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Pressione fiscale in Italia: in crescita pressoché costante |
Lo Stato che "Partecipa" nelle Aziende: Tutti Vantaggi, Zero Rischi
In ogni caso – in borsa come all’interno dell’azienda -, è
chiaro che alla fine si lavora per gli utili, per l’arricchimento personale. Nel
sistema capitalistico, la partecipazione alle attività di un’azienda o al suo
azionariato non avrebbero senso se non si ricercasse la produzione di utili da
distribuire. Gli utili sono l’essenza e lo scopo di tutto.
Ora, stante quanto detto, analizziamo la situazione dello
Stato che guadagna, con le tasse, sugli utili delle aziende. Certo, esso non
partecipa veramente del capitale di un’azienda - che, petanto, può dirsi “privata”
-, ma partecipa solo degli utili. Una condizione
ideale perché priva di rischio. Se l’azienda va giù, il proprietario perde la
sua ricchezza, e i dipendenti il lavoro; se io, investitore, investo nell’azienda
sbagliata, rischio di perdere tutti i soldi (cosa peraltro che m'è accaduta più volte). Diversa la situazione dello Stato
che tassa: di fatto, esso condivide gli utili delle aziende senza al contempo
condividerne i rischi. Se l’azienda va a fondo, lo Stato perde solo in termini
di mancato guadagno, quindi di soldi potenziali, ma non di soldi reali che esso
ha impiegato partecipando al capitale dell’azienda. La posizione dello Stato è
una posizione di assoluto privilegio: zero rischi e tutti vantaggi, botte piena e moglie ubriaca.
Lo Stato e la Iper-tassazione delle Aziende: un "Socialismo di Fatto"?
Si è detto sopra che lo Stato non partecipa del capitale di un’azienda.
Ma è proprio vero? In termini finanziari, lo è sicuramente: lo Stato non
sgancia una lira per comprare macchinari, per pagare stipendi del personale,
per finanziare la ricerca e lo sviluppo all’interno dell’azienda. Ma in termini
decisionali? Anche qui, è chiaro che lo Stato non ha voce, per es., sulla
politica di allocazione delle risorse di un’azienda, che spetta al management
(lasciamo da parte la questione particolare degli appalti e delle partecipate). Ma, seppur in forma indiretta,
lo Stato condiziona eccome le decisioni all’interno di qualsiasi azienda: vedere ogni
anno il 50-70% [cfr. dati rispettivamente del 2017 (1) e del 2014 (2)] dei propri profitti sparire in tasse significa sintonizzare le
proprie strategie sulla disponibilità di una sola metà (o anche meno) delle proprie risorse.
Significa ridimensionare della metà (o anche di più) le proprie aspirazioni; significa essere un’altra
azienda rispetto a quella che si avrebbe in mente: un’azienda che rischia meno,
che innova meno, che dà meno lavoro. E un’azienda che, pertanto, si trova a
operare in regime di svantaggio competitivo rispetto ad altre realtà europee e
mondiali che vivono una condizione di tassazione più favorevole. Un simile livello di tassazione non è fisiologico, è patologico: esso non serve, se non in piccola parte, a giustificare la corresponsione di servizi pubblici (infrastrutturali ecc.), utilizzati a vario titolo dall'azienda.
Sappiamo che il socialismo consiste nel controllo statale dei mezzi di produzione. Ora, se lo Stato – indirettamente, ma di fatto - controlla le
sorti dell’azienda italiana, cosa ci impedisce di dire che viviamo in un
regime socialista? Forse è un’esagerazione, e allo stato attuale l'Italia può essere al massimo considerata una socialdemocrazia (una democrazia, cioè, contrassegnata da un cospicuo welfare system), ma riflettiamoci partendo dalla
dicotomia tra economia socialista ed economia capitalistica, tra socialismo e
capitalismo: capiremo che è il capitalismo italiano a essere in pericolo, e che se
seguitiamo su questa china lo spettro del Venezuela e di tutti gli altri stati
socialisti falliti non è più tale. In Italia le tasse sugli utili delle aziende sono,
infatti, talmente alte da trasformare perfino l’altrimenti deprecabile
espediente dell’evasione fiscale in una questione di sopravvivenza: di
sopravvivenza della propria azienda e del capitalismo italiano. Vale a dire: il
livello delle tasse in Italia è talmente alto che l’espediente dell’evasione
fiscale collima pericolosamente con la legittima questione della sopravvivenza
del libero mercato, del capitalismo nazionale. A questo punto siamo giunti. E l’esplosione
delle spese di welfare nei prossimi anni, dovuti all’invecchiamento della popolazione
e all’ingresso di un numero spropositato di clandestini, i cui retaggi culturali impediscono ogni ragionevole integrazione nel nostro tessuto sociale, e molti dei quali
figliano per il quadruplo della famiglia media italiana, non promette nulla di buono e molto di negativo.
(1) "Cgia: nel 2017 pressione fiscale reale al 48,8%", RaiNews, 05/08/2017. Dato previsionale.
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Cgia-nel-2017-pressione-fiscale-ufficiale-42-5-ma-reale-48-8-58c4ff61-4f4f-4ffd-a375-82e15d757344.html
(2) "Tasse sulle imprese, l'Italia è maglia nera: prelievi sui profitti al 64,8", Sole 24 Ore, 20/11/2015.
https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-11-20/tasse-imprese-italia-maglia-nera-073112.shtml?uuid=ACWqk0dB
(1) "Cgia: nel 2017 pressione fiscale reale al 48,8%", RaiNews, 05/08/2017. Dato previsionale.
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Cgia-nel-2017-pressione-fiscale-ufficiale-42-5-ma-reale-48-8-58c4ff61-4f4f-4ffd-a375-82e15d757344.html
(2) "Tasse sulle imprese, l'Italia è maglia nera: prelievi sui profitti al 64,8", Sole 24 Ore, 20/11/2015.
https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-11-20/tasse-imprese-italia-maglia-nera-073112.shtml?uuid=ACWqk0dB
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