"Ricordati di me o ti ricorderai per sempre di me" |
A proposito del fenomeno dei bambini
dimenticati dai genitori in auto sotto il solleone, l'opinione
pubblica appare divisa fra chi esprime piena solidarietà con il
genitore autore della dimenticanza, affermando che “può accadere a
chiunque” e spostando la responsabilità sui ritmi frenetici della
vita moderna, e coloro che invece reclamano almeno un accertamento
delle responsabilità. Ecco la mia riflessione per punti.
“Può Accadere a Tutti”
Secondo la giornalista del fatto
Manuela Campitelli,
coloro che criticano le madri o i padri che dimenticano i propri
bambini nel seggiolone sul sedile posteriore dell'auto, causandone la
morte, esorcizzerebbero in questo modo l'intima e per loro
inconfessabile consapevolezza che fatti del genere possono accadere a
qualunque genitore, anche a sé. Ci sarebbe quindi all'opera un
fenomeno di proiezione al contrario: non proiettare sugli altri i
propri difetti, ma proiettare su di sé l'immagine inversa di questi
genitori “snaturati”, prendendone le distanze e rincuorandosi
nell'autocertificazione di essere qualcosa di diverso e opposto.
Volendo controbattere sullo stesso
terreno, però, si potrebbe così dire che chi “assolve” i
genitori distratti mira in realtà a fornirsi una giustificazione
preventiva nell' eventualità che questo possa succedere a loro.
Quindi qui semmai, e non là, è presente il fenomeno descritto dalla
Campitelli.
“Dura Lex, sed Lex”
“Dura lex, sed lex”, direbbero i
latini. Molti di questi “assolutori preventivi” invocano la
sostanziale impunità giuridica dei genitori “distratti” con il
pretesto che essi “soffriranno per tutta la vita per quello che hanno fatto, con il
dolore e il senso di colpa, e quindi non dobbiamo aggiungere altre
pene”, spingendosi fino a dire che non è necessario un processo,
che non vanno giudicati davanti a un tribunale. “Queste cose
potrebbero capitare a tutti. Chi siamo noi per giudicare?” Quindi:
costoro accusano gli altri di giudicare troppo frettolosamente,
mentre essi addirittura non vorrebbero nemmeno il giudizio.
Ma l'affermazione che i genitori
“distratti” pagheranno per tutta la vita con il rimorso parte da
una premessa arbitraria, e cioè il fatto che non ci sia intenzionalità. C'è
un vizio di circolarità: il genitore è già affranto di suo, e
quindi non va giudicato perché ciò aggiungerebbe alla sua pena,
dicono gli “assolutori” preventivi. Ma un processo serve proprio
a stabilire l'eventuale volontarietà dell'atto, nel cui caso non
esisterebbe alcun “dolore” o “pena” che il genitore dovrebbe
sostenere di fronte alla propria coscienza: se uno commette
volontariamente un omicidio così crudele, non può avere alcuna
coscienza a cui rispondere.
Quindi, elementarmente: e se il padre o la madre (o
entrambi) avessero inscenato la dimenticanza per liberarsi del figlio
o della figlia? Gli assolutori non leggono le pagine di cronaca dei
giornali? Non conoscono il termine “infanticidio”? Non hanno
seguito, per esempio, il caso della Franzoni? Ma anche se non vi fosse intenzionalità, che razza di mentalità
sarebbe quella che pretende di sostituire alla giustizia (o
addirittura alle procedure del suo accertamento) la compassione?
Forse queste persone hanno in mente una “città di Dio” dove si è
sempre certi della purezza delle anime; o forse il loro ideale
di convivenza è quello di un regno dell'opinione pubblica, dove
questa si sostituisce al vecchio re nel dispensare atti di clemenza
del tutto arbitrari rispetto al codice delle leggi? La legge è legge
e il suo cammino va seguito sempre. Eventuali elementi possono essere
introdotti successivamente come attenuanti, ma non possono essere
addotti preventivamente addirittura per evocare l'inopportunità di
un processo.
“Dimenticare” un bambino in un'auto
trasformata in forno dal sole cocente implica quantomeno
un'imputazione per omicidio colposo. L'“amnesia associativa” (di
cui parlerò sotto) può valere al limite come attenuante. Ammesso
che questa patologia abbia un qualunque fondamento scientifico o sia applicabile alla
tipologia dei fatti in questione, essa non è paragonabile ad altre
condizioni patologiche della memoria (come l'Alzheimer, o amnesie che
accompagnano eventi traumatici) che risultano suffragate da elementi
eziologici più sostanziali.
Il Passato non è Servito a Niente?
Che ne è dunque dell'esempio che ci
deriva da episodi analoghi precedenti? Non hanno essi smosso nulla
nella coscienza dei “dissociati amnestici” che li hanno seguiti?
Non hanno costoro provato quel moto di orrore che normalmente spinge
uno a prendere precauzioni per dire: “Mai a me!”, e a instillarsi
l'istinto nevrotico (in senso positivo) che capita in casi simili,
come quando si controlla mille volte di aver chiuso la caldaia
prima di partire per le vacanze? Possibile che i precedenti
drammatici, e l'istinto di immedesimazione con quei genitori, non li
abbia spinti ad adottare la precauzione di guardare ogni volta nel
sedile posteriore, anche se ritengono impossibile che ci sia il
bambino? Certo per gli assolutori preventivi ogni domanda non ha
senso. Il buonismo idiota del “Tutti sono buoni, tutto è bello,
tutto va bene” non lascia che domande importune disturbino la loro
Weltanschauung da chiacchieroni irresponsabili con l'anello al naso e
la pancia piena, salvo poi crocifiggere una maestra, impegnata con 25 alunni, per essersi
dimenticata in un museo con aria condizionata il loro, di figlio.
A chiunque sono capitate quelle
situazioni in cui il “cuore ti sprofonda nel petto” per aver
dimenticato qualcosa di capitale, o commesso imperdonabili errori ecc. E' tutto
profondamente umano. Ma non è detto che uno debba sempre esperire
sulla propria pelle un accadimento e impararne la lezione a proprie
spese. Esiste anche quello che Albert Bandura chiama l'“apprendimento
osservativo”, e la “conseguenza vicaria”: semplicemente, è
possibile osservare in altri le conseguenze di atti sciagurati,
apprendere da loro la lezione e adottare gli opportuni accorgimenti
affinché ciò che è accaduto a loro non accada anche a noi (v.
l'esperimento della “Bobo doll”).
“Dimmi Cosa fai, Ti Dirò che
Malattia Hai”
Gli psichiatri sono maestri
nell'inventarsi patologie che non esistono. Non c'è nulla di più
semplice che sezionare lo spettro dei comportamenti umani alla
ricerca di qualcosa che non è al 100% funzionale allo stile di vita
moderno, e bollarlo come “malattia”. Cosa spinge a questo? Semplice: per gli
psicologi e psichiatri, l'allargare la platea dei potenziali clienti;
per l'industria farmaceutica, il vendere medicine. Prendiamo l'ADHD (Attention Deficit and Hyperactivity Disorder, “Disturbo da Deficit dell'Attenzione e Iperattività"), una
“malattia” che ha imperversato nelle scuole in questi ultimi
anni. E' lo stesso suo inventore, Leon Eisenberg, a dire: “L'ADHD
è l'emblema della malattia fabbricata. [...]” (Der Spiegel, 2012).
Cosa dobbiamo pensare dell'“amnesia
dissociativa”, se non la stessa cosa? Ecco un'autorevole definizione del disturbo, divisa in parti per
esigenze di commento:
“L’amnesia
dissociativa è un disturbo
dissociativo la
cui manifestazione principale consiste in uno o più episodi di
incapacità a ricordare dati personali importanti, di solito di
natura traumatica o stressogena, che risulta troppo estesa per essere
spiegata come banale tendenza a dimenticare.”
“Troppo estesa” per essere confusa
come una semplice dimenticanza: quindi si vede come la “A.D.” non
sia in realtà altro che un'amplificazione di una cosa affatto
normale come il vuoto di memoria.
Si dice poi che l'incapacità di
ricordare avrebbe una “natura traumatica o stressogena”: in cosa
allora differisce dallo stress? Siamo evidentemente di fronte al
sintomo (dello stress) trasformato in malattia a sé stante. Un po'
come se considerassimo l'aumento di temperatura corporea come
qualcosa di separato dalla febbre che la causa.
“I
sintomi causano disagio clinicamente significativo oppure menomazione
nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti e
non si presentano esclusivamente nel corso di un disturbo
dissociativo dell’identità, disturbo post-traumatico da stress,
disturbo acuto da stress o disturbo di somatizzazione, e non sono
dovuti all’effetto fisiologico diretto di una sostanza (per es.
abuso di droga, o di un medicinale), oppure a una condizione medica
generale o neurologica (per es. disturbo amnestico dovuto a trauma
cranico). Gli
individui con amnesia dissociativa sono spesso inconsapevoli (o solo
parzialmente consapevoli) dei loro problemi di memoria.”
Quindi, si legge sopra, l'A.D non è
sempre associato al disturbo dissociativo dell'identità (e perché
allora si continua parlare di amnesia “dissociativa”?), o a
stress da trauma, e non va confuso con l'amnesia da abuso di sostanze
o con traumi fisici al capo.
A nessuno può sfuggire, sulla scorta della definizione sopra data, la natura
rarefatta di questa “malattia”, soprattutto rispetto ad altre ben
codificate dalla scienza medico-psichiatrica. Cos'è veramente questa “amnesia
dissociativa” e in cosa differisce dal normale vuoto di memoria che
può capitare in coda a situazioni di stress, di trauma, di abuso di
sostanze o malattia di altro genere? Non è dato di sapere. La verità
è che più si cerca di definire una cosa che non esiste, più viene
alla luce il suo carattere intellettualmente fraudolento.
La Società dell'“o Faccio Figli o
Sono un Fallito”
Se togliamo l'intenzionalità (sempre
possibile), resta il menefreghismo: dimenticarsi un bambino
nell'auto-forno non è ascrivibile a una causa psichiatrica, ma di
mentalità sociale. Manca, nella nostra società, il senso della
responsabilità. Esistono solo diritti e non doveri: si pensa di aver
diritto a un figlio, e che quindi occorra “prenderselo” anche se
le proprie condizioni sociali (o di altro tipo) consiglierebbero il contrario. Siamo in
una società dove le cose più importanti si riducono a “contorno”
e sembrano esistere solo per “coronare” qualcosa: il matrimonio
si fa per coronare la relazione, il figlio si fa per coronare il
matrimonio ecc. Così, si vuole che tutti i tasselli vadano a posto,
come se la propria vita fosse una checklist da soddisfare:
“lavoratrice”: fatto!; “moglie”: fatto!; “madre”: fatto!
Ecc. Ma va da sé che i punti della checklist sono imposti dalla
società, una società che si orienta sempre più sulla prestazione e
che, perciò, lascia sul campo molti “irrealizzati”, molti
“sconfitti dalla vita”.
Quindi, anche a voler concedere la
veridicità medica dall'amnesia dissociativa, la responsabilità
individuale rimarrebbe: solo, si sposterebbe dall'atto a ciò che lo
ha preparato, cioè una concezione distorta del proprio ruolo, una
accondiscendenza acritica a un modello di vita imposto dalla società
e che per molti è insostenibile e irrealizzabile.
Quando un Figlio è Solo una Cosa
tra le Cose
Se il genitore amnestico-dissociato
avesse avuto sul sedile posteriore, in luogo di una creatura umana,
un valigione con dieci milioni di euro, se lo sarebbe dimenticato?
Naturalmente no. Ma non tanto per avidità o per difetti nella scala
dei valori personali, quanto perché in una società fondata sul
profitto, ciò che è raro vale di più di ciò che è routine,
normalità. E cosa c'è di più normale e triviale che prendersi cura
del proprio figlio, “merce” fin troppo facile ad aversi, facendo
per lui le stesse medesime cose giorno dopo giorno dopo giorno? Ma il
valigione con i milioni dentro: quella è una benedizione, un
miracolo che rompe questa quotidianità!; è la “novità”, il
divino che irrompe nell'alienante tran tran: come sarebbe possibile
dimenticarsene? Valore economico e valore umano si contrappongono, e il risultato è la reificazione, la scomparsa del fattore umano:
siamo pronti a dimenticarci di un figlio come lo saremmo per un
qualsiasi oggetto di uso quotidiano. Il nostro figlio è come l'aria
che respiriamo: troppo “disponibile” e reperibile per avere reale
valore. La sua “quotidianità” implica, paradossalmente, che
prendiamo le distanze da lui come persona nella misura in cui ce ne
prendiamo cura. Crediamo di amarlo solo perché ce ne prendiamo cura,
ma in realtà egli è diventato per noi una cosa tra le cose.
La Società Contemporanea: Vigliaccheria, Irresponsabilità, Consumismo
La società occidentale, dopo almeno 70 anni di consumismo spinto, è una società molle, incapace di prendersi
responsabilità e di reagire alle minacce e ai pericoli. E' un nuovo
stadio - l'ultimo - della décadence occidentale profetizzata da più parti: la
barbarie che la società occidentale rivolge, finalmente, a se
stessa.
Le tracce di questa decadenza sono più
e più manifeste, e sono quelle di una società che si illude di
risolvere tutto nei consumi e con i consumi, che prende la pillola
contro il male di vivere e compra “Imagine” da Itunes contro gli
attacchi terroristici; di una società che si crede nel giusto solo
perché confonde la bontà con un buonismo velleitario e melenso che
non vede responsabilità da nessuna parte, ed è sempre pronta a
cedere al perdonismo indiscriminato che giustifica l'ingiustificabile e scagiona a suon di malattie inventate. E' anche, quindi, una società
che rifiuta il concetto stesso di responsabilità e ha perciò smesso di cercarla, forse per la paura di vedere se stessa
riflessa in uno specchio.
In una situazione come questa, anche un
bambino cotto al forno nel rovente sole agostano ha poche speranze di
ottenere, quantomeno, giustizia.
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