(Difficoltà:4/5)
La società occidentale ha particolare cura dei bambini. Occorrerebbe fare uno studio apposito, ma è possibile che questo sia – almeno nelle dimensioni attuali - un tratto acquisito relativamente di recente nella storia dell’Occidente. In una civiltà a bassissimo tasso di natalità, nella quale la maternità viene posposta alla carriera nella scala degli interessi e dei valori, le donne procreano in età avanzata e quindi spesso si trovano ad avere un unico figlio, cioè ad avere "tutte le uova in un unico cesto", è normale che l'iperprotettivismo nei confronti della prole si estenda fino a diventare una variabile culturale così caratterizzante.
Certo, più in generale, un contrassegno della società umana e (almeno per il discorso dei piccoli) animale è quello di salvaguardare l’incolumità della prole e della parte femminile all’interno del gruppo (“prima le donne e i bambini” si ode dire nei film quando un qualche vascello sta per affondare). Ma questa universale attitudine non è da vedere moralisticamente: la Natura non si interessa della morale. Quindi, il fatto che siano i più deboli a essere protetti non deve ingannare: siamo, al contrario, nel campo del puro utilitarismo darwinista, e i soggetti deboli verranno comunque selezionati, una volta che, crescendo, non abbiano saputo dimostrarsi all’altezza delle sfide ambientali. La debolezza delle femmine e dei cuccioli è quindi da considerare, evolutivamente, ideale incubatrice di una forza futura, che possa far sopravvivere e progredire la specie: questo è l’unica cosa che interessa alla Natura.
La Sacralità della Vita del Bambino al di Sopra delle Altre: un Totem Ideologico
La salvaguardia della prole (e dell’elemento femminile) nella specie rientra quindi appieno nella logica evolutiva. Ma con il progredire della civilizzazione, e quindi con l’iniezione di sovrastrutture culturali e morali a confondere le acque di una logica evolutiva di per sé elementare, la tutela della prole viene trasfigurata (e, anzi, sfigurata e strumentalizzata) attraverso un’opera di ideologizzazione. La tutela dell’infanzia diviene un’ideologia, un credo inattaccabile e cristallizzato nella sua sicumera, al punto da spingere a ritenere qualsiasi voce discordante come “barbara”, cioè ponentesi al di fuori dei criteri della civilizzazione. E dove v’è ideologia, v’è spesso anche menzogna e – appunto - strumentalizzazione. Ecco dunque che il bambino – e cioè la salvaguardia della sua vita – diviene in realtà un maglio per abbattere sul nascere qualsiasi impulso di critica a politiche di per sé sciagurate e controproduttive per la sopravvivenza della società occidentale stessa. Come il tema dell’immigrazione ha dimostrato in innumerevoli occasioni, i bambini sono divenuti ormai lo strumento per un ricatto morale brandito contro qualsiasi opposizione politica che osi porre l’accento sugli interessi della comunità e sull’elementare considerazione del bilancio costi-benefici, che dovrebbe essere alla base di ogni politica laica e razionale. E’ sufficiente che ci sia un bambino di mezzo per poter far dire: “Ogni discussione è inutile, si fa come diciamo noi e basta”, a pena di essere tacciati come “inumani” o “razzisti” o alto di insultante e diffamante. Si usa, cioè, l’umanità come arma per disumanizzare l’avversario politico, connotando ogni sua critica e obiezione con i tratti dell’inciviltà, dell’egoismo e della nequizia animalesca. Si sposta il focus dell’azione politica dal dibattito e dal razionale scambio di idee a un sentimentalismo sguaiato, irrazionale e moraleggiante (cioè che tende a "far la morale" agli altri): i tratti, insomma, di quella “pancia” che i fautori di questo processo attribuiscono, proiettivamente, ai propri nemici nel mentre che li definiscono “populisti”. L’irruzione del sentimento e della passione irrazionale nella politica è un tratto che accomuna le peggiori dittature del Novecento, e come tale una traiettoria destinata a lasciar dietro di sé una lunga scia di sangue, in primis di coloro che i ricattatori morali dicono di voler proteggere: di ciò parlano le migliaia di morti annegati nelle acque del Mediterraneo, anche bambini: agnelli sacrificali dell’ideologia multiculturalista.
"Ho Desiderato che Morisse un Bambino..."
Il bambino Aylan Kurdi, vittima di scempio |
Gli immigrazionisti usano quindi i bambini immigrati come carne da cannone per una propaganda che piloti l'opinione pubblica verso politiche che assecondino i loro interessi: c’è da meravigliarsi dunque che, esauritasi l’ondata emotiva suscitata dall’immagine di Aylan, gli immigrazionisti in seno ai palazzi di potere, all’alta finanza, alle ong e anche al semplice elettorato di sinistra non aspettino altro che un’altra di quelle morti a favore di obiettivo, che ponga di nuovo la popolazione di fronte all’aut-aut fra autoannientamento tramite immigrazione e il convivere con il marchio infamante del proprio razzismo e inumanità? Certo la maggior parte di questi individui ha l’intelligenza di tacere questo turpe – e sì autenticamente infame – desiderio di una morte innocente da usare propagandisticamente; ma alcuni, certamente inebriati dall’arroganza di un senso di superiorità intellettuale e morale che si dimostra così totalmente infondato, si lasciano scappare affermazioni altamente rivelatrici: è il caso del premio strega Edoardo Albinati, vicino alla sinistra e già al soldo dell’Unhcr e dell’Onu (il che è tutto dire, per chi veramente sa di cosa stiamo parlando), il quale, di fronte ai successi del nuovo governo M5S-Lega nel porre freni all’immigrazione clandestina, si augurava – credendo di parlare solo a un clan di sodali e ignaro del fatto che un giornalista di Radio Padania stava registrando il discorso - la morte di un bambino “rifugiato”, prefigurando gli effetti che questo avrebbe avuto sulla tenuta di un governo con piena legittimazione democratica, ma a lui ovviamente sgradito. Nelle agghiaccianti – ma non sorprendenti – parole di Albinati c’è tutta la cifra di un’ipocrisia che utilizza la vita (e la morte) dei bambini per scopi inconfessabili, e non da ultima la segreta speranza di sovvertire un governo sceltper via democratica:
Ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. ho detto: adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede per il nostro governo (1)
Anche dei bambini come “passaporti” per entrare
clandestinamente nei paesi europei è bene documentato: gli immigrati tutti conoscono
la nostra distorta sensibilità in materia di infanzia, e la usano, con la
complicità del catto-comunismo istituzionale, come grimaldello morale per farsi
aprire le porte di casa nostra pur non avendo - nella stragrande maggioranza dei casi - alcun diritto di accedervi.
Non si può nemmeno iniziare a descrivere l’orrore e il disgusto
umano suscitato dallo sfruttamento e strumentalizzazione per fini politici di
immagini di bambini vivi o morti. Se il concetto di decenza avesse ancora un senso nei
media mainstream, esso imporrebbe il rispetto della vita umana a partire dal
rispetto del suo momento culminante: la morte.
Un'Altra Prospettiva
Come già osservato verso l’inizio dell’articolo, la tutela dei
bambini e delle donne ha nel regno animale dei fondamenti ben evidenti, che s’inscrivono
nell’esigenza di preservare la specie. Il dato cultural-religioso della
sacralità del bambino è, nell’uomo occidentale, il frutto di un’elaborazione
culturale che getta le proprie radici nel darwinismo. Il crudo dato naturale è,
infatti, che la vita dell’anziano è meno funzionale - e quindi meno preziosa - di
quella del piccolo, ed è quindi sacrificabile.
Ma la cosa può essere vista anche da un’altra prospettiva,
cioè quella che va oltre la logica dell’utilitarismo darwinistico per tirare
dentro alcune considerazioni di tipo assieme logico e spirituale. Il fatto che nel dibattito
pubblico una gerarchizzazione valoriale della vita in termini anagrafici (in
sostanza, il fatto che la vita del bambino conti di più di quella dell’adulto)
sia un qualcosa che non ammette contestazioni, rende conto di questo carattere
di “naturalità” del principio in oggetto: la stessa messa in discussione del
principio della sacralità della vita dell’infante è percepita come barbarie
proprio perché confligge con il nostro istinto naturale, con il riflessi
condizionati legati al nostro impulso più viscerale: quello che si rivolge
appunto alla conservazione della nostra specie. Anche la possibilità (e anzi l’alta
probabilità) della strumentalizzazione di questo principio in senso cinico può
essere ricondotta a questa alla naturalità:
dopotutto, si tratta sempre di accomodare un principio ideale in funzione di un
impulso che guarda ai propri interessi materiali o politici.
Qual è dunque, l'altra prospettiva di cui parlavamo? Diciamo che esistono
argomenti che aiutano ad affermare la vita dell’infante come più “importante”
di quella dell’adulto, ma esistono anche argomenti utili - e forse ancor più
validi - per attestare la tesi che la vita è una, ed è un diritto che non è
lecito e morale – almeno sul piano puramente anagrafico - dispensare su base
gerarchica. Diciamo che chi valorizza la vita del bambino sopra quella dell’adulto
- considerando quindi, date circostanze estreme, questa sacrificabile rispetto
a quella – guarda di solito al futuro, al potenziale di questa nuova vita: ciò
che essa sarà in grado di costruire; essa è, insomma, una tesi “progressista”. Chi,
invece, valorizza il presente e il passato, cioè ciò che uno è, ciò che uno ha
costruito e le esperienze di vita e la saggezza che ha accumulato in lunghi
anni, può arrivare a chiedersi se un adulto non abbia molto più da perdere di
un essere umano che ha appena iniziato a vivere, e se la sua morte non dovrebbe essere in
misura maggiore una tragedia per sé e per gli altri. Questa è, se vogliamo, la
tesi “conservatrice”.
Ed è proprio quest’ultimo il punto principale, non certo per
affermare che la vita di un adulto debba essere protetta in quanto superiore a
quella dell’infante, ma sicuramente per dire che al contrario non dovrebbe
essere concepita come gregaria o – addirittura - sacrificabile al cospetto di
quella. Se un quarantenne muore, dopo anni di studi e di carriera, dopo aver
costruito una famiglia, dopo aver contribuito alla società con il suo lavoro o
con il suo ingegno, dopo aver edificato un repertorio di ricordi legati a sue età
precedenti e in grado di evocargli nostalgie poetiche ecc., non è questa morte
da piangere tanto quanto – o forse, oseremmo dire a questo punto, di più – di quella
di un infante che è ancora “in potenza”?
Gli argomenti a favore della tesi della superiorità della
vita del bambino (o comunque “non-adulto”) li abbiamo in parte già visti: uno è
l’argomento “naturale” (ma abbiamo visto che ora stiamo cercando di affrontare
tutto un altro ordine di considerazioni rispetto a quello naturale), l’altro è
l'argomento della potenzialità (che è però argomentazione eterea, in quanto imprevedibile e
quindi aperta a tutti gli sviluppi futuri immaginabili, nel bene e nel male). C’è
anche poi l'argomento secondo cui l’infante avrebbe più diritto alla vita, perché ne ha vissuta
di meno e quindi ha davanti a sé una porzione più grande di essa. Ma la vita è
misurabile qualitativamente, più che quantitativamente: penso chiunque fra noi
preferirebbe vivere sei mesi in colline soleggiate immerso tra i propri cari
che 10 anni in totale isolamento in una stanza buia. E se questo è vero,
riflettiamo: non racchiude l’infanzia forse i momenti più belli della vita,
quelli più avulsi dalle responsabilità e dai dolori che si preparano negli anni
a venire? Certo questi anni racchiudono anche le aspirazioni e i sogni (i “da
grande voglio fare…”, e i “da grande voglio diventare…”); ma, ancora, siamo nel
campo del possibile eventuale e non del concreto realizzato.
Conclusione
A scanso di equivoci, il sottoscritto crede ancora che i bambini siano una risorsa preziosa, anche per richiamare noi adulti a delle qualità che si perdono con gli anni, ma che sarebbe bene mantenere, e di cui i bambini rappresentano testimonianza vivente: il guardare il mondo con occhi freschi e avulsi da pregiudizi; la curiosità verso ciò che non si conosce e l’impulso a sperimentare; la capacità di farsi incantare e affascinare dalle piccole cose; la capacità di guardare al futuro con il filtro della speranza e quel pizzico di ingenuità che ci aiuta a spingerci oltre il limite di ciò che sembra possibile in quel momento, ecc.
A scanso di equivoci, il sottoscritto crede ancora che i bambini siano una risorsa preziosa, anche per richiamare noi adulti a delle qualità che si perdono con gli anni, ma che sarebbe bene mantenere, e di cui i bambini rappresentano testimonianza vivente: il guardare il mondo con occhi freschi e avulsi da pregiudizi; la curiosità verso ciò che non si conosce e l’impulso a sperimentare; la capacità di farsi incantare e affascinare dalle piccole cose; la capacità di guardare al futuro con il filtro della speranza e quel pizzico di ingenuità che ci aiuta a spingerci oltre il limite di ciò che sembra possibile in quel momento, ecc.
E sì, il sottoscritto è d’accordo con il comandamento del “prima
i bambini”, nel caso il fato imponga la scelta di chi salvare. Ma lo scopo
dell’articolo è quello di richiamare l'attenzione sul fatto che un principio naturalmente
giustificabile ma di per sé moralmente e logicamente discutibile sta diventando
un gigantesco cavallo di troia per iniettare nella società europea e
occidentale il veleno di culture che i diritti dei bambini li violano
costantemente, e che hanno tanto a cuore i diritti dell’infanzia da sfruttare (spesso crudelmente, sempre cinicamente) i
bambini per invaderci facendo leva su questa nostra debolezza culturale e
morale.
(1) "Albinati e la ferocia dell'élite", di Giampaolo rossi, blog.ilgiornale.it, 15/06/2018.
http://blog.ilgiornale.it/rossi/2018/06/15/albinati-e-la-ferocia-dellelite/
(2) "Two thirds of disputed Calais 'child refugees' are adults, Home Office figures reveal", Indipendent, 19/10/2016.
https://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/child-refugees-migrants-two-thirds-home-office-dental-teeth-david-davies-a7369186.html
(3) "Islam's Hatred of the Non-Muslim, di David Bukay, Middle East Forum, 01/06/2013.
https://www.meforum.org/articles/2013/islam-s-hatred-of-the-non-muslim
http://blog.ilgiornale.it/rossi/2018/06/15/albinati-e-la-ferocia-dellelite/
(2) "Two thirds of disputed Calais 'child refugees' are adults, Home Office figures reveal", Indipendent, 19/10/2016.
https://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/child-refugees-migrants-two-thirds-home-office-dental-teeth-david-davies-a7369186.html
(3) "Islam's Hatred of the Non-Muslim, di David Bukay, Middle East Forum, 01/06/2013.
https://www.meforum.org/articles/2013/islam-s-hatred-of-the-non-muslim
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