunque un numero di volte ristretto e sempre confinato, circostanzialmente, a misurazioni “di controllo” in ambito laboratoriale. Se uno invece svolge test su test nel tempo libero, per pura passione personale, così specializzandosi nelle varie tipologie di quesiti, allora vengono meno le condizioni “cliniche” di una misurazione corretta dell’intelligenza (quella propriamente detta, cioè “pura”) perché interviene l’elemento perturbatore dell’esperienza. Ancora, se io affronto nel gioco a carte un contendente che ha già ben appreso l'arte, mentre io non so nulla delle regole e devo capirle sul momento, ciò che è a me richiesto risponde più alla definizione di intelligenza di quanto non lo sia per il mio avversario, che invece quello sforzo l'ha già fatto e ora può vivere di rendita sull'esperienza accumulata. (A complicare la questione, va detto anche che la mia eventuale rapidità nel comprendere le regole non mi qualifica necessariamente come più intelligente di chi ci mette di più, ma solo semmai come più "lucido" o concentrato in quel momento particolare o anche in generale. Ma questo è altro tema, legato all'estrema difficoltà nel definire di preciso la nozione di intelligenza - cosa essa è e cosa essa non è -: una difficoltà di cui il sottoscritto ha già parlato altrove).
Quindi, i “maturi prematuri” – la cui indole evidenzia i caratteri descritti sopra al massimo grado, sicuramente anche dovuto a maggiori capacità intellettive di partenza -, vincolati dalle necessità pratiche della propria esistenza (le classi popolari hanno la cultura del lavoro, e più raramente quella dello studio, perché la loro stella polare è per tradizione e per natura quella della sopravvivenza materiale), non hanno la mente obnubilata da questioni puramente teoriche, e possono quindi trovare senza esitazioni le coordinate per la risoluzione di un problema che – in aggiunta e soprattutto - hanno già avuto occasione di affrontare, in forma identica o analoga, altre volte in passato.


L'Amara Realtà: La "Maturità Prematura" non Matura 

Se si va bene a vedere, però, quest’intelligenza/maturità “precoce” si acquisisce a caro prezzo, ed è un bene altamente deperibile. Essa contiene alla base certo i tratti di una spiccata intelligenza “naturale”, di una schietta capacità logica, la quale però, autocompiaciuta, tende a sentirsi “arrivata”, già al massimo grado “matura”, e quindi tende a non raffinarsi attingendo alle fonti della cultura scientifica o umanistica. Il prezzo da pagare è che, con l’andare degli anni, l’intelligenza di questi individui “prodigiosi” rimane ferma al palo, non si sviluppa di un centimentro. Anzi, e come è naturale che sia, essa deperisce con l’invecchiamento del cervello: il corpo recupera lo svantaggio nei confronti di un’intelligenza sempre rimasta immobile, e alla fine ci si trova al cospetto di adulti di intelletto e maturità medi, cioè mediocri. In più, rimane solo l’arroganza come vuoto calco di un antica e ormai trapassata superiorità in termini intellettuali e maturativi.
Ed è proprio l’autocompiacimento, l’arroganza alimentata da giovanili vittorie nei confronti con l’intelligenza dei coetanei (nonché dalle eventuali lodi degli adulti), a determinare questa impasse nello sviluppo cognitivo di questi soggetti: è il sentirsi, già in giovane o giovanissima età, “arrivati” a impedire loro di compiere passi verso un qualsiasi automiglioramento esperenzial-cognitivo. La presenza di un’intelligenza dai tratti adulti in una personalità che è ancora, per naturali motivi di età, immatura, crea una combinazione velenosa per le possibilità di sviluppo psico-cognitivo della persona. Le dinamiche dell’ego adolescenziale si impongono, e questi intelletti precoci cominciano ad avvertire cultura e scuola come delle presenza estranee, di cui non si ha realmente bisogno. Anche lo status sociale di partenza gioca naturalmente un ruolo: come già più volte detto, questa forma di intelligenza si trova soprattutto tra le fila della classe operaia o contadina (o comunque popolare), proprio perché lì vi è un eccessivo culto del lavoro come strumento di auto-realizzazione e di guadagno, a discapito dell’attività “borghese” dello studio e dell’acculturazione personale. Non si vuole qui stabilire una gerarchia valoriale delle diverse intelligenze; intelligenza pratica e teorica non sono l’una meglio dell’altra, ma complementari: la seconda serve alla prima per assorbire nuovi stimoli e allargare le proprie prospettive; la prima serve alla seconda come strumento per mantenersi ancorata nel mondo e nel principio di realtà.
In summa, normale sviluppo dell’intelligenza è, lapalissianamente, quello che porta dall’averne di meno all’averne di più, dalla constatazione delle proprie manchevolezze all’impegno per eliminarle ed accrescere, assieme alla cultura – “cibo” per la mente – anche la propria intelligenza, il tutto al servizio della creazione di un proprio ruolo nel mondo. L’intelligenza che non segue questo tragitto, ma che dà troppo di sé all’inizio del percorso evolutivo, è il più delle volte condannata. La sua iniziale e soverchiante superiorità è solo un fuoco d’artificio destinato a spegnersi.


Conclusione

Cerchiamo ora di riassumere e di integrare quello che abbiamo cercato di stabilire in questo articolo.
  1. Alcuni individui, presenti soprattutto tra le classi popolari, presentano tratti molto marcati di una precocità intellettuale che veicola il senso di un livello di maturità al di sopra della norma.
  2. Questa intelligenza poggia sulla base, tipica, della tipologia di intelletto delle classi socialmente e redditualmente “inferiori”, le cui dinamiche esistenziali (il modo di pensare e di agire) sono rette da necessità materiali, e quindi da una cultura del lavoro pratico-materiale. Nei soggetti “prematuramente maturi”, questa forma di intelligenza è espressa al massimo grado.
  3. In realtà, qui ciò che viene scambiata per intelligenza è solo in parte ciò, ed è perlopiù la capacità di accedere più velocemente degli altri a un bagaglio di conoscenze utili alla risoluzione di un problema o alla vittoria in una discussione. In più c’è, nei “maturi prematuri”, un carattere di maturazione della personalità legato a un bagaglio di esperienze – anche traumatiche - maturate che sono più attinenti alla vita reale e meno a quella, spesso romanzata o ideologizzata, del mondo della cultura (soprattutto umanistica, evidentemente): il soggetto “prematuramente maturo” ragiona e si comporta (o si atteggia), già da adolescente, come un adulto, e mantiene caratteri di saggezza, pacatezza e autocontrollo che non è possibile riscontrare nella stragrande maggioranza dei coetanei di qualsiasi estrazione sociale.
  4. Tuttavia, il carattere prematuro di questa intelligenza/maturazione condanna – almeno nella maggioranza dei casi – i “maturi prematuri” ad adagiarsi sugli allori di un senso di “superiorità” intellettuale o comportamentale (in termini di abilità o saggezza) che ha trovato costante conferma nell’impari confronto con i coetanei nel corso della sua vita giovanile. Dal punto di vista della maturazione personale – intellettiva o comportamentale – il loro sviluppo cognitivo/maturativo nella sostanza si arresta altrettanto prematuramente, o comunque tradisce ampiamente le premesse. E’ la regola, anzi, che si manifesti nel corso dell’età adulta - quando la freschezza mentale e una certa spinta giovanile soccombono all’incedere del tempo, amplificando in questi particolari soggetti un senso di tedio e inutilità della vita che li ha accompagnati fin dai loro anni migliori - un significativo regresso.
In definitiva e per arrivare al punto, un regolare processo di maturazione psico-cognitiva impone una certa gradualità; la condizione per uno sviluppo attivo (cioè intenzionale e non inerziale) dell’intelligenza è la consapevolezza della continua perfettibilità della stessa. Solo da questa consapevolezza può verificarsi lo sforzo per migliorarsi: uno sforzo che, nei casi migliori, ci accompagna per tutta la vita e che rappresenta – forse ancor più del benessere fisico – la chiave di volta per un’esistenza lunga, serena e ricca di senso.


Nessun commento:

Posta un commento