Non leggo il quotidiano della mia città
frequentemente: diciamo due volte alla settimana. Qualche giorno fa m'imbatto nel necrologio di un giovane, Michelangelo Rosso
Colletti. Il suo nome e il suo viso li ricordo bene: da almeno 25-30 anni il suo necrologio appare ogni anno sulle pagine del quotidiano. Già la prima
volta che lo notai – e parlo di 10, forse 15 anni fa - mi colpì il
fatto che si trattasse di una foto in bianco e nero tra molte altre
foto a colori, e mi colpì il giovane volto che raffigurava. Capii immediatamente che il suo venire a mancare non
doveva essere recente, e infatti si trattava della celebrazione
dell'anniversario di una morte avvenuta in un tempo lontano, negli anni
'80: “XX... Anniversario. Michelangelo Rosso Colletti. Ti penso
sempre con tanto amore. Mamma Clara.” L'amore solitario di una
madre, dunque, ostinato nei decenni, e che solo la propria morte –
e l'auspicato ricongiungimento con il figlio – potrebbe placare. Uno
straordinario esempio di affetto, racchiuso in un'immagine
in bianco e nero e in un breve messaggio, appena lambito dalle folate
di un'epoca intrisa di inutilità e di reciproca indifferenza.
Ginestra solitaria sul volto indurito di una costa che fa scivolare
verso il basso pensieri, parole e azioni.
Ho provato a cercare, a
completare un quadro che già mi ero illuso di aver composto nella
mia mente. Chi è quel ragazzo? Come è morto? E chi è la madre?
Cosa pensa e cosa prova? Quale prodigio nasconde la testimonianza di
un amore così incondizionato nel tempo? Il senso di un affetto così
profondo è custodito nella storia di un rapporto, che una terza
persona può solo intuire per analogia con esperienze proprie, le quali però sono a loro volta esclusive e quindi fondamentalmente altro. Ma
caratteristica del nostro tempo è quella di soffocare la possiblità
stessa di queste domande: esso non vuol sapere, non se ne cura, e si
nasconde dietro la privacy, la nozione dell'intimità del dolore, per
non prendervi parte e non porre a rischio così l'ottusa
beatitudine del proprio disimpegno. La vera solitudine questo mondo
la riserva a coloro che soffrono, e per questo la sofferenza richiede
coraggio: il coraggio della solitudine. Come quello di questa madre,
che io vorrei incontrare e abbracciare. Per farle capire che c'è qualcuno che cerca di capire. E perché mi ricorda che l'amore -quello
vero, quello che si esprime nel silenzio di un atto senza tempo, come questo- non è morto, in fondo. Che non tutto è perduto, che c'è
ancora speranza.
Solo oggi ho letto quello che ha scritto, se vuole mi può contattare al 3481298677 mi piacerebbe parlare con lei. Grazie gíovanni rosso colletti
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