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La sinistra
fascista colpisce ancora. Pare proprio che essa non voglia concedere alcuno
spazio alla minima voce di dissenso dal credo cripto-religioso di una neo-verità orwelliana, che i sedicenti “progressisti”
rappresentano, fatta di menzogne propagandate a suon di controllo mediatico e
violenza di strada.
Non c’è una forza
più antidemocratica, violenta, intollerante della sinistra. Questi tratti sono
inscritti nella sua storia e nel suo dna. Da tempo vado dicendo che essa va
messa fuori legge in quanto fucina di terrorismo intestino e autentica mina
vagante contro i principi che fondano il sistema democratico, primo fra tutti
quello della libertà di parola ed espressione. Quanto meno, occorre trattare certi “manifestanti”
e disturbatori professionisti delle manifestazioni del libero pensiero alla
stregua di terroristi urbani da disperdere con metodi anti-sommossa e da mettere a
processo per attentato ai valori dello stato. Come diceva Voltaire, l’intolleranza
verso l’intolleranza è perfettamente giustificabile, e anzi un dovere. Non
esiste un diritto di impedire l’espressione di idee diverse dalle proprie. Rivendicare,
in nome della libertà d’espressione, il diritto a impedire fattualmente eventi
in cui delle persone dicono cose che non ci piacciono è una contraddizione in
termini: il principio della libertà di parola (o di manifestazione) non può essere usato per restringere
e soffocare la libertà di parola. E la libertà di parola è un
diritto universale: o vale per tutti o non vale per nessuno. Chi cerca di arrogare
per sé un diritto universale è peggio del dittatore che quel diritto vorrebbe
toglierlo a tutti.
E’ bene
sgomberare ogni dubbio: i manifestanti della sinistra che si sono riuniti ieri
a Verona contro il Congresso Mondiale delle Famiglie avrebbero volentieri, se gli fosse stato permesso, impedito l’evento
con la forza e la violenza. Si sono, ahiloro, dovuto accontentare di adottare le consuete tecniche naziste di disumanizzazione e demonizzazione dell'avversario (vedi immagine sotto). Un paese
democratico che deve schierare un’imponente mole di mezzi e di uomini armati –
con significativi costi per la collettività - a protezione di un gruppo di
intellettuali e politici che si vogliono riunire per scambiarsi o affermare
delle idee è un paese già avviato verso una deriva totalitaria.
La Tematica dell'Aborto e i "Diritti": Specchietti per le Allodole che Nascondono l'Obiettivo della Distruzione della Famiglia Tradizionale
Finora ho letto
la cosa dal punto di vista del metodo e dei principi. Ora vorrei entrare nel
merito di uno dei topic attorno a cui ha ruotato il congresso in questione
(che – devo precisare – io non ho seguito): l’aborto.
Da sempre la
questione dell’aborto mi ha visto combattuto tra due fuochi. Sostanzialmente,
sono sempre stato favorevole. Ma lo sono stato non certo in nome dei diritti
femminili tanto cari (in apparenza) alle femministe. Chi declina la questione dell’aborto in questi termini si rende colpevole di egocentrismo e
di egoismo. Una prospettiva di questo tipo strumentalizza
la maternità a vantaggio delle rivendicazioni di status di genere, e quindi la
politicizza.
Il mio appoggio
all’aborto è sempre stato motivato da un paio di ordine di considerazioni. Innanzitutto,
e sulla scia di Aristotele, io mi trovo d’accordo sul fatto che,
fino a un certo punto della nostra vita fetale, noi siamo “in potenza”, cioè “materia” non ancora strutturata in
individualità. In parole povere, non siamo ancora degli esseri umani, degli
individui. Naturalmente, sorge la questione sull’individuazione del momento nel
quale, all’interno del grembo materno, noi cessiamo di essere materia e
iniziamo a essere “spirito”, cioè individui umani; una questione che è
ovviamente aperta a tutte le speculazioni possibili.
Il fattore più importante
del mio appoggio al diritto all’aborto nasce però da asciutte considerazioni di
utilitarismo sociale: ho sempre pensato che un figlio non voluto è condannato a
un’esistenza di sofferenza, emarginazione e possibile devianza, e questo non
può certo far bene - oltre che a lui - all’integrità del tessuto sociale.
Ma il figlio può
essere non voluto per una serie di ragioni: la madre può essere troppo giovane
e immatura, o una disadattata o malata; sull'altro versante, però, ci possono essere in gioco motivazioni
economiche, una situazione di incertezza finanziaria o lavorativa che
è poi il motivo principale per il quale oggi in Occidente non si fanno più
bambini. In quest’ultimo caso - per il quale è ipotizzabile che la donna
desideri intimamente portare a termine la gravidanza ma sia costretta a
desistere da considerazioni oggettive e da un senso di sfiducia nel proprio
futuro – può essere sufficiente che lo stato intervenga nella forma di
agevolazioni economiche e di politiche che favoriscano la domanda di lavoro e
un miglioramento delle condizioni lavorative. Il sostegno all’aborto senza sì e
senza ma, in nome di un astratto richiamo ai “diritti della donna”, è un obbrobrio
ideologico e, in definitiva, anche una contraddizione del suo principio: che ne
è di quelle situazioni – e sono molte, probabilmente la maggioranza - nelle
quali la donna non vorrebbe abortire, ma è costretta a farlo perché spinta dalle circostanze? Il totem dell’aborto, elevato a quintessenza del
rivendicazionismo femminista, non si preoccupa di cogliere queste “sfumature”,
e quindi lavora contro l’autodeterminazione della donna, lavora contro i suoi
diritti. L’affermazione assolutistica del diritto all’aborto non lascia spazio –
e anzi lo scoraggia – al diritto alla maternità nella forma di chi vorrebbe far
nascere la creatura che porta in grembo ma è costretta dalle circostanze a disfarsene. Troppo affacendate nella conservazione astratta del diritto ad abortire, esse si “dimenticano”
di smuovere la politica affinché si occupi anche di queste donne. Ecco dunque
che il femminismo rivela la sua intima natura: esso non si interessa veramente
dei diritti delle donne, ma solo di quelli delle donne che non vogliono mettere
su famiglia. Il suo scopo non sono i diritti delle donne; il suo scopo reale è uno:
la distruzione della famiglia tradizionale, fin dai tempi di Marx considerata la
cellula fondamentale della società borghese. Il femminismo usa i diritti delle
donne come piede di porco per scardinare e sovvertire la società borghese: i
diritti delle donne sono solo uno strumento ideologico per arrivare a un
obiettivo ultimo, che è un obiettivo politico. In ciò il femminismo si inscrive
perfettamente in quella che è – su una scala più ampia - la strategia della
sinistra, che è possibile per esempio vedere all’opera attorno alla questione
dell’immigrazione: la sinistra se ne fotte dei diritti “umani” di cui va
cianciando; essa vuole solo seminare divisione, destabilizzare e creare le
condizioni per l’affermazione di un “nuovo ordine”. La sinistra non ha mai
rinunciato al suo obiettivo elettivo, cioè la distruzione della società
democratico-borghese; essa ha solo col tempo rivestito la sua lotta dell’ipocrita
manto dei “diritti umani”, sfruttando diabolicamente per fini politici la
sofferenza sociale delle minoranze. Quasi a voler far fede all’opinione sempre
più diffusa – e sempre più difficilmente contestabile - che essa trasformi in
merda qualsiasi cosa tocchi, la sinistra è riuscita nel capolavoro di corrompere
anche la un tempo sacra nozione di “diritti umani”. Al punto in cui siamo
arrivati, è impossibile non storcere il naso ogni volta si oda quest’espressione,
tanto essa è associata nella mente della collettività a tutte le subdole e
truffaldine macchinazioni di cui si sono riempite negli anni le pagine della
cronaca giudiziaria e politica.
Abortire la Sinistra
Il punto debole
della sinistra è ormai noto: il suo totalitarismo del pensiero, la sua forma
mentis ideologizzante che non le consente di operare distinguo in base al più rudimentale
principio di realtà e di attinenza ai fatti umani e sociali; questo difetto strutturale della mente sinistrata è anche quello che la condannerà (e
che anzi l’ha già in parte condannata) all’auto-sconfitta e all’auto-distruzione.
Una ragione di esistenza, quella del "progressivismo", da sempre incentrata sulla conquista e sul
mantenimento del potere è crescentemente in disaccordo con le considerazioni
pratiche di una popolazione sempre più soffocata dalla cappa delle politiche imposte
negli anni dai governi sinistrati in Italia e altrove, sia sul versante dell’economia e del lavoro che su
quello (strettamente collegato) dell’integrazione europea, passando naturalmente
per il capitolo immigrazione. La gente ha ormai mangiato la foglia, e non è più
suscettibile di farsi ricattare moralmente da una gang di falsari che per anni
ha tenuto tutti per le palle con i suoi ricatti morali e facendo paventare, a
ogni singulto di opinione minimamente discordante dal pensiero unico, le accuse
di “razzismo”, “xenofobia”, “omofobia”, “disumanità”.
In sostanza, l’impianto
ideologizzante della mente sinistrata la rende totalmente vulnerabile a ogni
richiamo di una razionalità facente leva sulla realtà dei fatti. Quanto possa
essere semplice smontare simili impalcature ideologiche lo dimostra una
semplice domanda, attinente all’argomento dal quale eravamo partiti, cioè l’aborto:
“Se la legge ti permettesse di abortire quando il feto ha dai 5 ai 9 mesi, e comunque
all’interno di quel range temporale nel quale sarebbe possibile far nascere un
figlio prematuramente, tu ti sentiresti anche in questo caso di perorare il
diritto delle donne ad abortire?” Rivolgete questa domanda a una femminista. Vi
risponderà ovviamente in modo affermativo, perché altrimenti cadrebbe l’intero
teatrino dei pupi che le persone come lei hanno costruito nella propria testa. Per
i sinistrati, ogni particolare elemento ideologico è come un precetto religioso: un principio che va
protetto dal confronto con la razionalità e con la realtà fattuale; nel momento in cui
si iniziassero a fare delle eccezioni, crollerebbe l’intera impalcatura. Meglio quindi
dichiararsi assassini che passare per traditori dei propri “ideali”.
In un modo o nell’altro,
avrete ottenuto la vostra vittoria. In modo talmente semplice da provarci un
gusto immenso.
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